Simboli e tesori nascosti di una Milano sconosciuta

Lontano dalla confusione e dai cliché, Milano è una città che possiede uno dei più importanti patrimoni culturali del nostro Paese. Tuttavia, rivela i suoi tesori nascosti solo ai più curiosi o ai viaggiatori che amano scoprire i luoghi meno conosciuti. L’organo di Mozart, il padiglione Reale alla Stazione Centrale o la statua medievale di una ragazza che si rade il pube in pubblico, misteriosi simboli nascosti per la città, pugili scolpiti sul tetto del Duomo, una biblioteca quattrocentesca i cui affreschi sono ancora visibili, una chiesa progettata da Leonardo da Vinci. Sono solo alcuni dei luoghi più curiosi legati alla città di Milano; Massimo Polidoro ha deciso di mostrarli in una giuda: “Milano insolita e segreta” di Massimo Polidoro.

Ecco un breve viaggio tra le bellezze sconosciute di Milano:

Il tetto dell’Armani Hotel

L’hotel milanese a cinque stelle di Giorgio Armani occupa un intero isolato, tra Via Manzoni e Via dei Giardini. Elegantissimo, si sviluppa su otto piani, sopra tre piani di negozi, ristorante e caffè. La cosa più straordinaria dell’albergo è però la sua forma. Lo stilista è riuscito infatti a fare di un edificio un marchio, ben impresso nel tessuto urbano di Milano. La pianta del palazzo, infatti, forma una gigantesca “A”.

Un angolo di Barcellona a Milano

Una straordinaria costruzione ad angolo che ricorda un incrocio tra gli ornamenti Liberty di Coppedè e il modernismo catalano alla Gaudì, dando vita a un originale spicchio di Barcellona in pieno centro di Milano: si tratta di Palazzo Berri-Meregalli, capolavoro dell’architetto Giulio Ulisse Arata, edificato tra il 1911 e il 1914. L’edificio s’impone come un monumento, quasi un museo di stili all’aria aperta. L’ecclettismo di Arata, infatti, lo portò a mescolare elementi tratti dal romanico (le pietre, i mattoni a vista, gli archi, le logge), dal gotico, dal Rinascimento e in parte anche dal tardo stile Liberty, riconoscibile nei putti in cemento, nei gargoyles, negli affreschi, negli inserti a mosaico e nei ferri battuti “a riccio” opera di Angelo Mazzucotelli. Chiedendo il permesso al custode, è possibile oltrepassare la cancellata in ferro battuto, che ricorda la grata di un castello medievale, e ammirare lo spettacolare androne fatto di marmi, bugnati, archi in cotto, soffitti a cassettoni e mosaici multicolori realizzati da Angiolo D’Andrea: si direbbe quasi una cattedrale bizantina. In fondo all’ingresso, infine, è conservata una preziosa scultura di Adolfo Wildt: una testa di donna con un velo e un paio di ali, chiamata infatti la “Vittoria alata”.

Il Cavallo di Leonardo

E’ un enorme cavallo di bronzo alto 7,20 m., lungo 8 e pesante 15 tonnellate. Ideato da Leonardo Da Vinci, la sua realizzazione ha richiesto 500 anni. La storia comincia nel 1482, quando Ludovico il Moro incarica Leonardo di costruire “la più grande statua equestre del mondo” per rendere omaggio al padre, Francesco Sforza. Leonardo si dedica al progetto, studia i cavalli dal vivo e realizza i disegni preparatori. Inizialmente vuole che il cavallo sia impennato nell’atto di abbattersi sul nemico; poi, le dimensioni spropositate e la complessità della realizzazione costringono il maestro a cambiare idea. Il cavallo sarà scolpito mentre è al passo e per il 1491 Leonardo ha completato un modello di creta alto sette metri. Tutto è pronto per la colata di metallo, ma le 100 tonnellate di bronzo necessarie non ci sono più: usate per realizzare cannoni con cui difendersi dall’invasione dei francesi di Luigi XII. Quando alla fine le truppe invadono Milano, i soldati prendono di mira il cavallo usandolo come tiro a segno e lo distruggono. Nel 1506 Leonardo, di ritorno a Milano, accetta di realizzare una nuova statua equestre per la tomba monumentale di Giacomo Trivulzio, che aveva comandato le truppe francesi all’ingresso di Milano, ma nemmeno questa vedrà mai la luce. Dopo mezzo millennio, nel 1977, Charles Dent, un ex pilota americano appassionato d’arte, si entusiasma quando viene a conoscenza della storia e decide di coronare il sogno di Leonardo. Impiega 15 anni a raccogliere il denaro necessario per l’impresa, circa 2,5 milioni di dollari, e muore prima che sia finita. Nel 1999 finalmente il cavallo di bronzo vede la luce grazie alla scultrice Nina Akamu. Donato alla città di Milano, come voleva Leonardo e com’era nelle intenzioni di Dent, viene sistemato all’ingresso dell’ippodromo, considerato il luogo più adatto (nonostante non manchino le polemiche). Non è certamente “il cavallo di Leonardo” ma è senz’altro simile ai disegni da lui realizzati e, dunque, al di là del valore artistico, va visto come un omaggio al grande genio del Rinascimento.

