Intervista ad uno dei padri di “Burgez”, Simone Ciaruffoli: la sua vita dal marketing allo street-food

Simone Ciaruffoli è il fondatore e CEO di Burgez, nonché fondatore e direttore creativo di Upper Beast Side, lo studio che cura la creatività ed il marketing proprio del fast-food Burgez. Nato da un’idea intelligente, ma soprattutto dalla mente geniale di Simone, Burgez è uno dei fast-food di qualità più amato a Milano e non solo. Irriverente, appetitoso ed a stelle e strisce. E proprio negli U.S.A. Simone ha avuto l’intuizione geniale che lo ha riportato in Italia per dare alla luce una delle sue creature più promettenti. Nel 2020, la catena ha chiuso il suo bilancio con i ricavi quasi raddoppiati rispetto al precedente anno. Quello della ristorazione è stato uno dei settori dell’economia più colpiti dalla pandemia di Covid-19, ma Burgez ce l’ha fatta, ed ha superato brillantemente anche questa prova.

Scrittore, sceneggiatore, critico cinematografico, creativo. Un personaggio eclettico e ricco di sfaccettature che è passato dal mondo del marketing a quello della ristorazione. Com’è nata l’idea di Burgez, una delle catene di fast food di qualità che dal 2015 è un punto di riferimento per moltissimi milanesi e non solo?

 

Volevo cambiare vita e un cittadino non-cittadino di New York, un barbone per intenderci, mi ha donato un piccolo diario dove dentro c’erano delle ricette di cucina oltre alla ricetta di un hamburger. Ho subito capito che la mia vita doveva avere una svolta, lasciare quello che stavo facendo, per imbracciare un nuovo mestiere.

 

Ad oggi sei presente solo a Milano, Roma e Torino, con vari fast food ed un Burgez Go (dove fai solo take-away e delivery). Hai mai ipotizzato un’espansione non solo sul territorio italiano?

 

Quest’anno chiudiamo con un ricavo di bilancio quasi raddoppiato rispetto allo scorso anno, ossia pre-Covid, crediamo di essere in Italia un caso più unico che raro, tuttavia la nostra espansione, per forza di cose, è stata leggermente rallentata per colpa della pandemia. Ad ogni modo per il 2021 abbiamo in programma l’apertura a Monza, Como, Bergamo, Verona, Padova, Firenze, Genova, Bologna, Napoli e altri punti vendita a Roma. Per quanto riguarda l’estero invece per ora non ci interessa a parte gli Emirati Arabi, ci stiamo ragionando. Non serve aprire all’estero se non sei ancora una realtà più che consolidata in Italia, in più, finché il tuo mare è pescoso, andare a pescare in mari lontani è un controsenso logico ed economico. Chi apre all’estero molto velocemente lo fa mosso dal suo ego e non dalla logica.

Tu vieni dal mondo della comunicazione. Proprio la comunicazione è considerata uno degli aspetti fondamentali, oltre ovviamente alla qualità del cibo, che hanno contribuito al successo di Burgez. Su cosa avete incentrato il vostro piano marketing e qual è stata la vostra forza comunicativa?

 

Amo spesso ripetere agli studenti che deve esistere una linea editoriale di marketing ma non un piano editoriale, non siamo ragionieri ma creativi, e la creatività non si programma, vive di contingenze, di istanti, soprattutto oggi. La comunicazione di Burgez è quella che vorrebbe attuare qualsiasi azienda se solo potesse, se non fosse carica di responsabilità e obiettivi da raggiungere, ossia dire ciò che pensa, comportarsi in maniera maleducata ed irriverente con il cliente-utente del Ventunesimo Secolo, il bipede più maleducato e irriverente che, appunto, sia passato sulla faccia della Terra dall’alba dei tempi.

 

Perché Burgez è completamente diverso dagli altri fast food? Qual è il suo punto di forza?

Burgez vende hamburger, semplici, buoni, quasi come quelli che ti cucineresti a casa (ed infatti a breve uscirà JUST MAKE IT, una box con gli ingredienti e le istruzioni per cucinare il tuo Burgez casalingo) e non vende hamburger gourmet o con pretese da chef dell’ultima ora. Burgez vende il classico hamburger statunitense. Il burger joint.

 

Con Burgez non hai creato un marchio, ma un lovemark. In cosa consiste?

 

Adidas è un brand ma Nike un lovemark, Burger King è un brand ma McDonald’s un lovemark, Microsoft è un brand ma Apple è un lovemark. Tutte le grandi aziende sono brand ma pochissime raggiungono lo status di lovemark. Lovemark è quella azienda che entra nella tua vita, che ami, che costruisce un mondo al quale vuoi appartenere e ti vanti di farne parte.

 

È da poco uscito il tuo terzo libro, edito da Mondadori, “Il Vangelo secondo Burgez” dove racconti la nascita della tua catena. Un libro anche autobiografico oserei dire. È stato emozionante scrivere il tuo percorso nero su bianco?

 

Di emozionante c’è stato il fatto che Mondadori me lo abbia chiesto, pensare che la storia di Burgez potesse essere di interesse per una casa editrice così importante è per me un piccolo vanto. Per quanto riguarda la scrittura, più che emozionante è stata faticosa. Tornare nei luoghi e nei tempi del passato ed essere preciso con dovizia di particolari è un esercizio complicato a me sconosciuto, poiché non amo vivere né di passato né di ricordi. Tuttavia sono orgoglioso di averlo fatto perché lì c’è quasi tutto. È un vademecum, un Vangelo appunto, su come si fa imprenditoria e marketing senza possedere un euro, senza avere conoscenze o finanziatori, e senza arrendersi di fronte alle avversità e ai problemi della vita. È un libro che onestamente consiglierei a tutti ma in particolare a chi vuole darsi una spinta, a chi vuole cambiare tutto. È un libro sincero, crudo e emozionante dove racconto anche che Burgez non è solo la mia azienda, ci tengo a dirlo, ma anche dei miei soci, dei miei collaboratori e in particolare della mia socia e co-fondatrice Martina Valentini. Senza di lei non sarei qui, probabilmente.

 

Il prossimo obiettivo di Simone ed, ovviamente, di Burgez.

 

Di Burgez sicuramente quello di consolidarsi a livello nazionale e in maniera definitiva. Per quanto mi riguarda invece, nel futuro prossimo, vorrei investire tempo e finanze in altri progetti, in altre start-up che ho in mente e che mi proporranno, non necessariamente legate alla ristorazione, anzi probabilmente molto distanti. Ci sono molti ambiti da approfondire e che sono un po’ lacunosi, come per esempio l’istituto del matrimonio, così legato ad aspetti giuridici antichi, pachidermici e repressivi. C’è una terza via oltre a quella del matrimonio con rito civile e religioso, da aprire. Mi fermo qui sennò mi rubate l’idea. Ciao 😉

Sharon Santarelli