Inquinamento in Zambia: il caso Glencore

Di Marco Salvadego per Social Up!

Ogni grande cambiamento inizia sempre da una piccola storia. E questa volta la storia ci porta in Zambia. Un giudice di Kabwe ha condannato il gigante anglo-svizzero Glencore a risarcire il vedovo di Beatrice Mithi, nota politica locale, la cui morte sarebbe stata causata da un attacco di cuore avvenuto dopo la visita alla miniaera di rame di proprietà della Società elvetica. Secondo la Corte, le emissioni di anidride solforosa dell’impianto di Mopani (ben al di sopra dei limiti consentiti) sarebbero la causa, complice anche l’asma, della morte di Beatrice. Da qui la condanna per la Glencore al pagamento di 400 mila kwacha zambiani come risarcimento, equivalenti a 3500 euro.

La questione sembrerebbe di poco conto se solo la Glencore non fosse stata oggetto di inchieste per altri suoi stabilimenti in Congo, a Katanga mining e Mutanda Mine, dove le ONG hanno accusato la Glencore di violazione  dei diritti umani, di sfruttamento del lavoro minorile e di inquinamento. Inoltre nel 2008 il gigante svizzero delle materie prime ha ricevuto Public eye award di Davos, il c.d. Oscar della vergogna, un “premio” che riconosce l’irresponsabilità sociale delle aziende.

La questione solleva interrogativi grandi come il fatturato della Glencore. Un’inchiesta della televisione Svizzera, Runschau, sostiene che, mentre in tutta la Svizzera vengono emesse 12 mila tonnellate di anidride solforosa all’anno, dalla sola fonderia di Mopani ne escono 100 mila. Come riportato dal reportage, l’OMS ha fissato come obiettivo per le emissioni dell’anidride solforosa non più di 20 microgrammi per metro cubo d’aria, mentre i campioni rilevati a Mopani oscillano tra i 250 e i 780. Per dare una misura della questione analisi epidemiologiche hanno evidenziato un aumento dei ricoveri ospedalieri, specie di anziani e bambini, a concentrazioni superiori a 0,3 mg/mc. Già a concentrazioni di 0,06 mg/mc come valore medio annuale si verificano episodi di bronchite e infezioni alle prime vie respiratorie. La Glencore con questa sentenza potrebbe dover affrontare una valanga di cause di coloro che negli ultimi anni hanno perso un familiare e che ne imputano la morte alle dubbie (per usare un eufemismo) condizioni dell’aria nei pressi della miniera di rame.

Ma la dubbia gestione della tematica ambientale e lavorativa da parte della Glencore, specie per gli stabilimenti collocati in Paesi emergenti, non finisce in Africa. Dalle miniere in Colombia (Calenturitas e La Jagua) infatti i sindacati accusano la multinazionale di uno sfruttamento ai limiti della schiavitù degli operai, privi di una anche minima tutela, per non parlare dei costi in termini di inquinamento che la popolazione locale paga. Con una tale mole di accuse mosse da più parti siamo difronte a un problema serio.

Se è questo il modello di sviluppo che vogliamo esportare all’estero delle domande sono obbligatorie. Non è infatti pensabile che una multinazionale per rispettare gli stringenti limiti a tutela dell’ambiente in vigore in Europa trovi come scappatoia lo sfruttamento delle risorse ambientali e umane in Paesi in via di sviluppo. Come può la Svizzera, naturalmente priva di materie prime, essere il fulcro mondiale della compravendita delle stesse? E di contro come possono Paesi come lo Zambia o la Repubblica democratica del Congo, tra i più ricchi di materie prime al mondo, essere tra i Paesi più poveri del mondo? Nel 2009 la Glencore ha realizzato una cifra d’affari di 145 miliardi di dollari nel 2010, in crescita del 36,3%. Nella Repubblica Democratica del Congo 84% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e, nel 2009, il PIL era stimato a 300 dollari l’anno per abitante.

La morte di Beatrice Mithi potrebbe averla trasformata in una Erin Brockovich del XXI secolo. Per il momento si tratta ancora solo di una piccola vittoria, che ha però le carte in regola per diventare una grande storia. A fare la differenza tra un piccolo o un grande cambiamento saremo noi.