Intervista ad Alberto Dori, il cantautore italiano dall’anima british

Alberto Dori è un cantautore senza mezze misure. Canta in inglese, scrive all’inglese e suona all’inglese. Inizia la sua carriera come frontman e autore di una band ispirata dagli Stone Roses, gli Smiths e dall’atteggiamento unico degli Oasis. Nel 2015 decide di intraprendere la carriera solista, iniziando la collaborazione con l’etichetta laCantina Records, grazie alla quale vive un rinnovamento dando alla sua musica molto più colore rispetto al passato. Le sue canzoni sono un mix tra elementi del pop barocco dei The Last Shadow Puppets, il clamore rock’n’roll di Roy Orbison e il tocco scintillante dei T. Rex. Ad oggi è attivo sul panorama musicale italiano per portare le sue influenze inglesi canzone dopo canzone.

Abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere con Alberto e farci raccontare qualcosa in più sulla sua musica british. Venite con noi!

Ciao Alberto, parlaci di te. Come è iniziata la tua passione per la musica?

La passione per la musica è sempre stata presente nella mia vita soprattutto grazie a mia madre, da sempre innamorata della musica inglese. Infatti, il mio sound e in generale i miei gusti musicali virano moltissimo sul gusto inglese.

Tu hai iniziato con una band e hai continuato da solista. Come mai questa scelta?

A 17 anni ho iniziato a far parte di una band dal sound british e ho continuato a suonare con loro fino ai 25 anni. Eravamo davvero quasi un tributo alla musica britannica! Questa collaborazione è finita principalmente per esigenze diverse perché loro vedevano questa esperienza come una parentesi giovanile mentre io sapevo che avrei voluto continuare nella musica. Ad oggi, ho incontrato due ragazzi Giacomo e Massimo che stanno dietro alla Cantina Records e loro mi hanno convinto a buttarmi come solista.

Come descriveresti il tuo sound? Sappiamo che scrivi principalmente in inglese ed è una scelta decisamente contro corrente!

Faccio fatica a definire il sound della mia musica anche se penso di essere tra il pop-indie al folk: l’unica esigenza che ho è ricollegarmi alla Gran Bretagna e le influenze britanniche si riflettono nella mia musica. Ad oggi, ho inziato anche ad ascoltare musica statunitense quindi le influenze si sono mischiate rendendo il tutto molto eterogeneo. Scrivo in inglese perché penso sia la mia miglior modalità d’espressione.

Uno dei tuoi ultimi brani è When death goes on holiday : come è nata questa canzone? Di cosa parla?

E’ un brano molto ironico perché racconta di un’ipotetica morte che decide di prendersi un periodo di vacanza e le persone intorno a lei sono molto spaventate da questa prospettiva. E’ una canzone che nasce con un intento simpatico che ho sentito l’esigenza di esternare per allontanarmi dalle canzone autobiografiche.

La musica sta vivendo un periodo particolarissimo. Come vivi tu da giovane cantautore emergente questo periodo? E come ha cambiato il tuo modo di fare musica?

Dal punto di vista del live è orribile proprio per la situazione che stiamo vivendo ed è stranissimo perché negli ultimi 10 anni della mia carriera ho sempre suonato tanto in giro. Dal punto di vista dell’ispirazione in lockdown ho scritto tantissimo e di base con una spensieratezza minore rispetto a prima. Di base non sono una persona casalinga ma con il fatto di dover rimanere chiuso in casa, soprattutto di sera, mi ha permesso di scrivere e creare.