Luis Ocana, la storia vestita di nero del ciclista che sfidò l’impero

Le cinqo de la tarda. Alle cinque della sera del 19 maggio 1994, Luis Ocana, come un torero triste abbandonò senza combattere l’arena, sconfitto per sempre. Un’ora fatidica dettata dal fato come quella che ossessivamente ripete nei suoi versi Garcia Lorca celebrando il lamento funebre per il suo amico Sanchez anch’egli matador.

Si lasciò incornare dalla vita per l’ultima volta quell’uomo orgoglioso e sensibile quando si fece saltare le cervella. Uno sparo all’ora di pranzo, figlio di un mistero popolato dai fantasmi del passato, dagli inquietanti interrogativi del presente e da chissà quali problemi dovuti a una depressione dilagante, mise fine a una vita difficile che a raccontarla comunica emozione, ci trascina nell’esaltazione e ci suscita commozione.

La miseria più nera e una fede politica da bandiera rossa spinsero la famiglia Ocana a inseguire una diversa esistenza almeno colorata di un tenue verde speranza. Era il 1951 e a piedi, con mezzi di fortuna e poche masserizie appresso incominciarono le prime tappe di un cammino dolce amaro del primo di cinque fratelli chiamato Luis. Al seguito della famiglia con il padre, ex cardatore di lana ora muratore presso la centrale idroelettrica del Portillon, aveva sei anni e già con nasino all’insù traguardava da quel versante spagnolo i Pirenei: quei monti che sembrano infilzare il cielo e dove sarebbe stato racchiuso il suo destino.

Li oltrepassò appena dodicenne e capì subito cosa vuol dire uno sguardo invece di un altro.
Quello ostile era riservato, quando non era accompagnato da sputi e sassate, a lui come a tutti gli emigranti. Quel piccolo fragile e sfuggente ragazzino originario di Priego di Cuenca in Spagna, assieme ai suoi in cercava lavoro, rispetto e fortuna girovagando nella vivace e laboriosa provincia francese: prima a Magnan, dove Luis senior s’inventava boscaiolo per diventare poi contadino a Le Houga.

Qui, tra andata e ritorno nel paese quel ragazzo di bottega della falegnameria di monsieur Ducrosse, percorreva in bicicletta ventotto chilometri al giorno e nel frattempo imparava il mestiere di ebanista.

A quindici anni, lo spagnolo di Mont de Marsan, come con evidente spregio lo chiamavano i suoi connazionali poiché in quella cittadina si era trapiantato in pianta stabile, scoprì il piacere di inforcare le due ruote nel divertimento delle corse. E qualche anno dopo capì che quel mezzo non rappresentava solo la quotidianità per vivere, ma il domani per pretendere e il futuro per affermarsi.

Luis Ocana era un figlio ribelle di un padre autoritario e per correre falsificò la sua firma. Si classificò decimo alla sua prima corsa, poi vinse la seconda e divenne qualcuno tra i dilettanti al punto di sperare in una convocazione nella nazionale spagnola dove però, gli fece sapere Puig presidente della rispettiva Federciclismo, non c’era posto per i comunisti. Questi trascorsi rimarranno marchiati a fuoco nella sua carne. Diventato qualcuno, malgrado moglie figli e residenza, rifiuterà la cittadinanza francese. Poi come campione nazionale spagnolo a cronometro cominciò a togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti dei suoi detrattori a cominciare dai grossi papaveri del ciclismo e nel frattempo si riappacificò col padre morente. E infine la rivincita totale quando ebbe quasi tutti i francesi dalla sua parte allorché sfidò e fece traballare il trono di sua maestà Eddy Merckx: il più grande ciclista di tutti i tempi. Costui, un predestinato baciato in fronte da madre natura, era detto il cannibale per la inestinguibile voracità con cui inseguiva la vittoria e aborriva il digiuno della sconfitta. Per lui erano come facce della stessa medaglia che trattava con ossessione e sprezzo.
Appariva eccessivo in tutto: personalità, potenza e grinta quello spavaldo despota del ciclismo di quel tempo, tiranno implacabile di una bicicletta che quasi squassava con i suoi furenti colpi di pedale. Al suo confronto quell’omino dallo sguardo dolce, ombroso, riservato e quasi melanconico oltre i geni del fuoriclasse e un furore agonistico senza pari rivelò al mondo un’altra dimensione: quella dell’artista autore di intarsi ciclistici di prima qualità quasi fossero ereditati dal suo primo mestiere: capace di cogliere l’attimo fuggente inerpicandosi leggero verso le vette; accucciandosi armonioso sulla bici nelle gare a cronometro; e pedalando agile quasi a scivolare sull’asfalto nelle tappe in pianura.

Nel disegnare la sua carriera, Luis legò indissolubilmente il suo nome a quello di tale campione assoluto perché la grandezza sportiva si commisura al valore dell’avversario. La sua vera dimensione sportiva che sarebbe potuto lo stesso essere quella di un fuoriclasse di prima grandezza, sconfina nella leggenda poiché racconta l’epica dei grandi duelli attraverso fiere rivalità, alleanze e tradimenti dettati da interessi comuni, alternate a gesti sportivi dai nobili significati.

