Rinchiusa, incatenata, ustionata con il ferro da stiro, si lancia dal balcone per salvarsi la vita dal marito orco

Ci sono storie che non dovrebbero esistere e non dovrebbero nemmeno essere raccontate, tuttavia ci sono donne che alla fine riescono a superare enormi barriere, e chiedono, anzi urlano a piena voce giustizia, e se la giustizia non arriva non si può rimanere in silenzio. Non è possibile che ci siano persone in mezzo a noi, che commettano atti folli da film horror e per quella che definiamo giustizia siano responsabili di condanne assurde, pochi anni e si ricomincia. Una donna di Viterbo, dopo 20 anni di vita accanto ad un marito orco,  incatenata per casa,  rinchiusa per giorni dentro un armadio, nel cassettone del divano, presa a botte per ogni cosa, il suo corpo pieno di cicatrici, il tutto refertato dal pronto soccorso, senza mai dare il via ad una denuncia. Una vita impossibile, bastava un piccolo rumore a casa per far scattare la belva, botte e sangue davanti due bambini impotenti di 11 e 7 anni.

La donna ha raccontato tutto in Aula: “la rinchiudeva nel cassettone del divano o dentro un armadio anche per giorni e la faceva uscire solo per preparagli da mangiare o farla andare in bagno. La teneva legata con una catena e un lucchetto. Oppure in pieno inverno la lasciava nuda sul balcone”. Più volte l’aveva lasciata in piedi in un angolo della casa per ore. Il terribile racconto prosegue con quella volta che le aveva fatto mangiare una pentola di ragù perché pensava l’avesse cucinata un’amica della donna che detestava l’uomo.

L’ha picchiata più volte con una mazza da baseball. Non solo: il mostro è arrivato a cucirle la bocca con due spille da balia per impedirle di parlare. La disperazione ha portato la donna a lanciarsi dal balcone rompendosi una gamba. Lo ha fatto per salvare se stessa ma soprattutto i figli.  ”Se non gli portavo i soldi per comprare la droga, mi picchiava. Se la sera ero stanca, mi picchiava. Se reagivo, mi picchiava. Se la mattina vestendo i bambini per portarli a scuola facevo rumore e lo svegliavo, mi picchiava” ha raccontato la giovane donna in tribunale.
Lui ha fatto un anno di carcere, poi è stato ai domiciliari a casa della madre che ha difeso sempre il figlio dicendo che la nuora mentiva. La madre in tribunale lo ha descritto come una persona buona: “Lui si sa chi è, è un pluripregiudicato, non ha mai lavorato, non si è occupato mai dei figli, assumeva droghe e anche lui una volta beveva, ma è un buono”.

Un processo lungo ed infamante, dove raccontarsi vuol dire esporre la propria anima ad un pubblico insensibile, che riporta tutto in articoli e commi, senza pensare al dramma interno, che non passerà mai.  Alla fine del processo, dove almeno si pensa di avere trovato il coraggio per volere essere vivi, almeno per i due figli, che non hanno colpa, dove sentirsi donna invece è una colpa, il giudice con so a quale riferimento giudiziario e davanti a Dio,  emette una condanna di soli 4 anni, per avere reso schiava e deturpato una donna.  Non si può rimanere in silenzio, lo stesso Corona sta scontando pene più severe per colpe di altro genere ma che sicuramente non hanno rovinato il corpo e la mente di 3 persone, una donna che ha sposato incosapevolmente una belva e due bambini che non sono mai stati bambini.

Alessandra Filippello