Presidenziali Usa, nuovi scenari nell’era post Trump la parola al Prof. Giovanni Farese

Articolo di Paride Rossi e Claudia Ruiz per Social Up

Viviamo tempi politicamente incerti, non solo in Europa ma anche oltre oceano. Le elezioni americane dello scorso mese hanno scosso alcuni labili equilibri geopolitici, cerando un clima di vera incertezza politica in campo internazionale. Trump non ammette ancora la sconfitta, il miracolo dei Democratici in Georgia e il riconteggio dei voti non danno molte speranze all’emerito inquilino della Casa Bianca sempre più prossimo a dover abbandonare la sua ultima abitazione presidenziale.

E’ l’undicesima volta nella giovane vita della democrazia americana che un Presidente uscente non viene riconfermato. Un rospo difficile da inghiottire se sei Trump e hai fatto sfoggio di vittoria fin dal primo giorno di campagna elettorale. Maggioranze diverse in Senato e alla Camera rendono lo scenario politico americano inusuale, così come il ritiro delle truppe in Iraq da parte di Trump, per non parlare della Cina bersaglio della politica repubblicana in periodo Covid. Per capirne di più e cercare di fare delle previsioni sul futuro degli equilibri internazionali abbiamo chiesto al Professore Giovanni Farese.

Giovanni Farese è professore associato di Storia Economica presso l’Università Europea di Roma, nonché grande esperto delle istituzioni statunitensi di stanza a Washington. Guidato dall’approccio scientifico e dall’esperienza, il Professor Farese ha delineato le possibili situazioni che potrebbero interessare gli USA ed il mondo intero nelle prossime settimane che ci separano dall’insediamento di Joe Biden, previsto per il prossimo 20 gennaio 2021.

Un sistema elettorale davvero complesso quello americano, cosa è andato storto in queste elezioni?

In realtà, ha funzionato tutto alla perfezione. Il numero dei votanti è stato il più alto della Storia degli Stati Uniti. È stato un successo di partecipazione, indotto anche dalle possibilità del voto anticipato. L’agenzia del Ministero degli Interni che si occupa della sicurezza informatica ha detto che queste sono state le elezioni più sicure della Storia. Non vi sarebbe altro da aggiungere. La novità è stata rappresentata dal fatto che in queste elezioni il voto anticipato (postale e non) è stato utilizzato, a causa del Covid, molto di più che in passato. E sono stati in larga misura gli elettori democratici a utilizzarlo, anche perché Trump ha in più occasioni minimizzato la portata e i rischi del Covid. Sicché, quando hanno cominciato ad affluire i voti postali, che nella gran parte dei casi sono stati, per ragioni procedurali, conteggiati alla fine, il risultato iniziale della notte elettorale è apparso più netto, se non rovesciato. Ma ripeto: non vi sono prove né di brogli né di frodi. Vale però ricordare che Trump aveva precostituito la tesi dei brogli: con quella tesi oggi mobilita il suo elettorato in vista dei ballottaggi di gennaio in Georgia, decisivi per il Senato; ma guarda anche alle prossime elezioni del 2024. 

Stiamo assistendo ad una battaglia mediatica tra i due candidati, causando molti scontri e manifestazioni anche con le forze dell’ordine. In quale clima Biden diventerà Presidente?

Gli scontri sono stati piuttosto limitati, anche se hanno avuto dei contorni preoccupanti (si pensi al ristretto numero di manifestanti scesi in piazza armati). Ma va detto che la battaglia mediatica è solo di una parte. È Trump che sta “inquinando i pozzi” della democrazia americana. Con effetti globali, perché così facendo delegittima la più antica democrazia del mondo, in una fase storica in cui vi è molta disaffezione per la democrazia; vi sono democrazie illiberali anche in Europa. Biden, dal canto suo, ha tutto l’interesse a non farsi trascinare in una battaglia legale, che non farebbe altro che dare spazio e visibilità a Trump. I suoi toni concilianti servono a dare un carattere di inevitabilità al suo insediamento, che avverrà puntualmente a mezzogiorno del 20 gennaio, quando lui e la sua vice Kamala Harris giureranno. Per quella data, anzi molto prima, i problemi legali saranno chiusi (la data ultima per i riconteggi è infatti fissata all’8 dicembre), ma inizieranno allora i problemi reali, quelli di una società divisa e lacerata, dal Covid prima che dalle elezioni, oltre che da una disuguaglianza economica e sociale, in cui un posto centrale occupa ancora, purtroppo, la questione razziale. 