Era il luglio dell’anno 1971, ebbro di successi e tronfio di una superiorità dimostrata vincendo i due tour precedenti, il ventiseienne Edouard Louis Joseph Merckx, sprizzava ottimismo da tutti i pori della pelle nella convinzione, a stento nascosta, di aggiungere un’altra perla alla sua collana di quasi ininterrotte vittorie. In quella edizione la corsa gialla partiva da Roubaix per poi in successione raggiungere prima le Alpi e dopo Pirenei. Risultati alla mano e occhio esperto Eddy individuò nello spagnolo l’uomo più pericoloso per le sue mire e cercò in fase di pretattica di metterlo addirittura al suo stesso livello tecnico:” Luis ha più numeri di me” disse. Mentiva ma non troppo perché rispetto al suo alter ego coetaneo iberico egli era molto superiore in volata, lo sopravanzava di poco a cronometro ma lo soffriva molto in salita.

Photo prise, le 8 juillet 1973, du cycliste espagnol Luis Ocana (C) et du Français Raymond Poulidor (G), au départ de la 7ème étape menant les coureurs du Tour de France, en deux demi-étapes, de Divonne les Bains à Méribel les Allues. Luis Ocana (maillot jaune) sortira vainqueur de cette édition. (FILM), Image: 68222318, License: Rights-managed, Restrictions: , Model Release: no, Credit line: Profimedia, AFP

Dopo i primi assaggi, piccole scaramucce e ingannevoli schermaglie, Ocana guadagna una quindicina di secondi sul Puy de Dome. Sulle Alpi al caldo si rosola bene. E giunge a Orcierès Merlette sui Pirenei, le montagne della sua gioventù, dove rivede e allontana a colpi di pedale stenti e sofferenze e in preda a un furore quasi mistico in una cavalcata solitaria di 70 chilometri stacca lo spocchioso vallone, simbolo del potere assoluto, di quasi nove minuti. Nel successivo giorno di riposo i titoli sui giornali, non solo sportivi, si sprecano e parlano della prossima fine dell’ancien regime“L’empereur fusillé“, scrive L’Equipe.

La tappa seguente prevede arrivo a Marsiglia dopo 251 chilometri e tanti sono quelli che al comando delle sue truppe con l’aiuto di alleati improvvisati per comodo, l’indomabile imperatore percorre in fuga per incominciare la sua restaurazione: guadagna due minuti e dodici secondi su un manipolo di avventurosi guidato da Ocana.

La cronometro di Albi è quasi pari: solo undici secondi a favore dell’indemoniato monarca.

Ne restano sette e ventitré secondi a quel fenomenale interprete dalle movenze feline e dal temperamento caliente e proprio in quel clima da duello all’ultimo sangue, egli viene calpestato dalla sfortuna. Sole rovente, calore asfissiante e asfalto ribollente: in questo traboccare di guerreschi propositi si corre la Revel-Luchon. Succede tutto ai piedi del Portet d’Aspet: in men che non di dica il cielo si gonfia di grossi nuvoloni che scaricano spruzzi di pioggia bastevoli però a rendere il percorso viscido e molto scivoloso. Qui sulla discesa dopo il col de Mente, mentre il belga sbanda ma resta in piedi, Luis Ocana che lo controllava benissimo nonostante questi scattasse a ripetizione, cade contro un muretto e mentre tenta di rialzarsi viene travolto da Zoetemelk. Ancora una volta la mala Suerte, già compagna di tante vicende della sua vita e della sua carriera, indossa l’abito nero delle tragedie greche e per il prode spagnolo non c’è più niente da fare: rimane a terra e poi soccorso viene ricoverato in ospedale a Sans Gaudiens, mentre il belga fila via verso il successo. Questa volta Merckx  riconoscerà in pieno il valore dell’avversario rifiutando di indossare la maglia gialla nella tappa seguente. Mai più e nonostante Felice Gimondi egli troverà sul suo cammino un tale e degno avversario.


Non ci sarebbe stata più rivincita
: l’anno successivo Luis avrebbe abbandonato il Tour per una broncopolmonite e nel 1973 quando lo vinse sbaragliando da par suo la concorrenza, l’inossidabile Eddy, in tutt’altre imprese affaccendato, non c’era e gli tolse anche questo incommensurabile piacere. Il suo palmares non rende giustizia alle sue enormi qualità ma comunque annovera oltre la Grand Boucle, una vittoria alla Vuelta nel 1970, un terzo posto nel mondiale in linea del 1973 a Barcellona e la bellezza di ben 110 vittorie complessive. Un corridore unico, quasi raro, efficace ed elegante allo stesso tempo che pagò un prezzo forse eccessivo per raggiungere il successo: era scritto nelle stelle che quell’uomo con siffatte stimmate non avrebbe mai potuto oltrepassarlo. Così come mai non sarebbe arrivato alla mezza età: non si rassegnò a sopravvivere tanto per farlo e decise di dire basta. Per sua espressa volontà pretese di essere cremato e che le sue ceneri affidate al vento volassero ancora una volta, l’ultima, sopra gli amati Pirenei.

Luis Ocana, il campione dal volto gentile e dal carattere impavido, riposa tranquillamente tra quelle montagne, la quiete del silenzio e i suoi taciti significati gli fanno compagnia e ogni tanto a qualcuno forse sembrerà di rivederlo pedalare tra le ombre e le fronde di quei maestosi alberi. In fondo anche le storie dai tristi finali hanno bisogno dei loro miraggi: fanno bene al cuore e risollevano lo spirito.

Vincenzo Filippo Bumbica