Ritorno agli anni ’80: Stranger Things

Di Luca Tognocchi per Social Up!

Mettere le idee in ordine dopo aver visto Stranger Things, nuova serie di Netflix, non è facile. Per far capire cosa si prova guardandolo lo si potrebbe descrivere quasi come una ricetta: mischiare i protagonisti di Super8, l’ambientazione di Twin Peaks e il racconto alla X-Files, condire il tutto con musica elettronica tardi anni ’80. Questo potrebbe essere Stranger Things, la cui trama è ancora meno facile da spiegare linearmente: in un piccolo paese scompare un bambino. La storia segue parallelamente le indagini svolte dalla mamma di lui, una magistrale Winona Ryder, dal capo della polizia locale e dai tre bambini amici dello scomparso. Ai tre si aggiungerà una strana bambina dotato di poteri particolari, il tutto mentre una strana creatura sembra aggirarsi nei boschi limitrofi. E come prima, aggiungere al tutto strani esperimenti governativi ed il piatto è pronto.

Stranger Things

E’ chiaro da queste prime righe, e dalle altre opere citate, che la serie di propone di essere un grande omaggio-mosaico agli anni ’80, intrecciando continuamente riferimenti diretti ad elementi culturali ed omaggi impliciti nelle scene e nella stessa messa in scena. D’altronde la trama di Stranger Things non è rivoluzionaria: piccolo paese dove avvengono cose strane ed i locali che indagano, non è una sinossi particolarmente nuova, ma proprio questo elemento permette alla serie di muoversi su un solido terreno sul quale impiantare una estetica citazionista che però nel suo pastiche riesce a risultare originale. Sorprende invece il modo in cui la narrazione si muove fra i generi: è in continua tensione fra thriller e horror, generi che per costituzione richiedono originalità per avvincere, e nonostante ciò riesce a coinvolgere lo spettatore da inizio a fine con una trama solida e forte.

Lo svolgimento non riserva particolari colpi di scena: fin da subito la maggior parte degli elementi che la costituiscono sono messi sul tavolo scopertamente ed il racconto si avvale spesso del flashback, ma questo non tradisce l’interesse. Lo spettatore, aiutato nello svolgersi della storia dalle modalità narrative scelte, può abbandonarsi tranquillo all’osservazione delle scene e al piacere nostalgico suscitato dai continui riferimenti.

Stranger Things non è rivoluzionaria, ma è una bella serie che si propone un obiettivo e lo raggiunge: essere un omaggio a quel periodo aureo dell’audiovisivo americano che sono gli anni ’80.

redazione