 Maggioranza in Senato per i Repubblicani e maggioranza alla Camera per i Democratici. Come riuscirà a governare una nazione così divisa?

Questo è il punto centrale. È la prima volta, dalla metà dell’Ottocento (dal 1844), che un presidente eletto non ottiene la maggioranza al Senato. É invece più frequente che il presidente perda quella maggioranza nelle elezioni di mid-term: è avvenuto al presidente Obama nel 2010 e l’ostruzionismo della maggioranza repubblicana ha avuto un peso nel limitare l’azione di politica economica e sociale dell’ex presidente. Biden sarà fin da subito in questa situazione. Peraltro, la maggioranza alla Camera non è ampia. Secondo alcuni, potrebbe essere un vantaggio per Biden, che sarebbe così costretto a governare “al centro”, marginalizzando l’ala più radicale del suo partito. Secondo altri, a problemi radicali occorrerebbe rispondere con politiche radicali, capaci cioè di ricomporre le fratture sociali. Penso che, in un contesto di unità intorno a principi e valori, Biden dovrà essere attento all’abbraccio con i repubblicani. Occorrono politiche più espansive di quelle che i repubblicani sono disponibili ad accettare. Biden ha infatti vinto le elezioni su una piattaforma progressista: cambiamento climatico, investimenti infrastrutturali, nuovi posti di lavoro ben pagati e con maggiori garanzie sindacali.  

Imprescindibile parlare di Covid, 11milioni di contagi e 245mila morti, l’eredità di Trump è pensate. Dove ha sbagliato e come si può riprendere politicamente una situazione così drammatica?

Non sarà facile. Riflettiamo su questo dato: gli Stati Uniti hanno il quattro per cento della popolazione mondiale ma il 20 per cento dei morti globali dovuti al Covid. Trump ha minimizzato il problema, come hanno fatto altri populisti in giro per il mondo (i quali hanno pagato, anche personalmente, le conseguenze di tale atteggiamento). Pochi giorni fa alcuni consiglieri di Trump hanno incitato la popolazione di uno Stato (il Michigan) a insorgere (rise up) a fronte delle restrizioni decise dagli Stati. Ai governanti è oggi chiesta grande misura, anche nelle parole, ma azioni decise e responsabili. Biden ha una lunga esperienza, più che quarantennale. Ha dichiarato che, anche se lo ha scelto una parte (maggioritaria), governerà nell’interesse di tutti, come un presidente deve fare. La sua prima scelta, dopo la vittoria, è stata nominare un comitato di esperti per affrontare l’emergenza Covid. In una situazione senza precedenti, la politica ha il dovere di non contribuire ad aumentare il clima di incertezza e sfiducia. Ci vuole una speranza ragionevole, non ingenua. Occorrerà poi delineare subito una strategia per la vaccinazione di massa, che è cosa diversa dalla disponibilità del vaccino. 

Elezioni sudate e particolarmente lunghe, questa incertezza politica in USA che ripercussioni avrà con gli alleati europei?

