Zanna di ferro, il più sanguinario serial killer dell’URSS

Ematofago, necrofilo e cannibale, sceglieva quasi sempre tra i propri bersagli donne di età compresa tra i venti e i quarantacinque anni, impegnato in una guerra personale contro il matriarcato e la lascivia. Stiamo parlando di Nikolay Dzhumagaliev, un criminale che per anni è stato considerato uno dei peggiori serial killer russi (o, più precisamente, dell’Unione Sovietica) mai esistiti.

Inizialmente sceglie le sue vittime tra le passanti, quindi le segue o le rintraccia per ucciderle nella notte con un coltello o un’ascia. In evoluzione smette di seguire questa prassi, aggredendo le vittime anche in casa loro, oppure assassinandole dopo un rapporto sessuale consensuale. In ogni caso, dopo l’uccisione di una donna si abbandona alla necrofilia, beve il suo sangue e si nutre delle sue carni, asportandone infine delle parti per consumarle in seguito, servirle ai suoi ignari ospiti o alla vittima successiva.

Fu arrestato per la prima volta nel 1979, a causa di un incidente apparentemente slegato dagli omicidi, e prontamente rilasciato a dispetto di una diagnosi di schizofrenia. All’incirca un anno più tardi fu identificato come Kolya l’Orco, e dopo una breve fuga catturato dalle autorità.

La sua storia di insensata brutalità non era però destinata ad arrestarsi: dieci anni più tardi, ritenuto erroneamente sulla via della guarigione, evase durante il trasferimento a una struttura di minima sicurezza. Il massiccio dispiegamento di uomini e mezzi messo in campo per rintracciarlo, astutamente depistato dall’omicida, si dimostrò inutile.

Zanna di Metallo (così era soprannominato) vagò libero fino al 1991 quando, ormai stanco di fuggire, cercò di farsi arrestare per un reato minore spacciandosi per un profugo cinese. Nonostante fosse stato identificato, dopo tre anni fu sorprendentemente assegnato alle cure della famiglia, ma fuggì presto da Uzun-Agach e si nascose tra le montagne.  Arrestato per la quarta e ultima volta nel 1995 mentre cercava di espatriare. Attualmente è detenuto presso l’ospedale psichiatrico di Almaty, dove è condannato a rimanere fino alla fine dei suoi giorni.

Nikolay Dzhumagaliev, un personaggio spaventoso reso ancora più suggestivo dalla dentiera di metallo che gli è valsa il soprannome dopo la cattura, è diventato il fulcro di dicerie e leggende spesso infondate.

Abbandonata l’ambizione di una formazione superiore, Nikolai Dzhumagaliev – che aveva il vezzo di definirsi discendente di Gengis Kahn – lavora brevemente come elettricista nel suo villaggio natio prima di cominciare a spostarsi per l’Unione Sovietica. Pratica vari lavori saltuari, senza mai fermarsi nello stesso luogo per più di tre mesi. Si ha notizia di un suo impegno come mozzo nell’Atlantico, elettricista per la società GRES a Pechora, partecipante a una spedizione nel Komi (forse la Kama Ethnographic Expedition avviata nel 1975), autista di mezzi pesanti a Aldan, infine manutentore di linee elettriche a Murmansk, Salechard, Bilibino e Magadan. Ovunque vada, Džurmongaliev stenta a integrarsi. Più tardi dichiarerà di essere stato disgustato dalle donne del nord, che bevevano, fumavano, imprecavano e dormivano con chiunque. Dopo tanto vagabondare, nel 1977 Dzhumagaliev ritorna a casa, dove trova impiego come vigile del fuoco e lavora fino al primo arresto. Secondo le sue dichiarazioni, è durante i turni di notte che matura la sua allucinante filosofia omicida, impiegando ben due anni per svilupparla e pianificare il primo delitto. Tuttavia, tali affermazioni sembrano più che altro un tentativo di giustificazione ex post, in particolar modo vista la sua condotta sessuale. A dispetto del suo dichiarato odio per la promiscuità delle donne straniere, Nikolai ha infatti un discreto successo con il gentil sesso, e non si risparmia a rapporti occasionali con donne di etnia non khazaka. Per sua stessa ammissione, mantiene anche una relazione stabile con Tatiana Ya fin dal ‘77, che perdura almeno fino al primo arresto. Appare invece credibile la descrizione di un macabro sogno ricorrente, nel quale vedeva parti smembrate di corpi femminili fluttuare attorno a sé. È generalmente accettato che la discesa nella follia di Džurmongaliev sia stata contrassegnata da tre tappe fondamentali, due disavventure sessuali e una grave delusione amorosa. Nel corso degli esami psichiatrici effettuati più tardi, Zanna di Ferro afferma di aver contratto la sifilide da Tatiana P. e la tricomoniasi da un’altra ragazza, Lyuba (altre fonti la chiamano Olga), rispettivamente nel ’77 e nel ’78. Questi episodi rafforzano la sua convinzione che tutte le donne siano sgualdrine, tant’è che dopo l’arresto dichiarerà: “Tutte le disgrazie provengono da loro – l’ingiustizia, la criminalità”.

