Intervista a Roberto Parodi: una vita a due ruote sulla Harley Davidson

Classe ’63, animo avventuriero e spavaldo. Roberto Parodi vive alla luce del sole cocente, sfrecciando con la sua inseparabile Harley Davidson per le strade del mondo. Porta con se l’animo da ingegnere, ma a guidarlo è il rider che vive dentro di lui. Sposato con tre figli Pietro, Vittorio e Fiammetta, ha scelto di fare del viaggio intercontinentale la sua professione. Brevemente ha deciso di raccontare qualcosa anche a noi di Social Up.

Come nasce la tua passione per i viaggi e quanti ne hai realizzati in totale?

La passione per i viaggi nasce da quella per i libri e per le avventure, visto che io vengo da epoche in cui si leggeva tanto e i miei genitori mi hanno indotto ad apprezzare i libri. Da lì deriva l’amore per le carte geografiche, il perdersi dentro le mappe. Mi hanno sempre affascinato posti molto ampi e remoti come i deserti quindi, quando ne ho avuto la possibilità, ho incominciato a spendere i primi soldi in viaggi. I primi non li ho fatti in moto ma con mia sorella, in aereo, all’età di vent’anni. Poi quando ho avuto una moto seria ho incominciato a ripeterli.

Il primo è stato il raggiungimento dell’Oasi di Merzouga che è quella che viene raggiunta in “Marrakech Express”. Allora abbiamo pensato di replicare il film. Abbiamo raggiunto l’Oasi con mezzi un po’ inconsueti perché avevamo tre Harley Davidson. È successo tanti anni fa quando ancora non c’erano le strade. Da lì è nato il senso di sfida e piacere di fare qualcosa con una moto che era assolutamente non convenzionale o quantomeno inaspettata e abbiamo iniziato ad allungare un po’ il tiro. Ho attraversato  il deserto del Sahara arrivando a Tamanrasset in Algeria, risalendo su un monte che si chiama Assacrem, alto quasi 3000 metri in mezzo al deserto. Poi ho fatto diverse volte da Milano a Dakar, parzialmente ripetendo il percorso anche del relli, non tutto. Poi sempre più difficile, da Milano a Nuova Delhi, da Milano a Cape Town, in Sudafrica: quella è stata la tesi di laurea.

Mi piace il concetto di motociclista “overland”, cioè quello che parte e attraversa i continenti non volando ma passando i confini via terra e quindi quando c’è la possibilità di fare un viaggio via terra è sempre un gran piacere. Ultimamente ho fatto Milano Capo Nord , Milano San Pietroburgo  girando poi la Russia occidentale, rientrando dall’Ucraina. Quando posso parto da casa e questo mi permette di evitare i problemi legati al trasporto della moto.

In tutti questi anni avrai percorso migliaia di kilometri. Ricordi ancora l’emozione legata alla prima partenza?

L’emozione di ogni partenza è uguale perché qualsiasi viaggio nasconde contrattempi, fuori programma che sono quello che ti ricordi di ogni viaggio. Noi abbiamo questo concetto che un viaggio è importante quando è una meta ben definita. Però quando arrivi a Nuova Delhi ci stai mezza giornata e tu ci hai messo un mese per arrivarci. La vera bellezza è il viaggio, è arrivare nel posto. Attraversare tutto quello che c’è tra casa tua e la meta. Il vero viaggio è vedere tutto quello che ci capiterà. Potrebbe capitarci, sicuramente, qualcosa di interessante e indimenticabile anche in un viaggio da Milano alla Spagna, come tanti fanno, e scoprire sempre nuove emozioni. Bisogna sempre rimanere molto aperti. Il vero motociclista lo è già un po’ di suo perché non viaggia chiuso in una macchina con il suo stereo o con il telefonino acceso. È immerso nel paesaggio, non lo guarda attraverso i finestrini come se fosse un film. Il motociclista è già predisposto a farsi attraversare dal viaggio. È il viaggio che ti attraversa. È una caratteristica che cerco di non dimenticare mai durante i mie viaggi

Hai visitato luoghi come la Mauritania, il Marocco, il Senegal, il Pakistan e tanti altri. Tra le tante culture che hai incontrato, qual è quella che più ti ha affascinato?

Uno dei viaggi che mi ha colpito di più è stato quello che abbiamo fatto fino a Dakar e poi da Dakar a Timbuctù, che è un posto dove non è stato quasi nessuno e dove siamo andati per assistere a un festival musicale che si chiama “Festival au désert”. Purtroppo non c’è più perché a Timbuctù c’è la guerra civile, c’è Al Qaida, ci sono i paracadutisti della legione straniera. Però al tempo, nei primi giorni dell’anno, venivano festeggiati questi tre giorni di ritmi etnici, di musiche meravigliose, che noi abbiamo raggiunto dopo epiche imprese in moto. Siamo riusciti ad arrivarci e ci siamo coricati sulle dune. Il palco era molto bello in mezzo al deserto. Tutte le dune creavano delle piccole platee, delle piccole gallerie dove ci si poteva stendere e ascoltare ritmi solo apparentemente ripetitivi, lisergici, di sogno. È  stata un’esperienza che faceva parte della cultura del Mali, che è una cultura allegra e felice.

Siamo curiosi di sapere che tipo di viaggiatore sei. Sei un uomo scrupoloso che prepara accuratamente i suoi viaggi prima di partire o ti piace provare il brivido dell’avventura?

