Altro sold out dopo il debutto di aprile, per lo spettacolo Amore e Provvidenza, rappresentato in replica al Teatro Ambasciatori di Catania il 24, 25 e 26 novembre 2017, per la regia di Alessandro Incognito, con regia associata e Light Design di Gisella Calì.
Un musical solido quello costruito dal regista e dal suo corposo e selezionato staff, un’opera che non ha paura di confrontarsi con il testo manzoniano di riferimento, da cui attinge a piene mani con rispetto e comprensione, ma anche con creatività, freschezza, innovazione e dinamicità proprie. Non vi sono timori reverenziali, dunque, e ciò permette alla rappresentazione scenica di procedere con fluidità, tra canzoni, balli, coreografie, interpretazioni teatrali che spesso si intersecano tra loro con intelligenza e padronanza tecnica da parte degli interpreti, senza mai apparire noiosi agli spettatori. Non era un risultato semplice da ottenere, vista la necessità di adattare “I promessi sposi“, un romanzo storico di forte impatto sulla cultura letteraria italiana, allo stile veloce, coinvolgente del musical.
Il rischio più grande, fin da subito scongiurato, era quello di banalizzare i contenuti dell’opera originaria e rappresentare sulla scena la semplice storia d’amore di Renzo e Lucia, che tutti conosciamo, oppure, scegliendo una strada del tutto opposta di rendere troppo verboso e poco coinvolgente lo spettacolo. Nessuno di questi due errori è stato commesso. Già il titolo scelto per l’opera, in una valutazione a posteriori, sottolinea la scelta di una rappresentazione corale e di ampio respiro. Non si racconta, infatti, solo l’Amore tra i due promessi, ma anche la “Provvidenza divina” che ruota attorno ad essi e che fa in modo che la coppia, come tutti i personaggi, da più umili a più ricchi, dai più malvagi ai più integerrimi, rientrino in un progetto più grande che li sovrasta. E’ il significato più profondo del romanzo e il musical riesce con intensità a coglierlo. Non a caso uno tra i brani più belli e potenti dell’intera opera è quello che recita “Verra un giorno“, duetto canoro tra Fra Cristoforo (Giuseppe Bisicchia) e Don Rodrigo (Gerbaro Carmelo), in cui il frate ammonisce il prepotente sulla presenza della Provvidenza divina. Verra un giorno senza Dio che compassione. Non è niente, è un fil di vento, un aquilone. Notevole anche il brano che precede questa scena in cui il frate racconta cantando la propria storia e invita Renzo a calmare i suoi istinti di vendetta. “C’è una legge sopra ogni legge” canta il frate, un ex peccatore, personaggio simbolo dell’idea manzoniana della Provvidenza. Tale ruolo, tra i più intensi e complessi del romanzo è interpretato dall’ottimo Giuseppe Bisicchia, che rende con grande padronanza la bellicosità e al contempo la mitezza della fede profonda e coraggiosa, anche se sofferta del Frate. Non a caso allo stesso attore viene affidato anche il ruolo del Cardinale Borromeo, un uomo santo, carismatico a tal punto da suscitare il pentimento anche nel cuore più oscuro.
Dal punto di vista registico è davvero d’impatto la scelta di far apparire Fra Cristoforo cantando. Il Frate non risponde a Renzo e Lucia con parole fallaci o vuote, così come avevano fatto il pavido Don Abbondio (Colaiemma Franco) e il sofistico Azzeccarbugli (Coltraro Cosimo, voce fuoricampo); ma dal primo momento che è sulla scena dà loro risposte certe, che riguardano il mondo di Dio e non le dinamiche di potere degli uomini. Lo fa cantando dietro uno schermo trasparente che viene animato durante lo spettacolo da un proiettore che qui rappresenta il monastero in cui si trova il frate, un luogo semplice, quasi tratteggiato sul pannello luminoso, non altisonante, come lo studio dell’avvocato, ma incredibilmente vero e autentico. Riguardo allo schermo di cui si diceva (Video Mapping) è curato da Riccardo Guttà. Si tratta di un’invenzione scenica davvero ingegnosa, che permette al palco di cambiare rapidamente durante tutto lo spettacolo. Così il sottile pannello, che può scendere dall’alto come un tendone, può coprire improvvisamente gli attori e i ballerini come se fossero dietro una teca di vetro, oppure scoprirli. Allo stesso modo può originare fondali prima inesistenti, facendoli sparire in poco tempo, come in un gioco di prestigio. Risulta particolarmente efficace per assecondare i movimenti fluidi del corpo di ballo.Molto suggestivo il suo utilizzo durante il bel brano “Addio Monti sorgenti dalle acque“, cantato da Lucia (Maria Cristina Litrico). In questa scena l’originalità e la creatività del regista e degli autori permette di dare poesia, carattere e drammaticità al passo più conosciuto del Romanzo manzoniano (“Quel ramo del lago di Como…”). A tal proposito è indubbia la riuscita dei testi delle canzoni, così come delle melodie composte, curate queste ultime dalla direttrice musicale Lilla Costarelli. Un lavoro complesso di adattamento al romanzo, con melodie consone al momento raccontato, che non divagano e non si dilungano a sproposito (a volte un difetto dei musical) e sono sorrette dalla bravura e dalla preparazione degli interpreti.
