First Reformed: il conflitto interiore di Padre Toller

Ultimo film del regista e sceneggiatore Paul Schrader, “First Reformed” è una pellicola visivamente asettica, a tratti geometrica, tanto algida nella prevalenza ossessiva di un bianco sugli altri colori della fotografia, quanto oscura e conturbante nel suo contenuto.

La trama racconta del conflitto interiore di padre Toller, un sacerdote che amministra il suo servizio in una piccola chiesa, la prima di quel quartiere ad essere stata riformata. Il film comincia con la risoluzione da parte del prete nel tenere un diario delle proprie giornate nella comunità.

Il religioso, interpretato da un convincente Ethan Hawke, con un doloroso lutto alle spalle, incontra una giovane donna (Amanda Seyfried) che lo prega di parlare col marito ambientalista, riluttante ad accettare la sua gravidanza: costui è convinto infatti che il mondo del futuro, dilaniato dall’inquinamento e dagli scarichi delle industrie, sia destinato a diventare un luogo invivibile, non adatto ad un figlio e crede che sia meglio non fare nascere bambini, piuttosto che condannarli a vivere in un mondo senza speranza.

Chiaramente delirante e in preda alla depressione, il marito della donna ha un aperto confronto con il sacerdote, che cerca di rassicurarlo; ma questa conversazione ( che rappresenta una delle scene migliori del film), avrà indelebili ripercussioni su entrambi, risvegliando desideri di autodistruzione e di annientamento…

Ciò che colpisce subito nella regia di Shradrer è l’utilizzo di riprese fisse, così come il predominare del bianco sulla scena. Pochi i primi piani, come i movimenti della macchina da presa. Un bianco stagnante e perpetuo, che spesso diventa grigio, come la vita del sacerdote protagonista, che coltiva dentro di se desideri di rabbia e distruzione, sempre meno conciliabili con la sua fede. Un biancore ingannevole, dietro il quale si celano ossessioni oscure di sofferenza e autodistruzione. Come per la sua chiesa, lasciata a se stessa e più un museo che un luogo di preghiera, il sacerdote prova uno strano gusto a trascurarsi e a logorarsi, mentalmente e fisicamente, convinto che solo in tal modo, soffrendo, sia possibile ancora preservare la sua fede. Le parole deliranti dell’ambientalista sono la goccia che fa trabboccare il vaso, per fare emergere dentro di lui un estremismo dilagante, che nella sua visione distorta è sempre più in linea con lo spirito intransigente e moralizzatore della Prima Chiesa Riformata (che compare nel titolo), quelle delle origini, di cui ormai è rimasto ben poco.

Non c’è dubbio che questo parallelismo tra la chiesa e il suo sacerdote sia ben fatto per gran parte del film, così come siano ben scritti i dialoghi tra i personaggi e i monologhi diaristici del sacerdote, che fanno emergere un disagio crescente e conturbante, che scava nel protagonista, così come nello spettatore.Purtroppo però il film di Schraeder opera nel finale alcune accelerazioni che hanno lo scopo di spiazzare, ma che invece ne banalizzano un po’ il contenuto. La scena conclusiva, tra tutte, appare abbastanza affrettata e risolve in poche battute un dilemma che sembrava molto più profondo.

Più che a una questione esistenziale, a un dilemma tra creazione e distruzione, tra fede conservativa e speranzosa e “jihadi

smo” distruttivo, che aveva portato i due protagonisti maschili, il sacerdote e l’ambientalista a fondersi tra loro in una psicosi ambientalista che vede il primo come un continuatore dell’opera del secondo, infatti, il regista sembra preferire il tema della relazione sentimentale con una donna, che diventa il vero motivo di “redenzione” finale del protagonista.

Una soluzione un po’ sbrigativa, che date le ottime premesse iniziali, sa un po’ di trovata ad effetto, e si coniuga male tra l’altro con quanto visto sulla scena, dato che tema principale del film non è quello dell’attrazione uomo-donna, quanto invece quello dell’attrazione dell’essere umano (il sacerdote) verso l’annientamento di se e di ciò che lo circonda.

Anche il brusco abbandono dei racconti diaristici è un po’ un elemento che stona con l’inizio del film, stavolta al livello narrativo.

Queste note finali impediscono a First Reformed di colpire come potrebbe. Rimane un buon film a livello di sceneggiatura, trama e regia, ma bastava davvero poco, togliere qualcosa o magari lasciare il finale più in sospeso, per lasciarne intatto il senso, senza scadere nei buoni sentimenti o in passioni travolgenti ad effetto.

Francesco Bellia