Elizabeth Taylor: l’ultima grande diva di un’epoca d’oro

Amori, splendori, clamori e stupori al tempo delle grandi produzioni, dove un film poteva anche diventare il paradigma di una vita. Alla fantasmagorica Elizabeth Taylor questo successe nel 1963 in un’altra Hollywood, quella sul Tevere e in un posto speciale chiamato Cinecittà: un magico scenario dove, un ciac dopo l’altro sul set di “Cleopatra”, divenne l’amante del focoso protagonista maschile, l’affascinante attore gallese Richard Burton.
Splendida donna, poco più che trentenne, consacrata stella assoluta da un ingaggio faraonico da un milione di dollari, l’attrice trionfante in tutto il suo glamour indossava, disegnato apposta per l’occasione, perfino un abito lamellato d’oro a 24 carati e adornata di monili, bracciali, collane e diademi di foggia antica, esaltava la smagliante bellezza del suo viso illuminato da uno sguardo scintillante di guizzi viola.

Sebbene il pressante battage pubblicitario, questo kolossal dallo sfarzo abbagliante e dagli esorbitanti costi di produzione si rivelò dopo un flop clamoroso, ma nell’ambiente stupì quasi di più l’analogia amorosa tra la finzione di Antonio e Cleopatra e la realtà di Elizabeth e Richard andata in scena sullo stesso sfondo: ora con le scenografie di una città di cartapesta, ora con il deflagrare dei fuochi d’artificio della dolce vita, il cielo di Roma vide con gli occhi delle stelle fremere al vento della passione la coppia ribelle.
Benché lei avesse già alle spalle ben quattro matrimoni, non era una donna così volubile: i suoi forti sentimenti erano ben radicati e non si accontentava di amare l’idea dell’amore. A confermare la fama di una donna senza scrupoli, scaltra adescatrice e ruba mariti, quel reciproco adulterio con quell’uomo baldanzoso abituato da sempre a corteggiare la partner di turno diventò una lunga storia d’amore che col tempo, tra incredibili colpi di scena, diventò leggendaria per certe comuni passioni anche estetiche.

L’attrazione per lo splendore del bello l’aveva ereditata dal padre Francis, gallerista d’arte americano trasferitosi con la famiglia a Londra nel sobborgo di Hampstead, dove Elizabeth nacque nel 1932, e per quest’altra caratteristica saliente l’attrice, ormai cittadina degli States, diventò una collezionista di quadri d’autore oltre che dei suoi amati gioielli in particolare diamanti. Alcune di queste gioie le furono regalate da Richard come pegno del suo unico, personale e inestinguibile grande amore ma anche per suscitare repentini perdoni dopo scenate furibonde innescate da sbronze colossali a rinfocolare i clamori di una convivenza fuori delle regole e sopra le righe. Gli spregiudicati amanti, per la gioia degli intraprendenti reporter dell’epoca, si lasceranno e si riprenderanno a vicenda e più volte nel corso di un rapporto tempestoso e al contempo idilliaco durato tredici anni in cui per ben due volte fece capolino la scelta di divorziare e poi risposarsi. Stravaganza questa riservata in esclusiva solo ai veri divi.
D’altronde appartenere al cinematografico star system, era l’obiettivo non tanto nascosto di quella graziosa bambina cui recitare riusciva bene perché naturale era il suo modo di farlo. Arrivata sul set a dieci anni e cresciuta nell’ambiente, luogo dove per sua stessa ammissione si trovava meglio, Elizabeth Taylor non si abbatté alla prima delusione.