La svolta definitiva è però attribuita al rifiuto di una donna khazaka che Nikolaj desiderava sposare. Da quel momento non cercherà più alcun coinvolgimento romantico, pur continuando ad avere rapporti consensuali con molte donne.

Il 25 gennaio 1979, un bambino incappa nei resti mutilati della sua prima vittima, che si scoprirà essere Nadezhda Yerofim, un’avventista del settimo giorno di un villaggio vicino a Uzun-Agach. Dzhumagaliev l’aveva notata mentre rincasava dalla chiesa, lungo la strada di Maibulak.

È l’assassino stesso, in seguito, a descrivere l’omicidio:

“Ho sempre amato la caccia, e andavo a caccia spesso, ma quella era la prima volta che cacciavo una donna… Ho sentito l’eccitazione martellare dentro di me e mi sono avvicinato. Lei ha udito i miei passi e si è voltata, ma io le sono corso incontro e l’ho afferrata per il collo, trascinandola verso la discarica. Fece resistenza, così le ho tagliato la gola con il coltello. Poi ho bevuto il suo sangue. A questo punto, dal villaggio è apparso l’autobus della fabbrica. Mi schiacciai a terra, accovacciato accanto al cadavere. Mentre rimanevo immobile, le mie mani diventarono fredde. Quando l’autobus è sparito, ho scaldato le mani sul corpo della donna e l’ho spogliata, diventando il suo macellaio. Ho tagliato i seni del cadavere insieme a strisce di grasso, tagliato le ovaie, separato bacino e fianchi. Poi ho infilato tutti questi pezzi nello zaino e li ho portati a casa.

Ho sciolto il grasso, e con un po’ di sale l’ho mangiato come pancetta. Una volta ho usato un tritacarne per farla fina, e ho fatto delle polpette. Ho mangiato tutta la sua carne da solo, non l’ho offerta a nessun ospite. Due volte ho fritto cuore e reni. […] Ho mangiato la carne di questa donna per circa un mese”.

Anna è la seconda vittima accertata. La ragazza scompare mentre torna alla propria abitazione dai bagni pubblici, una passeggiata di poche decine di metri. Sgozzata, trascinata in una discarica, stuprata, smembrata, in parte bruciata e in parte sepolta. Zanna di Metallo ha così giustificato la scelta di quella particolare vittima: “Era pulita, ordinata e appena lavata. Beh, come potevo fare a meno di ucciderla e mangiarla?”

i ritrovamenti di resti umani dilaniati nei dintorni di Uzun-Agach si moltiplicano, destando il panico nella popolazione, e le donne del luogo si fanno più prudenti.
Probabilmente è per questo motivo che Nikolai Dzhumagaliev cambia modus operandi.

Il 21 giugno 1979, attorno alle due di notte, irrompe con la forza in un’abitazione, massacrando, mutilando e mangiando – assaggiando, per la precisione – le due donne adulte che trova all’interno.

