Jon Venables e Robert Thompson, i due baby killer di Bootle

Al di là delle norme giuridiche che, quando vengono applicate, fanno riferimento a casi generali e non sempre reali, ci si chiede qual è il limite per un criminale per essere giudicato “incapace di intendere e di volere”, ma ancora di più parchè oggi degli omicidi vengono puniti in maniera così superficiale? Due ragazzini hanno rapito, ucciso e fatto scempio di un bambino, alla fine ammettendo il loro crimine con una leggerezza perfino disarmante. Quale può essere la pena per un crimine del genere? Conta il fatto che avevano solo 10 anni? Erano davvero incapaci di intendere e volere?

I due baby killer si chiamano Robert Thompson e Jon Venables, mentre la vittima James Bulger. Cominciamo dalle “attenuanti”, o meglio da quegli aspetti che ad alcuni sembrano far ricadere la colpa dell’atto su altre cose, come la loro vita disagiata (personalmente non credo siano attenuanti, ma lasciamo perdere).

Le indagini svolte sulle famiglie dei due bambini portarono alla luce che Thompson è figlio di un’alcolista e si sospettò fortemente che sia il padre che il fratello avessero abusato di lui; Venables invece è figlio di genitori divorziati, entrambi affetti da depressione e i loro comportamenti avevano pesantemente influenzato la vita dei fratelli che studiavano in una scuola speciale per ragazzi con problemi psicologici. Jon però era quello creduto sano ed educato, anche se a scuola aveva causato più di un problema: inizialmente vittima di bullismo da parte degli scolari più grandi, quando conobbe Thompson a scuola dopo che entrambi erano stati bocciati si era trasformato lui stesso in un bullo, affrontando però sempre bambini più piccoli di lui e sempre in presenza dell’amichetto.

Aggiungiamo anche le attenuanti per le famiglie. A scuola i due ragazzini erano soliti combinare diversi guai e i genitori vennero richiamati molte volte per la condotta dei loro figli. Nonostante i genitori dissero di aver tentato un’educazione più rigida nessuno di loro era a conoscenza che da mesi i due bambini marinassero la scuola per gironzolare per la città di Liverpool. Le due famiglie iniziarono anche ad accusarsi a vicenda e i Venables affermarono di proibito al figlio di rivedere Thompson e che lo aveva messo in castigo nella sua camera per lungo tempo.

Quella mattina presso il centro commerciale New Strand di Bootle c’era Denise e suo figlia James, che il mese successivo avrebbe compiuto 3 anni. Alle 15.39 Denise entrò nella macelleria e James, attirato dai giochi del centro commerciale e dagli altri bambini che giocavano all’entrata, rimase indietro e si fermò sulla porta d’entrata del negozio. La madre lo chiamò più volte, ma il bambino non sembrava intenzionato ad andarsene, ma semplicemente ad ammirare il gioco di luci e le persone che passavano.

C’erano anche Venables e Thompson, che quel giorno avevano di nuovo saltato la scuola per bighellonare in giro. Le immagini dalle telecamere di sorveglianza li ripresero diverse volte mentre se ne stavano seduti a giocare con alcuni oggetti che avevano rubato nei negozi: soldati, delle batterie stilo, un barattolino di vernice blu per il modellismo, un pupazzo e un bel po’ di caramelle. Circa un’ora prima, forse annoiati perché non avevano nulla da fare, uscirono dal centro commerciale per andare verso i magazzini e per impegnare il tempo decisero di rapire un bambino.

Dalle loro testimonianze (come leggerete anche dopo) si accusarono l’un l’altro scaricando la colpa sul compagno e auto scagionandosi (ovviamente finchè non vennero raccolte le prove necessarie), ma pare che una volta giunti davanti ai grandi magazzini T J Hughes fu Robert Thompson ad avvicinarsi ad un bambino di 2 anni che giocava con la sorellina nei pressi di una madre impegnata nella spesa. Sta di fatto che ai due 11enni andò male perché, nonostante al bambino vennero offerte delle caramelle per seguirli, la madre si accorse delle loro intenzioni e li cacciò malamente.

Tornati nuovamente al New Strand Shopping Centre rimasero diversi minuti ad osservare i bambini che giocavano per localizzare quello più lontano dai genitori e fu allora, alle 15.40, che videro James Bulger fermo sulla porta della macelleria. I due assassini si avvicinarono, gli parlarono e gli offrirono delle caramelle per convincerlo a seguirli; alle 15:42, quando la madre uscì, si accorse che il piccolo era scomparso.