Il museo del manifesto cinematografico

Nel 2013 è stato inaugurato un museo interamente dedicato a tutto ciò che è cinema “su carta”: manifesti, locandine, foto di scena, foto buste, soggettoni, affiches pubblicitarie, per un totale di oltre 150.000 pezzi esposti. Ospitato in uno stabile industriale d’epoca interamente ristrutturato, nella storica Via Gluck resa celebre da Adriano Celentano, il museo permette al visitatore di immergersi in un mondo fatto di immagini colorate, a volte anche più suggestive dei film che rappresentano. Il viaggio inizia già dalla strada dove un grandioso murales, realizzato dal writer FabioAcme107, riprende i più famosi manifesti cinematografici della storia. All’interno vi è un grande spazio diviso in due sezioni: una sala convegni e una dedicata alle mostre temporanee. La prima, che comprende anche una biblioteca ricca di centinaia di testi e monografie sul cinema e aperta agli studiosi, ha le pareti interamente ricoperte di manifesti, dal più antico (I misteri di Parigi del 1924) fino ai più recenti blockbuster. La seconda sala, ancora più suggestiva, ospita le mostre dedicate ai grandi temi: Liz Taylor, Dracula e i vampiri, Star Wars… Mostre che prevedono l’esposizione non solo di manifesti legati al tema, ma anche di oggetti di scena, modellini, ricostruzioni, memorabilia e cimeli provenienti spesso da collezioni private e finora mai presentati al pubblico. Completa il percorso un bookshop e una speciale caffetteria, il “Caffè degli ignoranti”, dedicata proprio ad Adriano Celentano, con le locandine dei suoi film, i manifesti, i dischi originali, i video delle sue partecipazioni televisive e i testi delle sue canzoni più famose, scritti sui tavolini e sui muri.

Un gatto di lamiera che osserva i passanti

Il viavai di passanti è sempre intenso, in questo tratto di Corso Monforte, a due passi dagli uffici della Provincia e dalla Prefettura. Eppure, nessuno sembra mai accorgersi del piccolo testimone che osserva tutti incuriosito e silenzioso. Nascosto nella finestra del seminterrato, accanto all’uscio del civico 43, un gatto in lamiera, dai lunghi baffi e la coda arrotolata sull’inferriata, sta infatti in paziente attesa. Il palazzo che lo ospita, in stile Liberty, risale ai primi del Novecento e presenta sulla facciata un pittoresco pot-pourri di mattoni e archi ciechi. Inoltre, alzando gli occhi al terzo piano, è possibile scorgere sei figure femminili ispirate a modelli medievali, dipinte ai lati delle finestre. Forse, come le altre decorazioni, anche il gatto in lamiera fu un dettaglio aggiunto per arricchire la casa.

Una statua presa a modello per la statua della Libertà?

Tra le statue del Duomo, sul balcone sopra l’ingresso centrale della cattedrale, si trova La Legge Nuova, eseguita nel 1810 da C. Pacetti. Secondo la leggenda, la figura femminile con il braccio alzato, la torcia in mano e quella corona di punte intorno al capo sarebbe stata presa a modello per la Statua della Libertà realizzata da Bartholdi nel 1885 per New York. Se sia vero o meno, nessuno lo può affermare con certezza, ma di misteri il Duomo ne ha tanti, come quel polpaccio lucente di uno dei flagellatori del Cristo, raffigurato sul portale.

