Il racconto di donne straordinariamente imperfette tra le pagine di un libro – Intervista a Chiara Francini

Esistono tanti modi per raccontare la famiglia italiana, ma quello racchiuso tra le pagine di “Mia madre non lo deve sapere” è quello meravigliosamente imperfetto che meglio la rappresenta.

C’era una volta una ragazza di nome Chiara, un papà Giancarlo che non c’è più e di un altro Angelo che ama la sua bambina più di qualsiasi cosa al mondo. E’ la storia di una donna Eleonora, troppo piccola per crescere una bambina e ferita da un matrimonio forse sbagliato, forse no. Tutto questo è “Mia madre non lo deve sapere” un libro edito Rizzoli scritto dalla strabiliante Chiara Francini; è un romanzo che parla di donne che in qualche modo si sono ritrovate a condividere la propria vita all’interno dello stesso condominio.

Pagina dopo pagina sembra di vivere in quel tipico condominio italiano, con la vicina pettegola, la ragazza svampita e vecchietta saggia. Sembra la storia di una ragazza come tante: forte, intraprendente, non sempre sicura di sé ma comunque impavida, che si riscopre figlia. Ma è anche la storia di una madre, Eleonora, che tra un post it ed una partita a carte capisce il valore della famiglia e dell’affetto che solo una figlia sa dare.

Ma come reagisce ai problemi e agli imprevisti chi è cresciuta tra la poesia, l’amore e la tolleranza? Non può che cadere, è logico lo faremmo tutti. Ma così come ognuno di noi si rialza e lotta grazie all’amore che solo una famiglia sa dare. Sono dei combattenti i protagonisti di questo libro sopravvissuti incompiuti in una città magica dove i problemi si affrontano mangiando Galatine sotto l’albero di Natale acceso tutto l’anno.

Se dovessimo associare questo libro ad un colore sarebbe il rosso perché intenso e brillante, ad un fiore sarebbe una margherita colorata perché così come i petali ogni protagonista rende la storia completa, se fosse un profumo sarebbe quello della torta che lievita nel forno mentre lo leggi ti senti a casa, ti senti un po’ Chiara, ma anche Eleonora. Leggere un libro ti porta spesso in una nuova dimensione, ti fa gioire e piangere per i protagonisti e quando arrivi all’ultima pagina cominci a fantasticare sul futuro di quelle donne intrappolate nell’inchiostro delle pagine ed è come se il libro fosse destinato ad avere un finale diverso, tante quante le persone che l’hanno letto.

Abbiamo avuto modo di raggiungere l’autrice Chiara Francini, attrice amata e apprezzata al cinema come al teatro, tra una presentazione e l’altra del suo secondo libro, continuo di “Non parlare con la bocca piena”. Un romanzo che incoroniamo come la perfetta lettura dell’estate 2018 e che Chiara ha raccontato come solo lei sa fare in questa intervista.

Prosegue in “Mia madre non lo deve sapere” la storia di Chiara e degli altri personaggi in una trama sorprendente che va ad arricchirsi di temi e protagonisti nuovi. Raccontaci questa nuova avventura!

E’ un libro che parla di famiglia, parla del rapporto madre figlia, senza dubbio uno dei legami più stretti e devastanti che riguarda la nostra vita. Soprattutto parla di donne nuove, moderne, le donne italiane dinamiche e indipendenti, libere. Donne che quando si guardano allo specchio sono consapevoli delle proprie debolezze e del fatto che ciò che si sta vivendo è il risultato di un viaggio per raggiungere la felicità. Credo che questo romanzo sia così amato perché parla di ciò che siamo, di donne meravigliosamente imperfette, di donne sbeccate, donne appunto ammaccate ma che fanno della loro imperfezione la loro ragione di unicità. Un grande insegnamento che i genitori di Chiara hanno dato alla propria figlia è quello che anche un amore felice non è un amore perfetto, così come la vita ….

Quindi tutti i personaggi, tutte le donne di questo romanzo sono normalmente speciali, sono soprattutto donne che comprendono quanto sia importante cadere. Perché cadere ti da grandi opportunità, come quella di guardare la realtà da una prospettiva completamente differente, che probabilmente non avresti potuto avere se fossi stata sempre eretta. Sono tutte vittime della pedagogia della sconfitta, sono tutte donne, sia Chiara la protagonista, così come Eleonora la madre, che ruotano intorno a questo condominio così italiano, che sa di ragù, di domenica con la tavola apparecchiata con una tovaglia bianca. Le protagoniste sono tutte donne che comprendono come le cicatrici e i segni che hanno addosso non possono che essere medaglie, perché fanno di loro creature assolutamente uniche.

Chiara, la protagonista del tuo libro, è cresciuta tra poesia e Galatine, tolleranza e Natale-tutto-l’anno ma impara che cadere è fondamentale per crescere. Un po’ tutti i tuoi personaggi cadono e si rialzano, secondo te cosa scatta nell’uomo come stimolo di rivalsa?

