Fonte: www.foreignpolicy.com

Golpe in Myanmar: il vento della democrazia ha smesso di soffiare

Il vento della democrazia che aveva iniziato a soffiare sul Myanmar ha improvvisamente cambiato direzione. E’ arrivata ieri, infatti, la notizia di un golpe in Myanmar, un colpo di stato in quella che un tempo era nota come Birmania. Lo stato asiatico , repubblica indipendente dal 1948 ma “democratico” appena nel 2011, è ripiombato nell’oscurità di un regime militare. Dichiarato un anno di stato d’emergenza nel paese, interrotte le linee telefoniche nella capitale Naypyitaw e nella città di Yangon, e sospese le trasmissioni della televisione di stato.

Fonte: www.nytimes.com

UN GOLPE ALL’ALBA DI UN NUOVO PARLAMENTO

Ad organizzare il golpe in Myanmar il generale Min Aung Hlaing, il quale ha deciso di prendere il potere a seguito di presunti brogli e irregolarità nelle elezioni dello scorso 8 novembre non riconosciute dalla commissione esaminatrice. Un lunedì nero, dunque, proprio nel giorno in cui il parlamento avrebbe dovuto riunirsi per la prima volta dopo le elezioni. L’esercito ha arrestato, inoltre, Aung San Suu Kyi, leader del partito che ha la maggioranza nel parlamento e di fatto capo del governo. E’ stato il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (NLD), ha ottenere una vittoria schiacciante con la conquista di 368 seggi su 434. Il principale partito di opposizione, il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), sostenuto dai militari, si era aggiudicato, invece, solo 24 seggi.

Fonte: www.tv6.news

AUNG SAN SUU KYI: LUCI E OMBRE DI UN PREMIO NOBEL PER LA PACE

Un successo netto e lampante, chiaro come la voglia di democrazia che questo popolo urla da tempo. Un grido che Aung San Suu Kyi e il suo partito hanno accolto già nel 2011, quando hanno iniziato a immaginare un futuro diverso per un Myanmar diverso. Eppure, questa trasformazione non ha mai riguardato il popolo dei Rohingya e di questo non si può non tener conto. Già da tempo la comunità internazionale criticava Aung San Suu Kyi per aver negato l’esistenza del genocidio della minoranza musulmana dei Rohingya. Una negazione che aveva colpito anche Papa Francesco durante il suo viaggio in Myanmar, quando gli era stato vietato di nominare la minoranza musulmana. L’arrivo di Aung San Suu Kyi nel 2011 aveva fatto sperare in una soluzione della questione Rohingya. Proprio dalla donna simbolo della resistenza contro la giunta militare, del coraggio, dell’amore incondizionato per la propria patria. Proprio da lei che aveva conosciuto la violenza, la discriminazione, la privazione dei diritti era logico aspettarsi qualcosa di più. Eppure niente è stato fatto per i Rohingya che resta l’innominabile popolo fantasma.

Fonte: www.nbts.it

SPERANZA NELLE TENEBRE

Senza patria, senza terra, senza diritti, questa minoranza musulmana stanziata nello stato di Rakhine ha continuato ad essere l’etnia più discriminata al mondo. E adesso che anche l’ultimo barlume di una speranza democratica si è affievolito, è quasi del tutto svanita anche l’illusione di un riconoscimento dei Rohingya come 136 etnia ufficiale del Myanmar. Accanto a questo è svanito anche il sogno di un Myanmar libero, democratico, con uguali diritti e doveri per tutti. Dopo il golpe in Myanmar di ieri, non sappiamo adesso cosa accadrà, se e quando la democrazia trionferà ancora. Calano di nuovo le tenebre della dittatura sui verdi paesaggi birmani, su quelle città ricche di storia e di fascino tra antichità e modernità. Ma ogni notte ha la sua alba ed il Myanmar, i Rohingya e tutto il popolo birmano aspettano la loro.

Catiuscia Polzella