“Milano è la donna del mistero”: intervista allo scrittore noir Paolo Roversi

Se dovessimo raccontarvi di tutte le cose che ha fatto Paolo Roversi, forse non ci basterebbe un’intera giornata. Scrittore di gialli, classe ’79, mantovano di nascita ma milanese di adozione, vanta la pubblicazione di diversi lavori: 6 romanzi con protagonista il giornalista hacker Enrico Radeschi, un dittico sulla storia criminale milanese intitolato “Città rossa“, un libro per ragazzi, varie sceneggiature per serie televisive, saggi in cui tratta di Charles Bukowski, uno spettacolo teatrale. E poi racconti, ebooks, guide turistiche noir.

Una vera produzione letteraria a 360°. Una costante accomuna però quasi ogni scritto da lui composto: la sua Milano. Infatti Roversi non è un semplice scrittore di gialli: egli scrive noir metropolitani, nei quali la figura della città si staglia maestosa a conquistare il ruolo di personaggio a pieno merito.

I suoi noir gli sono valsi numerosi premi letterari: il premio Camaiore per la letteratura gialla con “La mano sinistra del diavolo” , il Premio Selezione Bancarella e il Premio Garfagnana in Giallo con il romanzo “Solo il tempo di morire”. Tra un lavoro e un altro, ha trovato il tempo di scambiare quattro chiacchiere con noi.

Partiamo con una domanda base: cosa significa per te scrivere? Com’è cambiato il tuo rapporto con la scrittura nel corso della carriera?

Scrivere per me significa soprattutto passione. La passione è qualcosa che mi ha sempre accompagnato, e con il tempo coltivandola è diventata un vero e proprio mestiere. Nel corso degli anni essa è sempre rimasta: non si può parlare della scrittura interpretandola come se fosse un lavoro come un altro. Si tratta di una passione che coltivi, che affini, è fatica ma soprattutto sacrificio. La fatica e i sacrifici, poi, aumentano col tempo. Più ti affermi e più ci sono delle aspettative quando scrivi un libro, quando scrivi una storia. Diciamo quindi che negli anni è aumentata la pressione, ma la passione è rimasta la stessa degli inizi. Ovviamente ci sono sempre degli alti e dei bassi, ci sono sempre momenti di sconforto. Ma è normale, è naturale: un po’ come quando a Tenco chiedevano “perché scrivi sempre canzoni così tristi?” e lui rispondeva “perché quando sono contento esco”! Scrivere è molto sacrificio, quindi, ma anche grandi gioie.

Tra le tante cose, hai anche scritto un libro per ragazzi. Come mai hai deciso di scrivere un libro così “diverso” dai generi che di solito affronti? Quali differenze con essi hai notato durante la stesura?

All’epoca la mia casa editrice mi aveva chiesto di scrivere un romanzo per ragazzi delle medie, infatti il libro è adottato in prima e seconda media. Il libro che ho scritto è “Gli agenti segreti non piangono” il cui protagonista è Enrico Radeschi, il quale era già il mio protagonista principale per altri romanzi. Non ho avuto molta difficoltà nell’immedesimarmi nei panni del lettore, perché alla fine avendo lo stesso protagonista ho solo dovuto cercare di inserire una situazione dove non ci fossero troppo sangue e violenza: ho inventato così una rapina con l’”happy ending” finale. Inoltre i lettori di quell’età sono molto svegli, non sono dei lettori diversi dagli altri. Quindi non è stato difficile come avrei potuto credere all’inizio.

E’ stato un esperimento che è andato a buon fine, il libro è stato adottato da molte classi, anche se non ho più ripetuto una cosa del genere, se non sotto pseudonimo: ho scritto un romanzo a quattro mani insieme a mia moglie chiamato “Twelve”, che comprendeva un pubblico di età più grande, 15-16 anni. Questa volta, però, il mio protagonista era un lupo mannaro, tutto un altro genere!