Semplicemente questa è la vita, sono le storie di cui parliamo tutti i giorni, sono vite fatte di amore, morte, amicizie che finiscono, così come di cadute. Queste però sono da comprendere come dei momenti fondamentali, perché tutto ciò che arricchisce è un qualcosa che rende più felice. Quindi, la caduta è fondamentale perché sono tutte donne che attraverso questo sentimento profondo che è l’amicizia, quasi liturgico, nel senso che tutte la concepiscono come faccio anche io, un amore supremo privo di implicazioni parentali, di implicazioni sessuali – non ti amo perché faccio l’amore con te. L’amicizia è amore per amore, tutti questi personaggi è come se si prendessero per mano e tramite un grande girotondo si aiutassero quando sono per terra a rialzarsi. Ma più di tutto queste donne concepiscono il fallimento non come un qualcosa di negativo, bensì inevitabile un momento che le aiuta a crescere e che ci rende tutti umani e unici. Pessoa diceva “Il perfetto è il disumano, perché l’umano è imperfetto”, bene siamo tutte delle donne meravigliosamente imperfette.

Qual è l’aspetto caratteriale che la Chiara protagonista condivide con la Chiara autrice?

Sicuramente anche io come lei sono una donna nuova, che ha sicuramente delle parti tradizionali e profondamente moderne, ma soprattutto la Chiara del libro ha una capacità di guardarsi allo specchio e di comprendere il momento che stiamo vivendo, solo questo ci dà la libertà di capire ciò di cui abbiamo bisogno, di tendere alla felicità che ci calza a pennello in quel determinato momento della nostra vita. Tutte queste caratteristiche sicuramente mi appartengono: la concezione della famiglia come un luogo caldo, un nido che nutre e rende più forti. In comune con Chiara ho questa concezione dell’amicizia così sacra e profonda; ho in comune con lei questo senso di gratitudine e di riconoscenza verso la vita e verso chi mi fa del bene e come lei ho la fortuna di avere degli amici, che sono pochi, ma che soprattutto non sono quelli che patiscono quando patisci ma che godono quando godi.

Il titolo del tuo secondo libro è già di per sé la frase che almeno una volta nella nostra vita abbiamo pronunciato! Qual è il rapporto con tua madre e quale marachella le hai nascosto da piccola?

Il titolo dei miei romanzi è sempre un qualcosa che trova la sua spiegazione soltanto a conclusione del libro, così come “Non parlare con la bocca piena”. Io in realtà a mia madre ho detto praticamente tutto perché è simile un po’ alla Eleonora di questo romanzo. E’ una figura molto imponente, molto buffa, molto italiana, quindi sono poche le cose che non ha saputo. Però non è di certo il caso di dirgliele ora!

Un diario, Lola, che raccoglie pensieri ed emozioni di una trentaseienne confusa e sfortunata. Perché noi donne abbiamo così bisogno della favola?

Perché in realtà bisogna crearsela come si faceva con i Das e il pongo da piccola, la favola non è a 360 gradi, la favola è esattamente quella che vogliamo noi, quella che ci disegniamo. Dobbiamo essere noi a disegnarci l’abito da principessa e il nostro castello, allora a quel punto saremo noi a scegliere il principe azzurro e non lui a scegliere noi.

Teatro, cinema, televisione e ora anche scrittrice, come cambia Chiara in questi diversi scenari?

In realtà è un po’ come l’amore di una mamma per i figli, si moltiplica ma non si divide. Faccio tutto con molta passione e sicuramente scrivere un romanzo è l’atto più coraggioso e incosciente che ho fatto, perché è come mettersi davanti ai lettori e dire “Guarda sono questa, amatemi”. Amo tanto le presentazioni dei libri proprio perché riesci ad avere un rapporto diretto con il pubblico e che spero abbia amato e coronato questo romanzo come la lettura dell’estate, come è accaduto l’anno scorso. L’idea di mettermi nelle mani di un pubblico che mi vuole così bene mi fa pensare di avere una schiera di amici grandissima.

Sui social vediamo che giochi molto con la moda. Qual è il capo o l’accessorio che non manca mai nella tua valigia?

Un paio di jeans e una camicia.

«Condividere è come il lievito. Fa la felicità profumata e croccante». Cosa ti ha lasciato scrivere questo libro?

Esattamente quello che dicono lascia al lettore, quel sentimento di calore e di felicità, molte volte di commozione. E’ un libro che parla di tutti noi, perché parla di personaggi meravigliosamente imperfetti e straordinariamente speciali. Quindi io stessa quando rileggo delle parti del romanzo rido tantissimo, in altre mi commuovo. Credo che questo romanzo, come un po’ tutto quello che vogliamo leggere, abbia un andamento da favola nella quale però accadono cose normali che però sono assolutamente speciali, perché in ogni storia che si racconta ci sono sempre gli stessi ingredienti, è come si imbratta questa tela che lo rende speciale, nel mio caso è molto molto colorata.

Claudia Ruiz