Certamente l’elezione di Biden rasserena il clima delle relazioni transatlantiche. Trump aveva spesso trattato governi discutibili come “amici” e alleati storici, come quelli europei, come “quasi nemici”. Si tornerà a collaborare e a dialogare, anche nelle sedi del multilateralismo. Ma sarà bene non farsi troppe illusioni. L’Europa non è più al centro delle preoccupazioni americane, mentre l’Asia lo è. È una politica avviata da Obama, con il “pivot to Asia”, proseguita a modo suo da Trump, e che Biden porterà avanti. Certo, Biden appartiene, anche per ragioni generazionali, a quella parte della classe dirigente americana che crede in una comunanza di lungo termine di interessi e valori con l’Europa. Ma alcune tensioni permarranno. Si pensi alla difesa: Biden rinnoverà la richiesta agli alleati della Nato, Italia e Germania in testa, a fare di più in termini di impegno di spesa per l’alleanza atlantica, che è oggi in una fase di ripensamento. Si pensi ancora al 5G di marca cinese. O alle forniture di gas russo.  L’Europa deve crescere, anche politicamente, e spiegare agli Stati Uniti che un Europa forte è nel suo interesse. Trump pensava l’esatto contrario: puntava a dividere per trattare bilateralmente, da una posizione di forza solo apparente, perché in realtà minava le basi della prosperità globale. 

L’eredità in politica estera di Trump è pesante, la guerra con la Cina ha davvero reso lo scenario economico e politico internazionale più incerto. Cosa dovrà fare secondo lei Biden per risanare i rapporti?

Come dicevo, l’Asia sarà al centro degli interessi degli Stati Uniti. La Cina è il “concorrente strategico” Siamo entrati in una fase di “transizione egemonica”, dagli esiti aperti, non scontati. Il metodo Trump non ha dato i frutti da sperati. Il deficit commerciale degli Stati Uniti nei confronti della Cina è oggi quello che era quattro anni fa, all’incirca trecento miliardi di dollari. Nel frattempo, la politica dei dazi e della trade war ha indebolito la crescita globale e minato la fiducia nei mercati aperti di cui l’Europa l’Italia hanno grande bisogno, perché il loro sviluppo è trainato dalle esportazioni. Cina e Stati Uniti hanno modelli di sviluppo in cui la domanda interna conta (o conterà) di più. Nel piano quinquennale cinese si parla “circolazione interna”. Ma la Cina continuerà anche la sua espansione mondiale, come dimostra il recente accordo Recep per creare un’area di libero scambio con quindici paesi asiatici. Biden proverà a “contenere” la Cina, rilanciando la collaborazione con i suoi alleati asiatici, ma dovrà anche colmare il ritardo tecnologico in alcuni campi, per esempio nel 5G. Biden sarà più attento ai diritti umani, a cominciare da Hong Kong e Xinjiang, ma questo sarà causa di altre tensioni. Insomma, ci vorrà grande equilibrio, a partire dai toni, per scongiurare conflitti che sono sempre possibili. 

Palestina e Israele: Netanyahu teme la probabilità che il Presidente eletto possa impegnare nuovamente l’America in un accordo con l’Iran sul nucleare. Anche l’Arabia Saudita deve molto a Trump per l’avvicinamento con Israele in chiave anti-iraniana. Qual è la politica di Biden e come si potrebbe evolvere la questione?

Anche qui: cambieranno anzitutto i toni, e in politica la forma è sostanza. Ma sarà difficile che Biden decida di riportare l’ambasciata da Gerusalemme a Tel Aviv, una decisione pericolosa e sbagliata assunta da Trump. Biden ha elogiato le intese per la normalizzazione dei rapporti tra Bahrein, Emirati e Israele. Ascolterà le richieste palestinesi provando ad avviare una qualche soluzione che tenga conto degli interessi delle due parti. Frenerà i piani israeliani di annessione della Cisgiordania. Quanto all’Arabia Saudita, sarà più critico sui diritti umani e molto meno indulgente verso il principe saudita (si pensi alla guerra in Yemen). Per il resto, Biden considera una priorità il ritorno all’accordo nucleare stipulato con l’Iran da Obama nel 2015. E l’Iran ha risposto con parole di apertura. Ci sarà forse un ammorbidimento delle sanzioni. Ma la questione è aperta: mancano due mesi all’insediamento di Biden e Trump potrebbe dare dei “colpi di coda”. Vi sono preoccupazioni in questa fase sulle “mine” che il presidente uscente potrebbe deliberatamente disseminare, non soltanto in questo campo, per provare a indebolire l’azione del successore. E poi occorrerà attendere le elezioni in Iran a giugno. 

Claudia Ruiz