Di Marcello Mazzari e Sandy Sciuto
Nel consueto appuntamento settimanale dei Catania Book Days, rassegna letteraria che anticipa il Catania Book Festival, David Puente è stato il protagonista dell’incontro tenutosi il 22 novembre 2019 presso la Mondadori Bookstore di Piazza Roma di Catania.
In una sala gremita di gente di tutte le età, curiosa e soprattutto interessata a confrontarsi con il debunker più conosciuto in Italia, David Puente ha presentato il suo libro dal titolo “Il grande inganno di internet. False notizie e veri complotti. Come difendersi?”
Al centro dell’incontro e del successivo partecipato dibattito le fake news. David Puente, infatti, nella vita è un cacciatore di bufale ossia di notizie farlocche. Negli anni il suo è diventato un vero e proprio lavoro che l’ha portato ad essere stimato ed apprezzato nel panorama giornalistico a tal punto che è stato vittima di minacce e che Enrico Mentana l’ha voluto in Open, il giornale online che ha fondato.
Rubando qualche minuto della presentazione, abbiamo dialogato con David Puente che, come un fiume in piena, si è raccontato tra ricordi e lavoro.
David, benvenuto a Catania e alla rassegna che anticipa il Catania Book Festival? Eri già stato qui? Cosa ti ha colpito?
È la prima volta che vengo. Non sono mai stato a Catania. La cosa che più mi è piaciuta è che mi ha ricordato casa. Nel senso che mio padre è nato in Perù, nella città di Chimbote, una città peschiera che è uno dei porti più grandi del Sudamerica. Ed è un po’ come rivedere quegli ambienti tra mare e città. È stato molto piacevole, ecco.
David, cosa significa per te essere oggi il più conosciuto cacciatore di bufale?
(n.d.r. sorride) È un problema perché non posso piacere a tutti. Anche qualche amico ogni tanto mi dice “Mi hai rovinato l’illusione!”
Insomma, mi fa piacere perché io ho iniziato da un piccolo blog poi diventato un lavoro. Prima era un hobby che si è trasformato in lavoro con il tempo. Sono contento soprattutto di poter aiutare. È questo quello che più mi interessa.
Perché siamo arrivati a creare fake news?
Non abbiamo iniziato a creare fake news, ma ci sono sempre state. Possiamo anche citarle storicamente. Ad esempio la brioche di Maria Antonietta è stata fatta apposta per poi far inveire le masse contro la nobiltà. Non sono una novità. Abbiamo un mezzo che è più dirompente perché magari prima era un articolo di giornale, adesso c’è un sito, una piagina che può essere consultata 24 ore su 24, sette giorni su sette da qualsiasi parte del mondo e che si può anche tradurre. La portata, quindi, è maggiore. C’è chi ne ha fatto un business, chi un utilizzo ingannevole apposta per fare truffe o attività di politica.
Quali sono i segnali inconfutabili da cui riconoscere una fake new?
Per riconoscere una fake new la prima cosa da considerare è quanto una notizia stia coinvolgendo. Noi siamo emotivi, quindi se c’è una notizia che ti colpisce ed emoziona, già lì devi stare attento e magari indagare e riferirsi ad altre fonti ed elementi. Attraverso il confronto della stessa notizia data da più testate giornalistiche, è possibile capire a cosa dare credibilità e a cosa no. Il nostro problema è il tempo e la pazienza. È sempre molto più facile condividere e racimolare qualche like piuttosto che fare attenzione.
Ogni giorno siamo invasi da fake news, ma ci sono bufale che sei orgoglioso di aver smascherato?
Ce ne sono un bel po’ in verità. Una che mi è piaciuta molto e che poi mi ha impiegato molto tempo è la fake new che in seguito la stessa BBC ha dovuto smentire. Ed è stato molto simpatico. Si trattava di un fantomatico ristorante di carne umana in Nigeria. Questa notizia è arrivata in tutto il mondo. È stata la fake new che mi ha richiesto più tempo ossia due mesi di impegno. Alla fine non si trattava di un ristorante né di carne umana. Quindi, ho fatto l’articolo e sono soddisfatto che la BBC ha dovuto smentire.
La comunicazione è inevitabilmente compromessa dalla presenza di false notizie. Sono talmente tante che l’utente stenta a credere anche alla notizia vera mettendo in dubbio ogni cosa. Cosa dovrebbe fare il giornalista per ottenere più credibilità?
Dovrebbe fare il giornalista. Per assurdo, la mia figura è un’anomalia. Io non dovrei esistere come figura di debunking. Sostanzialmente, è il correttore del giornalismo e non dovrebbe esserci. Se i giornalisti si mettono a fare quello che dovrebbero fare, la credibilità dei giornalisti e dei giornali può solamente giovarne. Quella è l’unica maniera per ristabilire un po’ di ordine.
Proiettiamoci nel futuro con la consapevolezza che il nostro patrimonio di dati sensibili lo abbiamo regalato da tempo. Quali saranno gli effetti derivanti dalla manipolazione delle informazioni personali?
Il marketing! Se tu ci pensi è sempre marketing, anche quello che compriamo. Noi abbiamo già detto qualcosa di noi, poi sta a noi saper gestire noi stessi. Google sa già cosa mi piace e mi propone la pubblicità di quei prodotti, ma sta a me se voglio comprarli o no o se accettare o no quella proposta. La risposta è sta a noi.
Nella tua vita ha giocato un ruolo fondamentale l’essere stato autodidatta. Dove hai trovato lo stimolo per credere che quello che stavi facendo era la strada giusta e che non dovevi mollare?
Nasco come grafico e come programmatore. Poi ho studiato materie umanistiche come sociologia e antropologia anche perché l’università che ho scelto portava a quello. Avevo già una base. L’autodidatta è stato imparare sempre cose nuove. Il mondo dell’informatica è questo: tu devi aggiornarti continuamente. Avere questo modo di pensare mi ha portato a conoscere altre cose. È ovvio che non sono un tuttologo: se devo sapere qualcosa di specifico, chiedo all’esperto. Il mio compito è di spiegare con parole chiare cosa dice l’esperto e far sì che quest’ultimo confermi di non avere scritto a mia volta una fake new.