Tendenzialmente io lascio molto all’organizzazione locale. Non prenotiamo mai gli alberghi. Non sappiamo mai bene quando torneremo, evitiamo di prenotare il volo di rientro o la nave dove caricare la moto. Ovviamente attraversando l’Africa da nord a sud ci sono dei giorni in cui abbiamo dovuto essere lì nel giorno stabilito, soprattutto quando il viaggio è molto complesso. Anche perché se ti scade il visto devi tornare indietro alla capitale per rifarlo. Ci sono dei vincoli che il viaggiatore deve tenere ben presente. Il viaggiare non è solo divertimento, richiede disciplina, un po’ militare. Il viaggiatore deve svegliarsi al mattino e fare strada. È vero che il viaggiatore è romantico e si improvvisa, però c’è una parte organizzativa molto importante che deve essere rispettata

Sei un uomo nato negli anni ’60, per cui conosci i metodi dei bikers di vecchio stampo. Per i tuoi viaggi preferisci affidarti al vecchio Road Book oppure ai sistemi di navigazione più avanzati?

Mi sono molto adeguato al progresso. Ho viaggiato per tutta la vita solo con la mappa Michelin e in questo modo era tutto più complicato. È vero che devi portare la mappa anche adesso, perché devi avere la visione d’insieme che il navigatore non ti può dare. Però posso garantire che quando sbagliavo strada e andavo avanti per tre ore e poi mi rendevo conto che il bivio era quello sbagliato, tornare indietro dopo aver consumato benzina e le scorte..

Un aspetto molto bello e avventuroso che il navigatore ha portato è questo: io utilizzo un software che oltre le strade indica anche le piste. Si chiama maps.me ed è gratuito. Secondo me è assolutamente geniale. Spesse volte ci troviamo accorgiamo che possiamo lasciare la via principale e raggiungere un posto attraverso una pista sterrata di cui non conoscevamo l’esistenza. Il progresso non  ti rende solo un po’ più sicuro, tutelato. Uno dice che hai perso l’avventura, ma è vero fino a un certo punto. Il navigatore deve essere usato in modo creativo come facciamo noi.

Tra te e le Harley Davidson c’è un feeling particolare. Fino agli anni ’80 circa, però, è stata messa in discussione l’affidabilità di queste modo. Come mai hai deciso di sceglierla nonostante tutto? Sei mai rimasto a piedi e, se si, ci racconteresti com’è andata?

Le Harley Davidson degli anni ‘80 erano prodotte dalla Ams Harley Davidson. C’è stato un momento in cui la famiglia Harley e Davidson aveva venduto questo pacchetto azionario a una multinazionale di nome AMF, che ha prodotto moto pensando solo a quante ne faceva e non a come le faceva. Per questo il motore shovelhead degli anni ‘80 è un motore poco affidabile, perché è un motore consumer, non è molto accurato. In quegli anni si pensava a vendere e a fare fatturato. Poi la società è stata ricomprata dalla famiglia ed è tornato il concetto di qualità. La mia moto è una moto di fine anni 90, adesso ha oltre 20 anni. Però quando l’ho presa era una scattante moto che non mi ha mai lasciato a piedi, perché l’efficienza del motore anni 90, del motore evolution, è un efficienza incredibile, fatto perfettamente, con leghe di alto pregio, rifiniture eccellenti. Non ho mai avuto problemi.

Oltre ad essere un biker sei anche padre di tre figli e scrittore di bellissimi libri a tratti autobiografici. Possiamo considerare le trame come un “sigillo” del rapporto tra te e i tuoi figli?

Certo, loro compaiono sempre. Ne ho scritto uno intitolato “La moto spiegata a mio figlio” e quella l’abbiamo scritta a sei mani, io, Pietro e Vittorio. Però negli altri romanzi io inserisco sempre le figure dei mie figli, prima di tutto perché sono importantissimi nella mia vita e poi perché ho trasmesso loro la passione per la moto. Loro hanno due moto tipo le mie, sono delle vecchie Hondura anni 80, uno un Ténéré l’altro una Honda XL. Siamo molto coerenti tra noi con questa passione, anche se non li porto mai a fare questi mega viaggi che ormai faccio soltanto per la trasmissione televisiva. Ormai è diventato il mio lavoro, è difficile che li faccia per vacanza. Per loro nei libri c’è sempre spazio, anche nell’ultimo libro che sto scrivendo (che verrà pubblicato dopo l’estate). Anche lì il mio protagonista si fa aiutare dai suoi figli. C’è un rapporto molto bello e sono contento che condividano le mie passioni. L’altra che condividiamo è la musica . Abbiamo una family-band e suono insieme ai miei figli.

Parlando di famiglia, non possiamo non farti una domanda sul rapporto con le tue sorelle, Cristina e Benedetta: la marachella più grossa che avete combinato tutti e tre insieme da piccoli?

Innanzitutto con Benedetta ci sono 10 anni di differenza, quindi io e Cristina siamo molto più grandi. Quando noi avevamo vent’anni, Benedetta ne aveva 10 quindi non abbiamo mai fatto qualcosa tutti e tre insieme. Invece io e Cristina abbiamo fatto tanti viaggi insieme. Siamo stati in India, in America, in Messico, sempre viaggi molto avventurosi con lo zaino. Mi ricordo che in India mi è venuta la malaria e Cristina mi ha curato. La malaria viene a periodi, è terzana, tre giorni si e tre no. Nei tre giorni che avevo la malaria stavo in albergo, distrutto, con mia sorella che mi portava l’acqua e le spremute. Gli altri tre giorni invece viaggiavamo.

Progetti per il futuro: hai già in mente la prossima meta?

Il progetto numero uno è che da tre settimane sono direttore della rivista “Riders”. È una bella impresa che mi è stata proposta e ho accettato con molto piacere. È una rivista maschile per cui mi trovo molto bene. E poi certamente stiamo terminando di montare le ultime scene del programma che spero andrà in onda a breve.

Gaia Toccaceli