Una casa molto originale

Passano spesso inosservati, vuoi perché nascosti all’interno di palazzi o perché occorre alzare il naso per vederli; tuttavia, i ferri battuti realizzati nei primi decenni del ‘900 da Alessandro Mazzucotelli sono una delle più belle testimonianze del Liberty milanese. Un giro tra i capolavori regalati alla città da questo grande artista, ricercato dai più grandi architetti per la sua creatività e abilità nel dare al ferro l’aspetto flessuoso e “fiorito” che rappresentava il carattere dominante dello stile Liberty, non può che partire in pieno centro da Casa Ferraro. Su questo edificio, che ospita al piano terra uno dei più noti negozi di alta gastronomia, i complessi motivi floreali delle ringhiere si prolungano verso l’alto unendo i vari balconcini. Sulla facciata dell’imponente Palazzo Castiglioni (Corso Venezia 47), primo vero esempio di Liberty a Milano, i ferri contorti di Mazzucotelli s’integrano perfettamente con i fori circolari scavati nella pietra grezza per le finestrelle del piano terra. All’interno, si possono ammirare dello stesso artista la “lampada di libellule” nell’atrio e la balaustra dello scalone a due rampe. Di Mazzucotelli sono inoltre i terrazzi in ferro battuto di Casa Galimberti (via Malpighi 3), con le brillanti ceramiche colorate che ne ricoprono la facciata, e quelli dell’adiacente Casa Guazzoni (via Malpighi 12); così come il cancello e le grosse foglie intrecciate dei balconi su Casa Campanini (via Bellini 11), nonché le decorazioni naturalistiche di Casa Moneta (via Ausonio 3). In quest’ultima, oltre a foglie, fiori e animali dalla silhouette abbozzata, grazie a un sapiente uso della forma, spiccano le farfalle sul cancello dell’ingresso, tra gli esempi più riusciti della decorazione Art Nouveau.

Il cortile dei Promessi Sposi

Affacciandosi nell’androne di Palazzo Luraschi al numero 1 di Corso Buenos Aires si potrà ammirare un suggestivo cortiletto, reso unico da due particolari: le quattro colonne di marmo provenienti dall’antico Lazzaretto e dodici busti scolpiti con i personaggi dei Promessi Sposi. Vi si riconoscono Renzo e Lucia, Don Rodrigo, il Cardinale Borromeo, padre Cristoforo, Agnese e la Monaca di Monza. Il palazzo, progettato dall’ingegner Ferdinando Luraschi, da cui prende il nome, edificato tra il 1881 e il 1887 insieme al capomastro Angelo Galimberti, fu uno dei primi costruiti in zona (lungo quello che allora si chiamava Corso Loreto) dopo l’abbattimento del Lazzaretto. Recuperando materiale che sarebbe andato distrutto, Luraschi decise di conservare e riutilizzare quattro delle colonne che in origine segnavano il perimetro interno del Lazzaretto (altre 11 colonne originali si possono vedere in Via San Gregorio, 5). La scelta di dedicare dodici busti ai personaggi dei Promessi Sposi ha una storia singolare. Il Regolamento edilizio allora in vigore prevedeva una norma detta “servitù del Resegone”. Tale norma imponeva che gli edifici a nord della città non superassero l’altezza di 2-3 piani, così da lasciare libero il paesaggio (la vista delle Prealpi e del monte Resegone, appunto) visibile dai Bastioni. L’edificio costruito da Luraschi, tra i primi in Italia a contare otto piani, fu anche uno dei primi a Milano a infrangere la regola. Probabilmente, il fatto di avere costruito un palazzo in un luogo di manzoniana memoria come il Lazzaretto, che per di più oscurava la vista di un monte più volte citato dallo scrittore milanese nel suo celebre romanzo, deve avere ispirato Luraschi in questo omaggio ai Promessi Sposi.