È probabile che l’azione avvenga senza premeditazione, perché Kolya sembra del tutto ignaro della presenza di una terza persona, Yulia, riuscita a nascondersi alle prime avvisaglie dell’intrusione. Dal suo nascondiglio, la ragazzina osserva impotente il maniaco che si accanisce sulla madre e la nonna, episodio che la segnerà a vita.

I vicini, allertati dalle urla, avvisano tempestivamente le autorità, ma al loro arrivo Nikolai ha già avuto tutto il tempo per ultimare i suoi macabri rituali e dileguarsi nella notte. Secondo i rapporti ha asportato dai cadaveri ampie porzioni dei tessuti molli, in particolare dalle gambe e dall’area genitale.

Riavutasi dallo shock, Yulia racconta che, tra le varie atrocità, l’assassino aveva bevuto il sangue della madre, ma non della nonna. Sfortunatamente, sembra però che non sia stata in grado di fornirne una descrizione.

Le uccisioni si fanno più serrate. Nel giro di sei giorni, Zanna di Metallo trucida una neomamma con diciotto coltellate, quindi s’improvvisa giustiziere. “Il 27 giugno 1979, la mia ragazza Tatiana Ya mi disse che una donna di nome Valentina aveva rubato dei suoi effetti personali. Tatiana aveva fatto denuncia alla polizia. Ho rimproverato Tatiana per averlo detto alla polizia e le ho ordinato di condurre la ladra a casa mia quella stessa sera, poi sono andato a bere della vodka con gli amici.

Quando sono rientrato a casa la sera ho trovato una ragazza bella e giovane. Tatiana era via, in compagnia di mia sorella Zoe. Io e la ragazza ci eravamo appena seduti sul letto, quando ci siamo spogliati e abbiamo fatto sesso. E tutto è avvenuto con il suo consenso.

Poi ho pensato che la mia ragazza poteva entrare in qualsiasi momento e chiesi a Valentina di continuare nel fienile. L’ho sollevata dal letto e l’ho portata in braccio nel fienile, che si trova nel cortile.

Nel fienile abbiamo avuto un altro rapporto sessuale, ma non ero soddisfatto. Allora ho sentito il desiderio di strangolarla. Le ho stretto il collo con entrambe le mani e ho cominciato a soffocarla. […] Poi ho preso il coltello e le ho tagliato delicatamente la gola. Ho succhiato il suo sangue ed ero di nuovo eccitato. Dopo aver avuto un altro orgasmo mi sono reso conto che era già morta. Ho smembrato il suo corpo in corrispondenza delle articolazioni, ho messo la carne buona in un barile, e gli scarti li ho seppelliti in giardino”.

Kolya l’Orco è ormai alla luce del sole, e la sua dentiera scintillante (che una fonte vuole di oro bianco) gli frutta i soprannomi con cui diventerà internazionalmente celebre: Metal Fang e Iron Tusk. Il 3 dicembre 1981, il tribunale lo riconosce colpevole di sette omicidi, tre dei quali con l’aggravante del cannibalismo. Zanna di Metallo dichiara: “Ho ucciso le donne per vari motivi. Prima di tutto, ero profondamente appagato dalla loro passione sessuale verso di me. In secondo luogo, sentivo un’attrazione irresistibile per il corpo femminile: volevo cercare di conoscerlo pienamente e totalmente. Pertanto mangiavo la loro carne. In terzo luogo, nel libro Black Mist, che ho letto qualche anno fa, era scritto che gli antichi Germani bevevano il sangue di donna per compiere profezie. Volevo fare anch’io delle profezie, così ho bevuto il loro sangue. E ci sono riuscito […] Questa è la mia vendetta contro le donne perché violano la legge di natura. Un uomo deve essere al di sopra delle donne in tutto, ma tutto nella vita è sottosopra. Volevo incutere paura in tutte le donne del distretto. Non ho semplicemente ucciso. Ho sacrificato Tatiana G. per l’anniversario della morte della nonna, e Valya (il 13 dicembre 1980) per onorare il centenario di mio nonno”.

redazione