Un altro ruolo molto importante è assunto dalle coreografie di Erika Spagnolo. Vivaci, dinamiche e argute, fanno sì che il corpo di ballo dia la coralità che serve alla narrazione. E’ così che i grandi eventi storici narrati nel romanzo sono raccontati con efficacia dai movimenti plastici dei ballerini. Si pensi ad esempio alla rivolta del pane, che si unisce ad una interessante canzone che descrive la meraviglia di Renzo nell’arrivare a Milano; all’invasione dei Lanzichenecchi, alla diffusione della peste. In alcune scene, invece, i ballerini sono espressione metaforica di un disagio: le paure di Don Abbondio che gli ripetono che il matrimonio “Non s’ ha da fare”; l’ottusità di Azzeccarbugli mentre recita le Grida in latino, attraverso un frenetico ballo in cui i danzatori come macchiette istupidite spulciano con foga i libri, abile escamotage per rendere agevole un passo famoso del romanzo, che sul palco poteva però risultare noioso.
Non viene trascurata la “commedia” all’interno dell’opera del Manzoni, presente soprattuto nelle scene tra Don Abbondio e Perpetua, interpretata da Laura Giordani che funge da motore comico; così come la drammaticità dei momenti più crudi, che raggiunge il suo apice nel brano in cui la madre di Cecilia racconta la sua triste storia durante la peste, cantato con padronanza ed espressività da Antonella Leotta. A questo si aggiungono quelle che potremmo definire delle “monografie cantate” che immortalano nel tempo di una canzone il passato dei personaggi più importanti della storia. Così Fra Cristoforo; Gertrude (Grace Previti) nel brano che recita “Una bimba chiamata signora“; L’innominato (Emanuele Puglia), nel brano in cui invoca la morte di accoglierlo; Don Rodrigo nella sua passione ossessiva di Lucia e poi agonizzante dopo la peste e il tradimento del Griso (Nicola Costa).
Le soluzioni visive, canore e coreografiche adottate sono davvero numerose, tanto che è difficile renderne conto. Segno della creatività e dell’impegno che sono stati trasfusi da tutto lo staff, in questa realizzazione. Staff composto tra l’altro interamente da interpreti e autori siciliani, alcuni anche molto giovani. Tutti questi aspetti fanno dell’opera di Alessandro Incognito, che interpreta tra l’altro con grande capacità vocale il ruolo di Renzo, un musical d’autore, dietro il quale si intuisce vi è un grande lavoro sotto i molteplici aspetti che si sono esaminati. Un’ ultima notazione merita poi il corale e stupefacente finale, che mostra anche qui l’intelligente scelta di fondo di concentrarsi sul tema della Provvidenza manzoniana. Il musical non si conclude, infatti, in modo prevedibile con il ricongiungimento dei due promessi, ma con un bellissimo pater nostrum cantato dai personaggi riuniti, tutti presenti sulla scena. Il messaggio è che Dio è universale e in mezzo agli uomini (come recita la canzone pregandolo di raggiungerli), è vicino alla “povera gente” così come ai potenti che sappiano ascoltare la sua voce. La coralità descritta si compie pienamente nella conclusione in cui ballerini, cantanti, attori partecipano all’unisono all’ultimo brano, sottolineando come la storia di Renzo e Lucia si collochi in un disegno più grande, quello appunto voluto dalla Provvidenza.