Il museo delle macchine per scrivere

Ospitato dal 2007 in uno stabile privato, il museo dedicato alle macchine da scrivere, unico nel suo genere, è la creazione del suo proprietario, Umberto Di Donato, ex-finanziere, direttore di banca, ma soprattutto grande appassionato di macchine da scrivere, al punto da averne collezionate ed esposte qui quasi 1400. Ce ne sono di tutti i tipi: di portatili e monumentali, da studio e da viaggio, carrozzate e scoperte, lucide e opache, rare e comuni. Tra i pezzi più rari, collezionati da Di Donato dal 1952: una Underwood del 1898 appartenuta all’imperatore austro-ungarico Francesco Giuseppe e realizzata in occasione del suo Giubileo, la Olympia appartenuta a Matilde Serao, una Odell del 1887, una Williams 1 Curved del 1891, la Blickensderfer 1885, la Optima con scrittura in arabo e poi la più comune ma mitica M40 Olivetti, la bellissima portatile Tippa-B, fino alla celebre Lettera 22, resa famosa da Indro Montanelli e da tanti altri giornalisti che la usarono fino a quando venne inventato il computer portatile. Oltre alle macchine per scrivere, sono conservate nel museo anche alcune calcolatrici meccaniche risalenti alla prima metà del secolo scorso, dal funzionamento macchinoso ma molto preciso. Per ogni pezzo, Di Donato ha un aneddoto, una storia nascosta e affascinante da raccontare, per cui è raccomandabile per il visitatore la visita guidata.

La casa del mostro di via Bagnera

Nascosta in pieno centro, tra Via Santa Marta e Via Nerino, c’è una stradina corta e stretta. Anzi, si tratta proprio della via più stretta di Milano, un budello a forma di “L” dove un’auto passa a malapena. Non a caso un tempo era nota proprio come “Stretta”, mentre il nome Bagnera sembra derivi dal fatto che ai tempi dei romani, lì vicino si trovavano i bagni pubblici. Ma percorrere questa strada, specie di notte, può dare ancora qualche brivido. Soprattutto quando si scopre che proprio lì, in un piccolo magazzino che usava come casa e ufficio, viveva il famigerato “Mostro di Milano”. Si chiamava Antonio Boggia e, nella prima metà dell’800, uccideva a colpi di scure i malcapitati che avevano la sventura di conoscerlo e di andarlo a trovare in Via Bagnera. A muovere il suo istinto omicida era soprattutto il denaro. Quando Boggia scopriva che i suoi conoscenti possedevano case o crediti li uccideva e poi, con l’aiuto di un calligrafo, si faceva scrivere lettere in cui i defunti (che lui sosteneva essere partiti per lunghi viaggi, ma che in realtà si trovavano sepolti proprio sotto casa) gli assegnavano procure o deleghe per l’incasso. La scelta di Via Bagnera quale nascondiglio non fu casuale: la sua forma e le sue dimensioni rendevano impossibile il passaggio dei carri e anche i passanti erano scarsi. Dunque era ridotto al minimo il rischio di testimoni involontari o il passaggio di guardie. Nel suo magazzino, inoltre, Boggia disponeva di una cantina cui si accedeva solo attraverso una scala interna ed era proprio lì che seppelliva le sue vittime. L’assassino finì impiccato dalle parti di Porta Ludovica e la sua testa, oggi andata perduta, fu affidata in custodia al Gabinetto anatomico dell’Ospedale Maggiore. L’accetta con cui uccideva, invece, è misteriosamente ricomparsa nell’ottobre 2009 nel mercato dei collezionisti.

La sauna in un tram

Perdute le antiche terme romane, di cui in città restano solo pochi ruderi in Largo Corsia dei Servi, Milano si è nuovamente dotata di un impianto termale a partire dal 2007. Oltre alla sua singolare posizione, le terme sorgono infatti in un complesso stile Liberty circondato da un tratto originario delle mura spagnole. La struttura è resa unica dalla presenza di una speciale attrazione: un tram. Rinominato il “Tram del benessere”, è una vera e propria sauna realizzata all’interno di un tram storico dell’ATM. Vi si accede dalla porta posteriore e, una volta a bordo, ci si siede sulle panche in legno levigato e si respirano atmosfere del passato grazie anche ai suoni di sottofondo e alle immagini di vecchi tram. Al centro della carrozza c’è un grosso braciere intorno al quale, al suono della campanella del tram, si susseguono i vari trattamenti, a partire dall’Aufguss, la gettata di vapore, arricchita di essenze profumate. Rispetto alla classica sauna finlandese, tuttavia, quella sul tram è una versione più “soft”. Le temperature infatti non superano i 70° e l’umidità è superiore al 35%.

Claudia Ruiz