Intervista a Dile: da Perdersi a Vodka per arrivare dritti al primo album!

È il passaparola tra la gente che ha portato Dile ad essere un cantautore abruzzese molto apprezzato sui social e con migliaia di views su YouTube.

All’anagrafe è Francesco Di Lello, ma per il suo percorso musicale ha scelto di chiamarsi semplicemente Dile, il nome che usano i suoi amici da sempre.

Dopo la pubblicazione di una serie di singoli, Dile ha iniziato a lavorare al suo primo album con il supporto discografico di OSA Lab e Artist First.

Il disco sarebbe dovuto uscire a maggio ma l’emergenza sanitaria ha rallentato il progetto. Però, in queste settimane sono stati rilasciati due nuovi singoli ossia “America” e il recente “Vodka”.

La cifra stilistica di Dile è impressionante. Riesce con una voce inconfondibile ha raccontare di sé senza mai cadere nel banale, ma anzi dando il suo punto di vista frutto di esperienze o situazioni vissute che l’hanno segnato.

Presi completamente dai suoi singoli, abbiamo deciso di intervistarlo. Abbiamo trascorso più di un’ora in sua compagnia al telefono da casa a casa. Ci ha raccontato di tutto e abbiamo scoperto che oltre l’artista Dile c’è un uomo simpatico, molto empatico e con una valigia di sogni mai mollati.

Di te non si sa molto. Mi racconti cosa c’è stato prima di “Perdersi”?

A 14 anni ascoltavo Kurt Cobain, Vasco Rossi e Lucio Dalla. Il mio miglior amico di allora suonava il pianoforte ed io cantavo. Mi riempiva di complimenti e mi ha proposto di fare musica con lui e i suoi amici. Non volevo farlo, poi un giorno tramite una trappola, mi aveva organizzato una lezione a sorpresa con il suo insegnante di musica. Così io sono entrato, mi arrabbio e poco dopo però firmo il contratto per la partecipazione alla scuola. Inzio le lezioni di canto, forzato dal mio miglior amico che aveva notato delle qualità in me.

In contemporanea ho iniziato a scrivere nero su bianco concetti, frasi, parole. Ho provato ad unire musica e parole comprando una tastiera anche se non sapevo come si facesse. Ho scritto le mie prime canzoni e ho fatto un percorso come solista. Mi facevo chiamare col mio nome e cognome ossia Francesco Di Lello. Ho fatto molta gavetta suonando in giro e instaurando un rapporto d’amicizia con Francesco Rigorn che oggi scrive e produce le mie canzoni.

Un giorno decido di rivoluzionare tutto. Parto dal nome. Divento Dile usando il nome con cui tutti i miei amici mi hanno sempre chiamato proprio perché mi appartiene. Inizio a pubblicare delle cover che vengono notate. È entrato del lavoro così decido di fare scomparire tutte le cover perché le avevo usate solo per mettermi in mostra. Da quel momento inizio a lavorare seriamente a questo progetto.

“Perdersi” e “Rewind”, i miei primi brani, li ho prodotti con Federico Nardelli. Gli altri li ha prodotti il mio amico Francesco Rigorn.

Non so bene come sta andando il mio percorso proprio perché lo sto vivendo in prima persona. Penso che si possa sempre fare di più dal punto di vista della mole di lavoro. Avrei fatto uscire più brani fosse per me.

Ti ho scoperto per caso su Instagram. Sembra che oltre i talent e oltre il Festival di Sanremo si possa riuscire ugualmente a far veicolare la propria musica e a farsi conoscere. Quanto sono importanti per te i social per far musica? E soprattutto quanto lo sono stati nel tuo percorso?

Per me più del 90%! Senza social non avrei avuto nessun tipo di modo per far conoscere la mia musica. Il percorso che sto facendo è molto basato sul passaparola. Questo mi riempie di orgoglio perché è bellissimo quando un amico invia una canzone e ti invita all’ascolto e se piace l’amico la gira ad un altro e così via, nascono i progetti migliori perché è il popolo che sceglie cosa vuole. I social oggi ci offrono la possibilità di scegliere cosa ascoltaree cosa guardare. Il nucleo del mio percorso è il web dato che non provengo da nessun’altra situazione tipo reality, radio o simili.

Ma è stata una precisa scelta di farti conoscere così o semplicemente non è accaduto?

Ho scelto di non partecipare ai talent perché secondo me la musica non deve andare in competizione. Io devo apprezzare le canzoni senza doverle paragonare a tutti i costi. Purtroppo, dovendo esserci un vincitore alla fine e quindi delle votazioni, questa cosa non mi piace molto.

Così ho preferito caricare la mia musica, brano dopo brano, su YouTube, andando ad avere un mio pubblico. Se ci pensi è straordinario, perché discograficamente siamo attivi da Gennaio 2019, ma già da un anno le mie canzoni girano e arrivano alla gente.

Come avviene il processo di scrittura di una tua canzone?

Non so se l’hai notato. Ma io scrivo le canzoni sempre in due ossia con Francesco Rigorn, il mio miglior amico che vive a Los Angeles ed è anche produttore di alcuni dei miei brani. Puoi immaginare quanto sia difficile realizzare un brano e anche produrlo. Noi scriviamo insieme creando il pezzo tra il fuso orario e la quotidianità diversa di ognuno.

