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In ricordo del regista Kim Ki-duk: genio, creatività, arte e provocazione

L’11 dicembre 2020, a 59 anni, ci ha lasciati Kim Ki-duk, deceduto in ospedale in Lettonia, a causa di complicanze Covid. Il regista avrebbe compiuto 60 anni il 20 dicembre.

E’ una grave perdita per il cinema. Se ne va un autore di una prolificità e una creatività inesauribili: un regista-pittore, tanto bravo nel “dipingere” scene e sequenze cinematografiche di suggestiva bellezza, di tangibile intensità poetica, quanto, al contempo, in grado con le sue “pennellate” di infliggere squarci provocatori di grande impatto, tramite una sferzante violenza visiva ed espressiva volta a sfidare lo spettatore, ponendolo “al di là del bene e del male”, oltre il confine tra giusto e sbagliato.

Regista dall’impronta filmica chiaramente distinguibile (come tutti i grandi e Kim Ki-duk lo è stato senz’altro), ha vinto numerosi premi con i suoi film. Una filmografia vasta la sua (24 film), quasi febbrile come è intenso e dilagante il suo cinema, pur nella grande compostezza estetica dell’immagine.

Addio a Kim Ki-duk, scompare per il Covid-19 l'autore di “Pietà"
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Anche sceneggiatore e produttore dei suoi film Kim Ki Duk è senza dubbio un regista complesso, ma molto consapevole del proprio cinema e delle molte anime presenti nelle sue pellicole: un cineasta in grado di unire grazia, grande senso estetico, simmetria ad una crudezza non indifferente, in un unico registro filmico unico, che di fatto stravolge qualsiasi classificazione di genere cinematografico.

Uno stile peculiare il suo, che ha il grande pregio di riuscire a rappresentare l’improvviso divampare delle passioni umane, che può portare improvvisamente gli uomini e le donne protagonisti dei suoi film alla follia, all’isteria, alla cieca violenza, all’autodistruzione, amalgamando perfettamente questi eccessi con una sottile analisi psicologica condensata non solo in dialoghi ma anche in gesti, sfumature, in immagini evocative che a tratti sembrano provenire direttamente dall’inconscio.

La provocazione è senza dubbio uno degli “ingredienti” fondamentali dei suoi film e non si tratta di una provocazione fine a se stessa, ma dell’inquietante bisogno, quasi spasmodico, del regista di accostare gli opposti e farli scontrare sulla scena per provocare il dramma, un gioco tra ombra e luce che si realizza anche tramite la costruzione delle scene. Lo scopo ultimo: ritrarre la complessità e le contraddizioni insite negli esseri umani che nei suoi film travalicano spesso i limiti morali, etici, i tabù, domandandosi: Cosa può diventare l’uomo senza questi limiti? E’ giusto classificarli come tali? Esistono realmente?

Seom - L'isola un film di Kim Ki-duk, con Jung Suh
da L’isola Seom @cgentertainment

E’ così che nel già mirabile  “Primavera, Estate Autunno, Inverno…e di nuovo Primavera” (2003), film che lo fece conoscere in Italia, Kim Ki-duk analizza le età dell’uomo, dall’infanzia di un bambino addestrato dai monaci, alla sua maturità. Ogni età reca con se dei traumi, di gravità sempre maggiore, ma è da quegli stessi traumi che l’uomo può trarre grandi insegnamenti sul dolore, sulle proprie pulsioni, su cosa possa essere la felicità. Le stagioni della vita in un ciclo che si ripete solo per spingere gli essere umani a comprendere meglio se stessi.

Primavera, Estate, Autunno, Inverno… e ancora Primavera | Kim Ki-duk
@salteditions

Un altro dei suoi film più famosi è senz’altro “Ferro 3, la casa vuota” (2004),  premiato a Venezia. Una pellicola originalissima, di suggestiva bellezza. Quasi una fiaba che gioca sulla presenza-assenza, su un amore sfiorato, possibile solo in una dimensione altra, imprevedibile e magica, grazie ad un gioco di prestigio.

La trama racconta di un ragazzo, il quale, senza una vera dimora, entra in casa delle altre persone quando queste non ci sono e le abita momentaneamente, alterando il minimo indispensabile ciò che lo circonda, anzi, spesso contribuisce riparando ciò che è rotto. Questa vita da fantasma gentile, vagabondo, comporta però i suoi rischi. Un giorno viene scoperto da una ragazza, spesso picchiata dal marito. I due si innamorano, ma la gelosia, l’arroganza del marito li perseguiterà nonostante la coppia cerchi di sfuggirgli. Finale dalla potenza visiva rara, di una creatività sorprendente.