“Non sa cantare, non sa ballare, non sa far nulla” dissero quelli della Universal dopo il suo esordio nel 1942 con “Piccole canaglie”. Lei non si arrese e alla M.G.M invece videro giusto: la combinazione tra bambina e animale con i film ”Torna a casa Lassie” e subito dopo ”Gran Premio”, conseguì un lusinghiero successo.
All’alba degli sfavillanti anni 50 interpretò il ruolo dell’egoista, sofistica e smorfiosa Amy in “Piccole Donne”, poi crescendo ma soprattutto evolvendosi come donna prima che come attrice, la Taylor si rese ben presto conto però di non poter più essere la cresciuta continuazione nel tempo di quella bambina prodigio dalle fattezze delicate e col cuore puro come un giglio, né tantomeno la trepida sposa dai sogni da tinello anziché nel cassetto che i suoi successivi film da sposina in fiore facevano presagire .
Modificò dunque radicalmente atteggiamento e contenuti davanti alla macchina da presa: da convincente Angela, la dolce e ricca tentatrice di ”Un posto al sole”, si trasformò nella commovente Helen, la romantica ragazza dal fascino irresistibile che perisce dopo aver rubato il fidanzato alla sorella in ”L’ultima volta che vidi Parigi”. Acchiappò l’attimo fuggente e al posto della rinunciataria Grace Kelly diventa radiosa protagonista dell’epico ”Il gigante” dove affidabile Leslie indossa i jeans per cavalcare assieme al marito Rock Hudson suscitando al contempo palpiti d’amore nel cuore di James Dean. Poi si trovò a meraviglia nei panni della risoluta e indomita, Maggie in ”La gatta sul tetto che scotta”, una donna che col solo coraggio di chi ha in corpo la vita e con la fede nel suo amore riconquista il deluso e alcolizzato marito Paul Newman giunto quasi alla deriva.

A fianco del suo segreto sogno Freudiano Montgomery Clift, dopo l’eccellente perfomance de”L’albero della vita” rincarò la dose in “Improvvisamente l’estate scorsa”, dove nel ruolo della tormentata Catharine, contrasta l’imperiosa Katharine Hepburn e ambedue impareggiabili protagoniste rifulgono immerse nella luce evanescente del bianco e nero.


Consapevole di una propria femminilità che combaciava perfettamente col suo modo di essere attrice da qui in poi cercò di preferire ruoli graffianti, alternativi e qualche volta scandalosi anche a costo di porre in secondo piano la sua gradevole figura . Divenne così la donna a misura di tutti i suoi personaggi che sfuggivano all’insopportabile perfezione dell’essere, vincendo l’Oscar nel 1961 per il film ”Venere in visone”, amaro spaccato dell’insopportabile moralismo di una società bigotta, dove interpreta la tragedia di Gloria, la modella di lusso scambiata per una squillo abituale. Due anni dopo ecco la sbornia egocentrica di Cleopatra, spartiacque della sua carriera ma Elizabeth, tutt’altro che appagata, vinse un altro Oscar per l’impareggiabile perfomance nel ruolo della sconveniente Marta in “Chi ha paura di Virginia Woolf”, girato nel 1967 in coppia con Burton nella parte del fosco e cerebrale marito. Un tocco di classe recitativa al fianco di un mostruoso Marlon Brando, nell’agghiacciante film “Riflessi in un occhio d’oro”; poi gingilli divistici leggeri e soavi con la rivale Kim Novak, ambedue ancora appetibili benché quasi cinquantenni, in “Assassinio allo specchio” del 1980: una bella rimpatriata con Il vecchio amico Rock Hudson allietata dalla presenza dell’eterno giovanotto Tony Curtis e si congedò dalle scene omaggiata con regalità da Zeffirelli nel 1988 col manieroso “ll giovane Toscanini”, otto anni dopo: otto come i suoi matrimoni a sancire una vita piena vissuta tra gli eccessi di legami appassionati. Dal suo unico e solo grande amore Richard ad altri rapporti indicativi del suo modo d’essere, Elizabeth Taylor ha condiviso profonde e talvolta scomode amicizie: continuamente protettiva nel sostenere la diversità dei colleghi Rock Hudson, James Dean, Montgomery Clift e nella sua fragilità l’amico Michael Jackson. Ha mostrato l’altra sua faccia della luna sempre nella consapevolezza di chi sa cosa vuole e come ottenerlo, dilatando il confine tra donna e diva come un elastico tra egoismo, generosità, ambizione e vanità. Nonostante fragile di costituzione ha resistito a dolorose sofferenze fisiche e ha trasformato i violenti tumulti dell’animo in una ragione di più per affermarsi: eroina o vittima, era capace di tutto e del suo contrario la scomparsa Dama viola che nella sua esistenza, stroncata nel marzo del 2011 dai capricci di un cuore generoso, tutto ha conosciuto fuorché la noia.

Vincenzo Filippo Bumbica