Nei tuoi romanzi che hanno come protagonista Enrico Radeschi, il giornalista vive un rapporto con Milano come se essa fosse un’entità vivente, una persona. E al tempo stesso il suo cammino incrocia quello di tante donne, molto diverse tra loro. Secondo te, se Milano fosse una donna, che tipo di donna sarebbe?

Milano è sempre stata la protagonista, perché le storie di Radeschi non potrebbero essere ambientata in un altro luogo. E’ così particolare questa città, e lui la vive in modo così particolare, che essa diventa quasi la co-protagonista. Se Milano dovesse essere una donna… sarebbe una donna ammaliante, una donna affascinante, ma anche una donna piena di mistero. Perché ogni volta Radeschi si trova a dover affrontare e risolvere un mistero. Milano è proprio la donna del mistero. Parliamo purtroppo di una città che è molto stereotipata da chi viene da fuori: viene conosciuta per il Duomo, i navigli, la Rinascente, ed è finita lì. Invece Milano ha mille sfaccettature, e attraverso il genere del giallo, attraverso Radeschi, ho modo di raccontare tutta la città, con i suoi aspetti meno noti.

Come è nata la tua passione per i fatti di cronaca nera? Cos’è che ti affascina di quel mondo?

Io ho cominciato la mia carriera come giornalista, tanti anni fa facevo il cronista di nera per “La gazzetta di Mantova” (e avevo una vespa gialla, che poi ho trasmesso al mio protagonista Radeschi). Non so se si possa parlare di vera e propria passione, avendola fatta ho capito tanti meccanismi insiti nella cronaca nera, e poi quella è diventata il motore per tutti i miei romanzi gialli: da un fatto di sangue si parte per raccontare una storia.

Ora ti faccio una domanda un po’ “spinosa”: fra tutti i libri che hai scritto, qual è il tuo preferito e perché?

Sicuramente quello che mi ha dato più riconoscimenti e quello in cui ho speso più impegno è “Milano criminale”, frutto di 3 anni di lavoro, ed è stato quello che mi ha fatto fare il “salto di qualità”. A Milano criminale è poi seguito “Solo il tempo di morire”, che con il primo romanzo forma un dittico. Poi sicuramente ci sono i romanzi con Radeschi, ma Milano criminale è probabilmente colui che detiene il primo posto dei miei libri senza Radeschi.

Sul tuo blog personale c’è tutta un’area dedicata a lezioni di scrittura creativa. Secondo te, quali caratteristiche (anche caratteriali) deve possedere lo scrittore?

Sicuramente la curiosità e la voglia di leggere. Quelli che vogliono mettersi davanti al foglio bianco e raccontare delle storie devono averne lette e devono continuare a leggerne continuamente, ma anche a vedere serie tv: penso che le serie crime siano il nuovo modo di trovare l’ispirazione per le storie. Sono scritte bene e hanno delle caratteristiche, specialmente per il noir, molto utili per stimolare la fantasia. E poi comunque ci vuole la costanza, la pazienza. Perché i risultati arrivano piano piano, ci vogliono anni spesso, e magari a volte non arrivi da nessuna parte (al grande Camilleri gli ci sono voluti 70 anni!). Quindi ci vuole la passione, semplicemente. Se non hai la passione e cerchi solo i risultati, stai seguendo il modo più sbagliato di fare questo mestiere.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ultimamente ho scritto una serie sotto lo pseudonimo di Lorenzo Visconti. Si tratta di  “Dragon“, una serie scritta in esclusiva per Amazon publishing. Al momento sono tre volumi, dei quali l’ultimo è uscito 15 giorni fa e si chiama “Il morso del drago”. Ho cominciato a scrivere questa serie un anno fa e a ottobre uscirà, per l’editore Cairo, il formato cartaceo. Ho fatto questo esperimento perché prima di tutto volevo provare a scrivere sotto pseudonimo, e poi volevo cimentarmi con un pubblico diverso, ossia coloro che leggono prevalentemente su Kindle e su internet. L’esperimento è andato bene e a ottobre il libro sarà nelle librerie con un editore fisico!

Monica Valentini