Non c’è una regola e sono anche terrorizzato dal provare a spiegarlo perché non ne sarei capace e poi è una specie di flusso che arriva.

Ogni canzone che scrivo nasce in modo diverso.

Ad esempio, con Francesco ho scritto in 20 minuti “Rewind” che ad oggi è la canzone a cui sono più legato ma se mi chiedi come avete fatto, non saprei spiegartelo.

Scrivo anche con un altro amico Federico Galli e la forma mentis è sempre uguale: flusso, concetto, ispirazione e si scrive. Poi in seguito riordini.

Non hai regole di scrittura ma è pur vero che ascolto dopo ascolto è come se pescassi dal passato e sublimassi quell’emozione vissuta. Ma sono davvero autobiografiche?

Completamente! C’è molta mia vita nelle mie canzoni ed è lo stesso motivo per cui in quarantena sto facendo molta fatica a scrivere perché non sto vivendo né vedendo cose.

Sto scrivendo però è cambiata la struttura delle cose che scrivo. L’alcool fa la sua parte perché mi aiuta a scavare tra i ricordi e le emozioni vissute.

A proposito di questo, oltre la presenza dell’alcool ci sono degli elementi che si ripetono nelle tue canzoni. C’è soprattutto la malinconia ma anche la notte, la mancanza, i rimorsi e la voglia di rivalsa..

Il passato ha fatto creare una sorta di mostro dentro me che ogni tanto si sveglia e si mostra in canzone. Hai detto bene comunque sulla malinconia. C’è anche la notte perché io sono uno di quelli che dorme molto poco ossia tre ore a notte e non è sempre un vantaggio.

Secondo te le storie e i sentimenti che racconti possono rappresentare la situazione che la generazione dei trentenni a cui appartieni sta vivendo a livello affettivo?

Penso di sì, ma non perché scrivo solo per quelli della mia età. Credo che parlando di me e delle mie esperienze, i miei coetanei ci si possano trovare proprio perché della stessa generazione quindi le situazioni spesso sono simili.

Poi il mio pubblico è variegato e ognuno interpreta il brano come lo sente e ci trova cosa vuole. Quindi il bello della musica è proprio questo perché una canzone piace a molti ma ognuno può trovarci se stesso. Non esiste un significato unanime, ma una volta che diventa pubblica prende il senso che viene dato a chi ascolta.

Hai degli artisti di riferimento che segui e da cui trai spunto?

Mi piace tanto il cantautorato italiano. Ascolto da anni da Lucio Dalla a Samuele Bersani. E negli anni l’ascolto è diventato diverso così come i significati che gli attribuisco. Samuele Bersani che è il mio primo preferito ha scritto brani di una bellezza disarmante anche concettualmente. Mi piace molto Brunori Sas ma anche Vasco Rossi che è stato il cantante dell’adolescenza.

Credo di avere fatto tutti i passaggi necessari per essere un cantautore che ama e conosce il cantautorato italiano.

Se dovessi collaborare con qualcuno, chi potrebbe essere?

È una domanda a cui non so rispondere. Penso Levante perché ha il suo stile e trasmette tantissimo proprio per il modo in cui canta.

Durante la quarantena è stata rilasciata “America”. Com’è nata?

L’ho scritta con l’amico che vive qui a Pescara ossia Federico Galli. Non ricordo se si basa su una nota che ho trovato sul telefono in cui dicevo: “lo sai che sulla tua schiena ci ho trovato l’America”.

America non come lontana ma come il sogno americano ossia una cosa a cui puntare gigante, difficile ma fattibile.

È stato rilasciato un video ufficiale della canzone durante la quarantena…

Non era previsto un video per la canzone e non ne volevamo fare perché ad oggi i video sono strani e non servono a molto secondo me.

È scoppiata la quarantena però, quindi mi sono detto che sarebbe stato bello creare un video in quarantena proprio perché se crei qualcosa in un periodo del genere lanci un messaggio positivo. Io volevo dimostrare che l’arte non si ferma, anche se stiamo dentro casa.

Ci siamo lanciati questa sfida e abbiamo chiamato questo regista che è molto tecnico. Ci siamo organizzati al telefono e il risultato mi ha reso molto soddisfatto!

Il 15 maggio è uscito “Vodka”, il tuo nuovo singolo. Come mai questo titolo? Com’è nata e quando l’hai scritta?

Il titolo penso sia stato una conseguenza diretta della canzone stessa. Vodka è nata di getto dopo una serata tra amici dove avevo bevuto un po’ troppo.

Potrei dire che è stato viaggio introspettivo alla ricerca del mio profondo io, ma invece rappresenta il desiderio e la mia ricerca continua dell’amore.

Come in un sogno che prima o poi finisce “tratteniamo un altro un po’ il respiro, prima di dirci un’altra volta addio”.

Parliamo di progetti futuri, cosa c’è in ballo?

C’è un album che sarebbe dovuto uscire proprio a maggio, ma il coronavirus lo ha impedito. Ci sto lavorando con il mio amico noncheè produttore che vive a Los Angeles. Ci saranno tutte le canzoni che sono già uscite più degli inediti. Non so ancora quante canzoni ci saranno. Posso dirti però che è parecchio difficile lavorare a distanza con un fuso orario in m

Sandy Sciuto