Margaret Bourke – White fu una donna di prime volte
La prima ad arrampicarsi su costruzioni d’acciaio sfidando il calore delle fornaci per realizzare fotografie che ancora adesso risultano moderne e insolite.
Fu la prima a scattare fotografie da un aereo a 12 km di altezza e a 3 km di profondità, tra i minatori d’oro in sud Africa.
Fu la prima a raccontare per immagini la grande Depressione degli anni ’30 nel Sud America.
Fu la prima a riprendere gli la piaga della dittatura di Stalin e Stalin stesso, in posa solo per lei.
Fu la prima a documentare l’orrore dei campi di concentramento con immagini raccapriccianti destinate a fare la storia dell’Uomo – Se Questo È Un Uomo.
La prima a raccontare la dolorosa separazione tra India e Pakistan e ad incorniciare il volto di Gandhi a poche ore dalla sua morte.
Per un fotografo ascoltare belle storie non basta. E se ad un semplice giornalista è necessario scrivere un pezzo meraviglioso raccogliendo i racconti degli altri, il fotografo deve mettere a fuoco qualcosa e deve farlo nel momento giusto. Contano solo le immagini che riesci a portare a casa suddivise in frammenti di pellicola.
Margaret Bourke – White
Prima. Donna.
Margaret, nata nel 1904 a New York, attraversa quasi un secolo intero di storia documentandolo dietro la sua macchina fotografica in più di 45 paesi del mondo.
La mostra Prima. Donna, nella splendida cornice di Palazzo Reale di Milano, mette in scena una vita di fotografie, dal solo bianco e nero fino all’evoluzione del colore. Ogni sala è una rassegna delle foto più significative pubblicate su magazine come il LIFE o il FORTUNE, con cui la fotografa lavorò a lungo.
Tutte le domande che sorgeranno al visitatore durante la visita si spiegheranno nell’ultima sala, dove viene trasmessa una rara intervista a Margaret in un celebre programma televisivo americano del tempo.
Come può una donna viaggiare da sola tutto il mondo, imbracciando attrezzatura fotografica più pesante di lei? Quanto può essere doloroso documentare gli orrori della guerra o dei campi di concentramento? Come conciliare una vita così avventurosa con la vita privata?
Margaret era una donna bellissima; si sposò due volte e per due volte si ritrovò sola, con le macerie di un matrimonio andato in frantumi. Lei stessa ammise: ‘ Nella mia vita non c’è mai stato spazio per il matrimonio. Se avessi avuto dei figli sarebbe stato diverso, avrei sicuramente preso da loro tutta l’energia e l’ispirazione anche per il mio lavoro. Chissà, forse invece che andare in guerra avrei scritto libri per l’infanzia. Ma non credo esista una vita migliore, esistono solo vite diverse.’
Una vita a mille all’ora, alla ricerca del solo ed unico momento perfetto, significativo, essenziale ed effimero. Forse la chiave di lettura della vita stessa? Chissà.
Il ritratto che ne esce è quello di una donna diventata il mito di sé stessa: intrepida, coraggiosa, tenace, raccontò il mondo senza mai tirarsi indietro, che fosse la guerra, il caldo, l’altitudine, la solitudine o la malattia.
La malattia, il Parkinson, con cui condividerà ben vent’anni di vita. Una continua lotta con quel male che le fa tremare gli arti e che combatté fino alla gioia di riuscire, ancora una volta, ad arrotolare un nuovo rullino. E, ancora una volta, fare della macchina fotografica il suo occhio sul mondo.
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