Ferro 3 - La casa vuota: recensione
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Il marito violento di Ferro 3, la casa vuota, il quale sadicamente colpisce il protagonista con delle palline da golf, proprio munito della mazza del titolo,  non è che uno dei numerosi personaggi maschili violenti che ritornano sempre nella filmografia di Kim Ki-duk ( ed è tra l’altro uno dei più mansueti).

Tra questi senza dubbio il protagonista di Bad Guy (2001), un altro dei suoi film più riusciti, in cui la provocazione di Kim Ki-duk è tangibile ed estremamente efficace. Il cattivo ragazzo del titolo è un uomo quasi muto (per un problema alle corde vocali) il quale svolge il lavoro di pappone di una casa di appuntamenti. Invaghitosi di una ragazza, comincia a perseguitarla. La scena iniziale del film, spiazzante, ma di  un impatto scenico incredibile, davvero dirompente,  comincia appunto con un bacio rubato alla ragazza con forza, per strada, davanti al ragazzo di quest’ultima.

Kim Ki-Duk Film Streaming Ita: Bad guy sub ita

Tramite molte macchinazioni, il bad guy  riesce ad indurla alla prostituzione presso il bordello da lui gestito. Ha inizio così una storia di amore perverso in cui non è possibile distinguere padrone da prigioniero, nella quale il godimento è raggiunto tramite la sofferenza reciproca. Film senza dubbio disturbante, ma al contempo dall‘attrazione magnetica, denso di sensualità e attento alle sottigliezze psicologiche è la prova di come Kim Ki-duk sfidi continuamente gli spettatori.

Un po’ come ne Il Filo Nascosto, sebbene Bad Guy riguardi il bordello e la strada, mentre il film di Thomas Anderson descriva una rapporto vittima-carnefice intellettuale e ambientato nel mondo dell’alta moda, la pellicola di Kim Ki Duk  descrive tramite un iperbole priva di qualsiasi confine morale quanto l’amore possa giocarsi sul filo, su una instabile bilancia tra chi domina e chi è dominato, come esso possa essere conflitto, e, sebbene estremo e deprecabile, possa essere a suo modo autentico.

Pietà: recensione del film di Kim Ki-duk - Cinematographe.it
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Un altro film imperdibile della sua filmografia è senz’altro “Pieta” (2012) altro Leone D’oro a Venezia. Che dire? Una pellicola spietata, a dispetto del titolo, un geniale revenge movie camuffato sotto le spoglie di aberrante dramma familiare. Kim Ki-duk gioca con i generi cinematografici con uno stile registico impeccabile. La storia è quello di uno strozzino brutale e sadico, animalesco e senza scrupoli, che vive per strada, il quale viene avvicinato un giorno da una donna anziana che gli rivela di essere sua madre e chiede perdono per averlo abbandonato da piccolo

E’ disposta a tutto pur di rimediare. Lo strozzino non è intenzionato a perdonarla e la spingerà a fare qualsiasi cosa per lui, sfruttando la “fragilità” della donna. Provocazione ai massimi livelli per un film che prende il sacro tema del perdono, smantellandolo di qualsiasi elemento positivo e trasformandolo nel suo opposto. Un film oscuro, ma di indubbia genialità, carico di una tensione attrattiva non indifferente.

Pietà - Film (2012)
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Nel filone poetico e fiabesco del cinema di Kim Ki-duk si iscrive senz’altro l’Arco (2005), forse il film esteticamente più bello del regista, che denota con evidenza la sua passione per la pittura. Il regista ha vissuto per un periodo a Parigi sostentandosi con la vendita delle sue opere pittoriche. In questa fiaba sull’adolescenza e sul compimento dell’età adulta abbiamo un vecchio pescatore che da anni cresce una bambina sulla sua nave, con la quale approda raramente a terra.