Ad un certo punto, uno dei due afferrò il bambino per i piedi e lo sollevò facendolo cadere di testa: l’impatto con il suolo gli causò una profonda ferita sulla fronte e, quando i due si resero conto che era piuttosto grave, scapparono lasciandolo in mezzo alla strada. Passati alcuni minuti dietro una siepe Thompson e Venables si accorsero che nessuno giungeva ad aiutare James, così tornarono sui loro passi e lo ripresero per mano per proseguire.

Tornarono indietro e Jon Venables coprì la fronte di James con il cappuccio del suo giubbotto per mascherare la ferita. Molte persone notarono i tre bambini, ma nessuno li fermò nonostante il bambino piangesse a dirotto. Quando l’agghiacciante omicidio venne a galla e venne riportato da tutte le maggiori testate giornalistiche furono gli stessi media a denunciare le persone che avevano visto James Bulger che veniva trascinato per la città e non erano intervenute, additandoli come i “38 di Liverpool”.

Alle poche persone che chiesero a Venables e Thompson cosa avesse quel bambino che piangeva sempre loro risposero che non sapevano chi fosse, che lo avevano trovato alla collina e che lo stavano portando alla stazione di polizia. Nonostante quelle dichiarazioni già di per se sospettose nessuno mosse un dito per accertarsi delle condizioni del piccolo James e la poche donne che per scrupolo domandarono qualcosa ai ragazzini si limitarono ad osservarli per poi riprendere le loro faccende quotidiane.

Jon, Robert e James raggiunsero la stazione ferroviaria Walton & Anfield sulla Walton Lane, poi tornarono indietro lungo la strada principale fino alla casa di Robert Thompson, che era proprio vicino alla stazione di polizia. Erano passate le 17.30 e il sole era tramontato: la polizia era già alla ricerca di James e i bambini intuirono qualcosa perché nuovamente tornarono indietro lungo la strada principale per disfarsi del bambino.

Tornarono verso la ferrovia e nei pressi della stazione ferroviaria uno dei due ragazzi (nuovamente si accusarono a vicenda) tirò la vernice blu sulla faccia di James; poi entrambi colpirono il piccolo con mattoni, sassi e una sbarra d’acciaio che avevano trovato lungo la tratta. Entrambi lo presero a calci e Thompson diede una pedata così forte al viso del piccolo lasciò l’impronta della sua scarpa, rilevata poi dall’analisi forense. Il bambino perse conoscenza così infierirono sul suo corpo abbassandogli i pantaloni, violentandolo, inserendogli in gole la batterie e infine lasciandolo in mezzo ai binari coprendo la sua testa con sassi nella speranza che un treno lo investisse e la sua morte sembrasse accidentale. La morte secondo l’analisi effettuata sul cadavere, sopraggiunse in seguito elle violenze: il treno terminò l’opera tranciando in due il corpo.

Due giorni dopo, il 14 febbraio, il corpo mutilato di Jame Bulger fu ritrovato e la ricerca dei suoi aguzzini fu rapida: una donna si presentò alla polizia riconoscendo Thompson e Venables e diede conferma che erano i ragazzini immortalati della telecamera dei grandi magazzini. Interrogati separatamente, Venables e Thompson incolparono il compagno dell’omicidio, riservandosi colpe minori e azioni passive. La giustificazione di Robert Thompson fu questa: «Se avessi voluto uccidere un bambino, avrei potuto uccidere mio fratello».

A conferma di quella sua versione aggiunse che anche gli insegnanti potevano testimoniare che il peggiore fra lui e Venables era il compagno e che aveva portato un fiore sul luogo del delitto perché «James sapeva che ho fatto quel che potevo per aiutarlo».

Questo fino a quando non venne rilevata l’impronta della scarpa di Thompson sul viso del bambino. Il 24 novembre del 1993 i due ragazzini furono giudicati colpevoli dalla corte suprema di Preston e il giudice dispose che i loro nomi dovevano essere rivelati in ragione dell’entità del crimine e del suo effetto sull’opinione pubblica. Il processo fu condotto come un processo di adulti, furono giudicati colpevoli e condannati alla prigionia in un carcere minorile per almeno 10 anni in custodia. Gli avvocati della difesa ricorse in appello alla Corte Suprema che diede loro ragione e giudicò “illegale” aver deciso una sentenza minima per colpevoli al di sotto dei 18 anni d’età: nell’ottobre del 2000, premiando la buona condotta in carcere e il rimorso mostrato negli anni della detenzione, la sentenza scese a 8 anni di detenzione.

redazione