Homecoming – MarinaAbramović e la sua arte al Trieste Film Festival 32

Presentato al TSFF32Homecoming – Marina Abramović and her children“, per la regia di  Boris Miljković,  è un ottimo documentario che è al contempo un racconto biografico ed  un’analisi meta artistica dell’origine e della progressiva evoluzione della concezione performativa di Marina Abramović.

Da anni il Trieste film Festival, veramente ricco di titoli e di film di spessore, anche in questa edizione on line del 2021, (con più di 90 proposte di film), ospitata su My movies dal 21 al 30 gennaio, offre uno sguardo approfondito e attento sul cinema dell’Europa Centro-orientale.

In “Homecoming – Marina Abramović“, l’origine serba dell’attrice Marina Abramović diventa elemento cruciale per comprendere l’arte di una personalità che ha davvero lasciato il segno nella cultura contemporanea.

Il regista sceglie intelligentemente di far parlare in prima persona l’artista, creando un collegamento tra le sue memorie,  la sua vita e la sua pulsione artistica. 

La pellicola rappresenta anche visivamente un ritorno a casa, una presa di coscienza del punto di inizio, ma anche del punto di arrivo.

In tal senso il camion itinerante, allestito con specchi e schermi che riproducono il volto e le opere di Marina Abramović, che sa molto di “Il mago di Oz”,  sono emblematici della direzione, fin da subito  seguita dal film.

@chinematographe

“Homecoming – Marina Abramović”  ha il pregio di immergere lo spettatore nel significato dell’arte performativa di quella che viene da molti definita come “la nonna” della performance artistica cioè la prima artista aver dato importanza cruciale all’opera d’arte,  intesa come condivisione emotiva dei propri traumi e della propria interiorità con il pubblico, in un museo, tramite mostre pulsanti e vive,  fatte di attori in carne ed ossa che sfidano lo spettatore a confrontarsi con loro, di presenza, e in un dato attimo, spesso proponendo esibizioni sopra le righe, totalizzanti, fatte d’ emozioni forti, provocatorie e conturbanti. 

Come si scoprirà durante il film, infatti,  quella di Marina Abramović è un’arte specchio.

Un’esibizione spesso estrema, che dà sfogo alle proprie sofferenze,  che trae origine  dai propri traumi, dal proprio senso di colpa, dalla necessità di essere liberi,  di svuotare totalmente sé stessi, per comprendere il vero contenuto di sé, attraverso la privazione, ma anche tramite delle regole ferree di autodisciplina artistica, che evidenziano in fondo un grande bisogno di ribellione.  tutto ciò viene riflesso dai sensi della performer  sul pubblico, che a sua volta è specchio riflettente dell’artista.

Questi concetti vengono espressi con grande lucidità da Marina Abramović, che racconta ed esprime con confidenza i suoi pensieri al regista e allo spettatore. Non maschera l’origine della sua esigenza artistica, anzi, ripercorrendo il suo passato, soprattutto il  rapporto con la madre, i suoi passati amori, i suoi viaggi, denuda se stessa e lo fa, stavolta, con le parole, quando in molte delle due precedenti esibizioni  ha  solitamente  fatto utilizzo del corpo, della mimica, dello sguardo e del silenzio proiettivo

In tal senso il film offre un’interpretazione autentica dell’arte, da parte dell’artista che l’ha originata. Parliamo di un film meta artistico.

Un cinema che documenta il processo creativo e che va alla sua origine, e che, come Marina Abramović torna alle sue radici.

@arttribune

 Non a caso  un momento culmine della pellicola è proprio quello in cui la performer ritorna nella casa della sua infanzia, dove proibizioni, punizioni, incomprensioni,  soprattutto con la figura materna, hanno generato il bisogno di esprimersi in forme radicali e nuove. 

L’Abramović, assieme al regista,  danno grande importanza ai luoghi della genesi creativa. Così dalla ex Jugoslavia, spoglia,  diroccata, che  rappresenta un invito irrinunciabile per un artista al bisogno di ricercare altre forme per colmare i vuoti ed “abbellire” o dare un senso alle brutture (o alla comunicazione dittatoriale di massa di Tito), si viaggia in tutto il mondo, seguendo le installazioni e i percorsi, i pensieri le fasi esistenziali. 

Risultato immagini per marina abramovic and her children

L’arte proiettiva della performer serba non rimane sterile ma si duplica.

Viene replicata  da artisti e artiste figli , i quali si cimentano nei percorsi già tracciati precedentemente. Alla dimensione della dimora, della casa, sia accosta nel film il concetto di maternità,  inteso dall’Abramović come una maternità concettuale e generatrice di arte:  come il tramandare  un’ispirazione,  un metodo artistico;  piuttosto che come una maternità  corporea così come essa è generalmente intesa. 

Il film è anche una presentazione dell’ultima mostra The Cleaner, quasi una summa dell’evoluzione artistica dell’Abramović. Allo stesso tempo, presenta una presa di coscienza di come il pensiero possa essere ingannatore e fallace. Ripercorrendo la sua memoria, infatti, l’artista si ritrova a rivalutare alcune esperienze della propria vita in modo diverso, riconoscendo di averne spesso travisato il senso. E’ singolare il fatto che proprio dall’incomprensione si sia spesso scaturito un grande “potere” artistico, catartico, proprio perché alimentato dalla rabbia della delusione.

Documentario che certo non è esaustivo nel descrivere l’arte di Marina Abramović, Homecoming – Marina Abramović è comunque un’efficace portfolio audiovisivo  dell’idea artistica della performer, che, giocando di riflessi,  dove immortala i discepoli nell’ arte performativa lì dove essi sono all’opera, ne offre una approfondita e rispettosa analisi, senza sovrastrutture, lasciando all’essenzialità della testimonianza della stessa artista  la definizione nel contenuto nelle sue creazioni performative.

Francesco Bellia