Di solito, quando dei social network vengono lanciati per la prima volta nell’ampio mercato del web – come nel caso di Truth Social di Trump – escono nella loro versione beta. Nel gergo delle serie tv potremmo considerare questa versione come la puntata “pilot”. Una versione di un software non ancora definitiva messa a disposizione ad un ampio numero di utenti. L’obiettivo è quello di monitorare la loro azione e possibili errori di sistema. Per mantenere la metafora delle serie, se la puntata non va bene l’intera serie viene cancellata o modificata. Questo è un po’ il ciclo di vita di un software informatico su cui tutti i social media si basano. Persino Facebook – per lungo tempo considerato il Social Media per eccellenza – nel lontano 4 febbraio 2004 uscì come servizio di rete sociale in una versione ancora embrionale. Ma gli anni passano, i tempi cambiano, gli utenti si evolvono e dalla versione beta oggi Facebook ha deciso di andare verso una nuova direzione, cambiando il proprio nome in Meta. Un “nome che deriva dal greco e che significa dopo, al di là”.
Quando si parla di Facebook, però, è come se si parlasse semplicemente del suo fondatore Mark Zuckerberg.
L’Amministratore delegato di Facebook Inc. che da un paio di giorni ha preso la denominazione di Meta Platforms, Inc. Ed è stato proprio lui a diffondere questa nuova versione dell’azienda durante l’annuale conferenza del Connect 2021. In questa sede digitale, l’amministratore ha chiarito le motivazioni del rebranding della propria impresa ad affezionati del social, studiosi e curiosi. Insomma, all’intero universo (o metaverso?).
Facebook dal 2004, in Italia dal 2008, ha segnato la nascita del cosiddetto web 2.0. Piattaforme web nate per dare piena libertà agli utenti di generare i propri contenuti con facilità, senza alcun bisogno di avere conoscenze informatiche specifiche. Il web 2.0 ha, in sostanza, democratizzato l’Internet. Quest’ultimo ai suoi esordi era uno strumento in mano a tecnici ed informatici come Zuckerberg che, invece, hanno saputo sfruttarne le potenzialità e metterlo a disposizione di tutti.
I social network/media come Facebook per la loro facilità d’utilizzo hanno, infatti, in poco tempo conquistato milioni di utenti da tutto il mondo. Permettendo così persino contatti interpersonali a distanza sino ad allora impensabili.
Ma oggi, come affermato dal suo fondatore, Facebook deve aggiornarsi:
Siamo all’inizio del prossimo capitolo di internet e del prossimo capitolo della nostra società. Facebook è uno dei prodotti più usati nella storia. È un marchio icona fra i social media ma sempre di più non include tutto quello che facciamo. Voglio ancorare il nostro lavoro e la nostra identità a quello che costruiamo andando avanti.
L’identità di un brand è molto legata al nome stesso dell’azienda. A molti è parso, dunque, strano che Zuckerberg optasse per questo cambiamento radicale e l’opinione pubblica si è molto divisa a riguardo.
Vi è chi ritiene che l’avvento di Meta faccia parte – così come accennato sopra – del ciclo di vita di un software. Chi, inoltre, è curioso di scoprire le nuove modalità di questo. Ed ancora, i più scettici o lungimiranti, ritengono che il cambiamento di Facebook in Meta non segni semplicemente l’inizio di un nuovo capitolo per il mondo di Internet, ma rappresenti una chiave di volta per far fronte a un problema strutturale dell’azienda.
Si potrebbe tradurre questo disagio con una domanda diretta: “la gente ha ancora bisogno di Facebook?”
In realtà, quando si parla di comunemente di Facebook si intende il social network di per sé, ma da cui prende il nome l’intera impresa. Infatti, il “gruppo Facebook” include: Facebook e Instagram, WhatsApp e sviluppa – aspetto fondamentale per la decisione di rivoluzionarne il nome – i visori di realtà virtuale Oculus Rift.