Il vecchio non è solo paterno verso la  ragazza (che non è comunque sua figlia), ma, al contrario, vorrebbe sposarla quando questa compirà diciassette anni.  Elegante fiaba, non priva anche qui di provocazioni, l’Arco è ambientata su una splendida nave-altalena  memorabile, una nave che è casa dei giochi, ma anche una rete, una prigione orchestrata da un vecchio, il luogo in la cui la ragazzina dovrà diventare donna…

Sulla stessa linea acquatica, la superba fiaba dark, Seom l’isola (2000), film visivamente suggestivo,  ambientato in un micromondo galleggiante inventato dal regista: un villaggio acquatico costituito da chiatte colorate, che si possono raggiungere tramite le imbarcazioni. E’ in realtà una sorta di bordello sull’acqua. Sovrana eccentrica di questo regno è una traghettatrice, che ne gestisce gli affari, e che sa essere rozza, ma anche sirena ammaliante, a volte sceglie alcuni  ospiti con chi passare la notte, ma sa anche mostrarsi una sadica pescatrice di uomini e spietata vendicatrice.

Una sorta di strega del lago che noleggia le chiatte alle coppie o agli uomini che vogliono essere raggiunti lì dalle prostitute. La donna si innamora di uno degli ospiti: il più disperato, che vorrebbe uccidersi. Lo salva dalla morte, anche se egli non vuole essere salvato. Comincia un’attrazione-repulsione tra i due che li porterà a sacrifici e prove d’amore estreme, per una storia “d’amore” oscura e drammatica.

Seom - L'isola un film di Kim Ki-duk, con Jung Suh
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Concludiamo questo approfondimento sul cinema di Kim Ki-Duk riflettendo su quello rappresenta il nostro film preferito del regista, Time, del 2006. Film dalla trama complessa, a dir poco brillante e conturbante, permeato da un’elegante ossessività per i dettagli, si tratta probabilmente della pellicola con più suspense del regista coreano, oltre che di quella più fine al livello psicologico.

La protagonista femminile Seh-hee sta da due anni con lo stesso ragazzo, a cui tiene, ma, insicura di se stessa, è convinta che egli possa stancarsi di lei e del suo aspetto. Travolta dalla gelosia, per provocarlo, un giorno, lo sfida a fare l’amore con lei immaginando il volto di un altra. Questa idea la spinge ad una scelta radicale: per sapere se il suo ragazzo la ami veramente decide di cambiare completamente aspetto sottoponendosi ad una chirurgia estetica del viso, per ripresentarsi poi da lui e vedere se riesce a conquistarlo. Il gioco perverso ha inizio e non potrà che peggiorare…

Film che per certi versi è un thriller psicologico, Time parte dall’isteria della protagonista femminile (una delle molte della vasta filmografia del regista), la quale teme appunto il tempo e l’effetto che questo possa avere su di lei, sul suo aspetto fisico che ritiene totalizzante nella relazione.

Il film pone l’attenzione sul potere della chirurgia estetica e su come il corpo e l’aspetto possano davvero diventare degli involucri cangianti e in fondo vuoti. Il rifiuto di essere “modellati” dallo scorrere del tempo e il narcisismo di poter essere amati in qualsiasi forma si voglia, nel momento in cui vuole, pone una riflessione senza dubbio critica (e provocatoria) su quale sia davvero il desiderio che muove la protagonista (e l’umanità): l’essere amati unilateralmente piuttosto che in uno scambio di dare e ricevere.

E’ così che il gioco della chirurgia estetica muta in un incubo in cui ciò che rimane è il tempo dei ricordi, l’amore che è stato perduto. Nella suo essere un thriller psicologico Time ha anche un‘affascinante componente metafisica, lì dove descrive un luogo ideale, lontano dalla realtà e dallo spazio, confinato nelle fotografie, in cui l’amore può esistere davvero come complicità e non temporaneo incontro di desideri egoistici. Il finale, se vogliamo pirandelliano, dipinge l‘umanità come una carrellata di maschere. Se tutti noi possiamo cambiarle, cosa davvero ci permette di riconoscerci e amarci? Sembra domandarsi il regista…

Di certo riconoscibile è il cinema di Kim Ki-duk, un autore da riscoprire e da ricordare, dalla filmografia potente, densa di contenuto, espressività e significato. Una personalità complessa la sua, dall’infanzia povera alla scoperta dell’arte e del cinema, in una produttività di pellicole assidua, in parte interrotta da gravi e profonde crisi personali come quella che ha dato vita al film Arirang  2011 (una video confessione dei dilemmi del regista).

 

 

Francesco Bellia