Intervista a Setak: “Alestalè è un invito ad andare avanti, comunque vada”

Alestalé è il nuovo album del cantautore abruzzese Setak, in uscita giovedì 13 maggio 2021.

Setak, pseudonimo di Nicola Pomponi, è un chitarrista e cantautore abruzzese. Lo pseudonimo è un riferimento al soprannome della sua famiglia “lu setacciar”. Nel corso della sua carriera ha alternato l’attività di session man a quella di artista in prima persona.

Nel 2019 esce il suo primo disco solista “Blusanza” interamente cantato in lingua abruzzese ma dalle sonorità internazionali, accolto molto favorevolmente dal pubblico e dalla critica. Il disco vince il “Premio Loano” come miglior disco categoria under 35, è finalista alle “Targhe Tenco” e finalista al Premio Parodi nel quale riceve il premio per la “migliore reinterpretazione di un brano di Andrea Parodi”.

Il meltin-pot delle diverse influenze musicali che caratterizzano il suo stile compositivo lo rendono una delle realtà più originali in circolazione.

“Alestalè, anticipato dai brani Quanda sj ‘fforte e Coramare, unisce il dialetto abruzzese a sonorità internazionali, punto fermo del sodalizio creato tra Nicola Pomponi e Fabrizio Cesare, che cura la produzione artistica anche di questo nuovo lavoro come era stato per l’album d’esordio.

 

“Alestalè” è il tuo nuovo e secondo album. Com’è nato?

L’album era pronto da un anno. Il titolo del disco non è un caso: alestalè significa “veloce veloce” perché volevo farlo uscire subito dopo il primo. Per i motivi che sappiamo, abbiamo dovuto rimandare e posticipare. Il disco è stato concepito con lo stesso spirito del primo ossia con la stessa libertà, ma è più immediato, più muscolare.

 

L’uscita del disco è stata fermata dalla pandemia. Tu come hai vissuto questo evento?

Il primo periodo l’ho vissuto stranamente bene. È stato un periodo molto importante, in cui ho avuto la possibilità di fermarmi. Sono stato fortunato perché non direttamente coinvolto nella situazione. Avevo bisogno di quei due mesi, almeno nel primo lockdown. È come se ci avessi avuto bisogno di quella pausa, perché ero arrivato con l’acqua alla gola. Purtroppo le cose non sono andate come pensavamo. Quando abbiamo capito che la situazione non era così semplice, sono cominciati i primi viaggi mentali. Non è stato bello, non lo è tuttora.

Mi ha particolarmente colpito la cover del disco, quasi in controtendenza con il titolo che invece invita ad incedere.

Alestalè è quasi un’esortazione a sbrigarsi, invece in quella cover ci sono io che sono una specie di naufrago che si trova in questo posto per caso, con degli oggetti che hanno un messaggio. È come se mi ritrovassi in uno scenario imprevedibile. Mi piace questa dissociazione tra la mia calma e quel posto dove tutto funziona, ma tutto è vecchio.

L’album è composto da dodici canzoni. Hai preferito cantare in dialetto abruzzese: non è una scelta che ha dei vantaggi e degli svantaggi?

Se ci sono degli svantaggi, non è per colpa mia (n.d.a. sorride). Il fatto della lingua e del dialetto è un limite culturale che abbiamo noi, ma non è un limite. Ascoltiamo tutti i giorni canzoni di cui non sappiamo cosa vogliano dire, ma ci sentiamo in diritto di non capire. Io non faccio musica abruzzese, ma una musica di respiro internazionale nella mia lingua. Nello stesso modo in cui tu ti informi su un pezzo in inglese di cui non capisci una parola, lo potresti fare per i miei pezzi. Secondo me, il problema è che deve arrivare la musica e poi sta alla tua apertura mentale mettere dei limiti o meno.

Dodici canzoni in cui tratti tantissime tematiche: da dove è nata l’esigenza di realizzare un disco così corposo?

Insieme al mio produttore Fabrizio Cesare, abbiamo riunito tutte le cose che avevamo in mente da un bel po’. Dopo aver dato voce nel mio primo album alle emozioni provate nei primi anni di vita, facendo pace con il mio passato e le mie radici, in “Alestalè” ho voluto dire un po’ come la penso su alcune cose. Quindi c’è l’amore, c’è la malinconia, c’è la tristezza, ma anche certi atteggiamenti di persone. Mi sono lasciato andare un po’ più su come vivo adesso.

Nell’album ci sono tre collaborazioni molto interessanti, legate alla parte strumentale. Perché hai scelto loro e proprio per quei brani?

Durante la stesura di “Coramare”, sentivo tantissimo l’influenza napoletana. Ho deciso di chiamare Francesco Di Bella perché avevamo condiviso la finale del Premio Tenco due anni fa e poi abbiamo condiviso un concerto e siamo diventati molto amici. Gli ho mandato il pezzo, era felicissimo di farlo e anch’io perché ho realizzato tutto quello che avevo visualizzato in studio.

Per quanto riguarda Fabrizio Bosso, l’ho conosciuto su un campo di padel. Ci siamo detti che ci sarebe piaciuto fare qualcosa insieme ed è accaduto. È l’unico pezzo in cui si sente qualcosa di pesante e “Coramare” è stato impreziosito.

Mimmo Locasciulli, invece, è mio compaesano. Ha apprezzato tantissimo il primo album e c’è stata una stima imbarazzante da parte sua perché per noi in paese è Dio. Abbiamo anche fatto un concerto insieme quest’estate molto bello. Aveva un pezzo e mi ha proposto di finirlo insieme a quattro mani. Ci siamo messi insieme e abbiamo completato quest’idea di Mimmo. E’ una canzone emozionante per molti motivi. Mi sono emozionato sia per la tematica della canzone sia per come è venuto tutto spontaneo e naturale.

Consideriamo “Alestalè” come un messaggio per il futuro. Cosa dovrebbe essere alestalè per te?

Alestalè è un invito ad andare avanti, comunque vada, anche se le cose non vanno come ci aspettiamo.

Sandy Sciuto