Inizialmente, tra l’altro il nome era TheFacebook, ma l’articolo inglese “the” venne presto eliminato dopo l’acquisto del dominio facebook.com. Insomma, il cambiamento in tal senso non fu radicale per due motivi: il nome rimase sostanzialmente invariato, e poi non era ancora un social diffuso in maniera così capillare come oggi.
Tuttavia, se si considera l’intera gamma di prodotti che l’attuale Meta offre, è logico affermare che ad oggi le persone non possono fare a meno di pubblicare foto su Instagram o mandare, ad esempio, un messaggio vocale su Whatsapp. Ma, cosa si è ormai perso e cosa è stato percepito dagli utenti? Semplicemente che Facebook cambierà nome, non l’intero gruppo (anche se in realtà non è così).
Una strategia, quindi, nata per rinnovare l’immagine di un social che era ormai obsoleto e che non stava fruttando più.
Le nuove generazioni si sono tutte spostate su Instagram, tra i più giovani vi è persino chi non ha mai creato un proprio profilo Facebook. Molti hanno fatto di Facebook una vera e propria piazza virtuale, cosa importante che, però, ha dato troppo spazio al diffondersi delle fake news. Sotto questo punto di vista ha perso i maggiori consensi.
Diversi sondaggi di studio su Internet e i social media, hanno dimostrato come la maggior parte delle persone si affidi a questi come fonte prima di informazione. Ma se le notizie che circolano sono false, il capitale reputazionale di quel social rischia a lungo andare di perdersi. Ed un’impresa come quella di Zuckerberg da miliardi di dollari, non può rischiare un simile collasso. A maggior ragione, se a recare le principali problematiche è il suo primo vero punto di partenza: FB.
Dunque, questo cambiamento di rotta – fermo restando che Facebook come social rimarrà tale – arriva in momento abbastanza difficile. Considerando, tra le altre cose, l’eco mediale che hanno avuto le parole di Frances Haugen. L’ex manager di Facebook che ha rivolto accuse molto forti nei confronti delle piattaforme per cui lavorava. Soprattutto, sul versante dell’impatto diretto che questi social hanno sui giovani, ai quali l’impresa non riserva alcuna forma di tutela, anzi.
D’altro canto, però, non si può non ragionare anche sulle considerazioni offerte dallo stesso presidente dell’azienda.
La strada che si è deciso di intraprendere – per mettere forse un po’ d’ombra sulle accuse pesanti che hanno dovuto affrontare – punta alla costruzione del già citato Metaverso.
Che si tratti di un ritorno a Second Life – il mondo virtuale nato nel 2003 della società americana Linden Lab – o qualcosa di più?
Decisamente, Mark Zuckerberg non può che auspicare ad oggi a fare un passo in avanti in questo ambito già testato. Infatti, si legge da Open.online, che dal 2014 con l’acquisto della società specializzata in visori per la realtà virtuale, Oculus, l’obiettivo di Zuck sembrava chiaro: ampliare i confini e le possibilità della stessa realtà virtuale. Le sue parole, offrono un quadro più completo dell’argomento.
Siamo visti come un social media ma nel nostro dna siamo una società che costruisce tecnologia per connettere le persone. Mi auguro che nel tempo saremo visti come una società di metaverso.
Un mondo alternativo in cui, com’è ormai successo con i social in forte utilizzo e aumento, non solo vivere in maniera alternativa al proprio, ma costruire una vita reale-virtuale. Per molti questo pensiero si spinge troppo al di là dei confini dell’etica e della morale, per altri rappresenta la naturale evoluzione delle cose.
L’avvento delle criptovalute in alcune parti del mondo, valide al pari del denaro vero è proprio, o ancora lo straordinario successo degli NFT, token crittografici unici, fanno capire che magari è davvero il momento di guardare al web con maggiore speranza e meno scetticismo.
L’idea iniziale di Facebook a molti sembrava una follia è si è rivelato un fenomeno di natura globale, adesso quegli stessi orizzonti non bastano. Bisogna puntare più in alto, e se altre parti dell’universo non sono ancora raggiungibili si tenta, allora, di costruire il proprio.