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Credit: ART CITY Bologna 2021

Intervista a Beatrice Favaretto: “Non voglio mostrare qualcosa di nuovo, ma indagare qualcosa di nascosto”

Tra gli artisti che animeranno l’edizione 2021 di ART CITY Bologna, che avrà luogo dal 7 al 9 maggio, c’è anche Beatrice Favaretto. Classe 1992, origini veneziane. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Venezia e scopre la sua passione per il corpo e i colori, che diventano protagonisti della sua arte.

Dopo una serie di premi, tra cui il Premio Arte di Cairo Editore, nel 2014 inaugura la sua prima personale dal titolo Euterpe.

Tra i suoi ultimi lavori c’è il progetto BRUCIA RAGAZZO BRUCIA!/ Manifesti Futuri, curato in collaborazione con il designer Marco Rambaldi.

Da alcuni anni Beatrice si dedica, mediante la sua arte, allo studio della sessualità e della sua rappresentazione. Parte di questo lavoro di indagine è proprio l’installazione video Liquid Sounds che presenterà a Bologna in occasione di Art City. Questo progetto è nato dall’incontro con Manuela, una sound designer e rumorista di film porno, ed è curato da Caterina Molteni, assistente curatore presso il MAMbo di Bologna.

Beatrice Favaretto, Liquid Sounds, 2019, still da video, courtesy l’artista

La didascalia di uno dei tuoi ultimi post su Instagram dice che ci troviamo “in un momento in cui la fisicità viene meno e abbiamo bisogno di unirci in nuovi modi inaspettati”. Liquid Sounds è uno di questi nuovi modi di unirci?

La sessualità non è solo un atto fisico, ma un atto plurisensoriale in cui vengono coinvolti più elementi. Nel mio lavoro non voglio mostrare qualcosa di nuovo, ma indagare qualcosa di nascosto, il dietro le quinte dell’artificio pornografico al fine di mettere in luce la struttura che ci viene celata e che può trasportarci in una diversa percezione dell’immaginario sessuale. Un’ esperienza erotica non più attenta solo alla penetrazione dei corpi ma all’insieme dei suoi elementi periferici.

Decostruire una messa in scena, in questo caso quella del linguaggio filmico pornografico, può provocare nello spettatore una sorta di distruzione del sogno a cui l’artificio ha dato vita oppure può portare ad un’ulteriore scoperta ed esperienza. Cosa vorresti accadesse nel fruitore del tuo lavoro?

L’anno scorso, durante un talk con Monica Stambrini da Castro a Roma, ho proiettato delle immagini e dei video inerenti alla mia ricerca sulla pornografia. Lo spazio affaccia su strada e nel corso della serata un uomo è entrato bruscamente all’interno della stanza manifestando il suo dissenso nei confronti di alcune immagini che inevitabilmente erano visibili dall’esterno. Lì mi sono resa conto dell’imprevedibilità della reazione del pubblico nei confronti di queste immagini. Mi affascina il modo in cui le stesse immagini, in base al contesto e alla sensibilità di chi le guarda, possano risultare attraenti o oscene.

Beatrice Favaretto, Liquid Sounds, 2019, still da video, courtesy l’artista

La casa della tua installazione sarà il Cassero LGBTI Center di Bologna, un luogo che dagli anni 80 si impegna e lotta per la creazione di una società più libera, grazie proprio anche all’arte e all’intrattenimento. Che rapporto c’è tra Liquid Sounds e questo luogo?

Il rapporto tra l’opera ed il luogo è viscerale. Dettata dall’andare oltre determinate strutture per crearne altre più libere e più adeguate al nostro vissuto, ai nostri desideri e alla nostra esperienza. La scelta del Cassero non è stata casuale, ma dettata da un vocabolario di libertà e di abbattimento degli stereotipi che ci avvicinino di più alla realtà che decidiamo di vivere piuttosto che all’artificio che ci viene proposto.

Cassero LGBTI center, foto Elisa D’Errico

Scegliendo di lavorare con il mondo e il linguaggio della pornografia hai mai in qualche modo sentito il peso di un diffuso atteggiamento moralista che lo ha sempre trattato come un tabù?

Approcciarsi alla tematica della pornografia è stato un processo complesso. L’idea è quella di capire qual è il valore e l’immagine della sessualità più che trattare il rapporto sessuale come tabù. Sicuramente c’è ancora un approccio tendenzialmente moralistico verso queste tematiche e l’incapacità di avere un linguaggio adeguato e soprattutto un immaginario affine con cui poterne discutere senza cadere in cliché sessuali e senza scaturire reazioni di repulsione, è un limite sociale a cui dobbiamo ancora far fronte.

Cosa diresti, se diresti qualcosa, a chi sta per entrare al Cassero e trovarsi di fronte a Liquid Sounds?

Non direi nulla.

Giulia Storani