Mute: l’urlo muto nella soffocante metropoli

Esce in esclusiva su Netflix il nuovo film di Duncan Jones (già autore di Source Code e Moon). In questa pellicola il figlio di David Bowie, promettente e talentuoso regista, gira un noir fantascientifico torbido, dalla narrazione ellittica e frammentata, che ha come protagonista un barman muto, Leo, (un buon Alexander Skarsgård), che ha perso l’uso della parola quando era bambino.

Data la sua appartenenza alla comunità amish, seguendo gli insegnamenti della sua religione, rifiuta l’utilizzo di qualsiasi tecnologia, un paradosso notevole, visto che vive in una Berlino del futuro (2046) dominata da macchine ultra-sofisticate che si sostituiscono all’uomo, molte delle quali funzionano solo con comandi vocali.

La sua scelta è talmente radicale che preferisce rimanere muto, ma puro, piuttosto che implementare il suo corpo con un apparato fonatorio artificiale che gli permetterebbe di parlare. La sua semplicità e purezza affascinano Naadirah (Seyneb Saleh) attraente cameriera da lui conosciuta sul lavoro e i due hanno una relazione che sembra diventare sempre più seria; ma se la vita di Leo è chiara e trasparente, Naadirah nasconde molti segreti. Proprio quando è sul punto di rivelarli a Leo, la ragazza scompare nel nulla come fagocitata dalla caotica metropoli.

Ad indagare sulla sua scomparsa vi è solo Leo, un uomo muto, in una Berlino ultra rumorosa e caotica, in cui nessuno sembra disposto ad ascoltare. L’indagine è un vero e proprio incubo, un girare a vuoto in una città squallida e ostile, ma Leo non si arrende ed è disposto a tutto pur di ritrovare la donna, anche ad utilizzare le tecnologie che prima aveva sempre ripudiato. Sullo sfondo della città si aggirano squallidi e inquietanti personaggi, come Cactus (Paul Rudd) e il suo collega Duck (Justin Theroux), chirurghi che utilizzano le loro competenze per metterle al servizio della mala e sfruttano la tecnologia per soddisfare i propri oscuri e perversi desideri. Attraverso una sceneggiatura originale, volutamente confusa nel narrare i fatti e straniante, la storia di Leo si avvicinerà sempre di più a quella degli altri protagonisti, offrendo solo alla fine il quadro complessivo dell’intreccio.

Nonostante abbia diversi momenti confusi (in parte voluti), tempi morti (alcuni evitabili, come le scene dell’inseguimento) e alcune scene superflue che ne aumentano ingiustificatamente la durata (alcuni scontri un po’ ridicoli come quello in cui il protagonista “carpentiere” imbraccia un enorme bastone di legno per combattere), nel complesso Mute è un buon film, molto più sensato di come appaia all’inizio della visione.  Senza dubbio la seconda parte della pellicola, in cui si tirano i fili della trama, è la migliore. Bella al livello di sceneggiatura l’idea di un protagonista puro, incapace di parlare, che, impotente, è soffocato dalla violenza, dalla promiscuità e dalla perversione di un mondo iper-tecnologico, in cui anch’egli è destinato ad “immergersi”. Da vero Noir, infatti, Mute non celebra il suo protagonista, ma lo affossa sempre di più nel fango di una società alienata e soffocante, in una Berlino cui è facile perdersi ed essere trattati come merce e da cui sembra impossibile scappare, che sia legalmente oppure illegalmente.

Truce, violento il film è un intreccio sempre più articolato di nefandezze e perversioni, come è perverso e beffardo il destino dolce-amaro del protagonista, sul finale, che si ritrova tra le mani un’eredità non voluta ma imposta con violenza, che alla fine non potrà mai rifiutare. Bella la sequenza d’apertura della pellicola nel lago in cui Leo perde l’uso della voce, così anche la musica che l’accompagna: sequenza che ritorna nel finale ed è metafora della rinascita: una sorta di battesimo che sancisce un impietoso e doloroso inizio per il protagonista, non privo però di speranza.

Come si diceva sopra se la durata di Mute fosse stata più breve questo avrebbe facilitato il finale e reso il film più scorrevole. Al netto di questi difetti, rimane una prova interessante di Duncan Jones, forse la più sperimentale che abbia fatto fino ad ora, e conferma la creatività dell’autore, anche abile nella sceneggiatura.

Francesco Bellia