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Il corpo elettrico di Jennifer Guerra: il femminismo che verrà

Giovane, ma con un discreto curriculum già alle spalle, Jennifer Guerra già sulle pagine di The Vision, per cui scrive, mette al centro quelli che sono i suoi interessi principali: le tematiche LGBT, ma anche, e soprattutto, il femminismo. Al solo sentire questa parola, probabilmente molti lettori fuggiranno a gambe elevate, o almeno tutti quelli che lo considerano noioso, superato e banale.

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Ed invece, classe 1995, la giovane scrittrice scrive un saggio maturo in cui è evidente il bisogno di recuperare i vecchi concetti femministi, adattandoli in una versione Millennials, parlando di sorellanza, di auto-coscienza, ma anche di inclusione verso le donne trans o non binari e senza vergognarsi di parlare dell’importanza dell’educazione sessuale.

Il libro si apre con una premessa e una singolare Nota alla traduzione di un testo che nasce già in italiano ma che sente l’onere di parlare di donne in una narrazione il più possibile inclusiva, pur sapendo che non si può sempre universalizzare ciò che è personale. In un mondo pieno di storture, la paura di vedersi togliere qualche diritto è palpabile ed è qui che nasce l’idea che «è necessario ripartire dal corpo, il bene che nessuno può toglierci. Questo è il mio corpo, che non offro in sacrificio per nessuno. Questo è il nostro corpo, tanti corpi che ne fanno uno solo».

In sei capitoli la scrittrice imbastisce un discorso in parte introduttivo al femminismo, quando spiega termini specifici come male gaze, queer, pink washing o slogan risalenti agli anni Settanta come “il personale è politico”. E in parte innovativo, considerando ad esempio il femminismo non tanto come movimento, quanto come filosofia politica che si è presa il suo spazio visibile sul web, definita come la piattaforma dell’autocoscienza.

Il libro è altresì uno strumento di indagine che apre una parentesi necessaria in un sistema che dà molto risalto all’apparenza spiegandoci che i corpi femminili sono diventati dei contenitori perché noi stesse abbiamo l’obiettivo primordiale ed inculcato di piacere a tutti i costi.

Come ci vedono gli altri? E come possiamo soddisfare le aspettative altrui?

Queste sono le domande che hanno martellato e martellano tuttora il cervello femminile. E allora quel rossetto messo la mattina è il frutto di un nostro desiderio oppure di un condizionamento esterno che ci vuole perfette?

Ed è proprio la parola desiderio ad essere al centro del libro. Un desiderio che ha il diritto di esistere, proprio come il ciclo mestruale (ancora un tabù), e dunque di espandersi e di manifestarsi. Cosa desideriamo per davvero e come possiamo esprimere i nostri desideri mediante il corpo che costantemente viene messo sotto la lente di ingrandimento, sin da quando siamo molto piccole?

“Le bambine sono abituate sin dall’infanzia a giocare con le bambole, mentre i coetanei maschi con le costruzioni. Alle bambine si dice di non correre per non sporcare il vestito – non sia mai rovinassero la loro immagine esteriore! – mentre il bambino viene incoraggiato a muoversi e giocare come meglio crede. Sono esempi banali, quotidiani, se vogliamo, triti e ritriti. Ovviamente questi condizionamenti non terminano con la fine dell’infanzia, ma si protraggono per tutta la vita. È dimostrato infatti che tale educazione così differenziata produce, soprattutto nelle bambine, grossi problemi di autostima”.

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Il testo ha una solida architettura e mostra conoscenza di molte autrici femministe, a cominciare da Carol Hanish il cui suo slogan più famoso dà il titolo al primo dei sei capitoli, e si arricchisce con le parole e il pensiero di Luce Irigaray, Judith Butler, Carla Lonzi, Adriana Cavarero, Lia Cigarini.

Il sesto e ultimo capitolo lascia poi motivo per fermarsi un attimo a riflettere.

Leggiamo infatti: “Una buona eroina è un’eroina morta”. La donna perfetta è quella morta. Se ci fermiamo a ragionare è vero. Quando una donna: madre, sorella, figlia, compagna, lavoratrice, collega muore, è sempre descritta come eccellente, buona, ottima, affidabile.

Non fa riflettere?

È un libro comprensibile a chiunque ma non facile, anzi piuttosto scomodo nel contesto storico-culturale italiano in cui nasce. L’autrice fa il punto su tante questioni ma contemporaneamente getta lo sguardo al futuro, alle strade da percorrere. Ne esce davvero un lavoro vivo, tagliente, diretto e coraggioso.

Volete sapere se ve lo consiglio? Assolutamente SI!

Brava Jennifer, continua così.

Rachele Pezzella