Corea del Nord vs USA, si accendono gli animi lungo il 38° parallelo

E’ come una partita di scacchi, la strategia è più importante delle parole e sarà quella a portarti alla vittoria. La differenza in questo caso è che la partita si gioca tra quattro giocatori e la posta in gioco è la stabilità di un intero continente: parliamo di Stati Uniti, Cina, Russia ed ovviamente Corea del Nord. Oggi come più di sessant’anni fa un lembo di terra poco più grande del Portogallo torna a preoccupare la comunità internazionale.

Ma perché il regime nord coreano di Pyongyang è così importante?

La Nord Corea è il regalo che la guerra fretta ha lasciato al mondo, un equilibrio sul filo del crinale che si estende lungo il 38° parallelo; un Paese occupato dal Giappone, liberato e diviso in due sfere d’influenza, a nord quella comunista e a sud la liberal democratica. Nei primi anni ’50 lo scenario che si proponeva era disastroso, un Paese vittima di un conflitto che ha generato tre milioni di morti e concluso con un congelamento dello status quo: la creazione di una zona demilitarizzata che divide le “due Coree”, ma che nasconde il più grande paradosso della politica internazionale, la creazione della zona più militarizzata del pianeta. Fino ad oggi l’equilibrio di questa zona è stato un caposaldo delle politiche estere di Cina, Russia e USA: la Cina qualora scoppiasse una guerra si troverebbe gli americani a ridosso dei propri confini e un numero ingestibile di rifugiati nordcoreani; gli USA si troverebbero coinvolti in una guerra che rimetterebbe in gioco la propria sfera di influenza nello scacchiere asiatico-pacifico; la Russia sarebbe anch’essa esposta ai duri contraccolpi di una guerra atomica. Chi poi pagherebbe il prezzo più alto sarebbe Corea del Sud e Giappone primi bersagli dell’offensiva nordcoreana; senza dimenticare che in qualche modo la stessa vittoria di Seul e la conseguente occupazione della Corea del Nord potrebbe rivelarsi più rovinosa di una sconfitta militare.

Appare quindi abbastanza chiaro sul perché il Paese di Pyongyang risulta essere la quintessenza dello “Stato cuscinetto”: confinante con tre superpotenze Russia, Cina e un protettorato USA con tanto di schieramento militare lungo il 38° parallelo. Il leader indiscusso della Corea del Nord è ben consapevole della propria forza e per decenni la sua dinastia non ha fatto altro che approfittare del posizionamento strategico: fino agli anni ’90 ci ha pensato URSS, dalla metà anni ’90 sino ai primi anni duemila invece sono stati gli aiuti umanitari americani a permettere ai nord coreani di ridurre di due terzi il numero di bambini denutriti. Dal 2002, da quando cioè George W. Bush ha inserito la Corea del Nord nel cosiddetto Asse del Male, Pyongyang vive invece unicamente sulle spalle degli aiuti cinesi, con cui è legata, sin dai tempi di Mao, da un patto di cooperazione e mutuo soccorso in caso di guerra.

Ma è davvero realistico pensare che in questi ultimi mesi l’equilibrio decennale si sia rotto e che stiamo vivendo il preludio di un conflitto atomico?

Come afferma Lucio Caracciolo dell’ Espresso, sembra che il tempo delle dichiarazioni sia finito e che il nuovo leader della Nord Corea, Kim Jong-un ha cambiato strategia, i test atomici non sono più esibizioni per ottenere finanziamenti, bensì la preparazione ad una guerra. Primo bersaglio realistico la Corea del Sud, il Giappone e le basi USA nel Pacifico, in una prospettiva temporale che va dai quattro agli otto anni. Nell’ultimo mese sembra proprio che Washington abbia riportato in auge le problematiche legate alla “questione coreana” avanzando addirittura l’ipotesi di un invasione o un attacco preventivo prima che Pyongyang possa dare seguito alle proprie minacce. Un gruppo di analisti North 38 ha spiegato a CNN che nelle ultime settimane si è registrata un’attività sospetta nel sito di Punggye-ri – nel nordest del paese, lo stesso posto dove erano stati condotti gli ultimi due test nel gennaio e settembre 2016 – che fa prevedere la possibilità di un test missilistico, ma sapere quando sarà effettuato è praticamente impossibile.

A preoccupare non è solo la spavalderia di Kim, che non sembra affatto spaventato dalle minacce americane, ma anche l’atteggiamento imprevedibile dell’amministrazione Trump. Washington sta infatti mandando messaggi diplomatici confusi e contraddittori, alimentando la tensione nell’area e innervosendo tutti i protagonisti della crisi, soprattutto Cina e Corea del Sud. Adesso la patata bollente è passata nelle mani di Pechino che si trova a dover dialogare con un Capo di Stato irrazionale per scongiurare una guerra che la vedrebbe protagonista. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha dichiarato che “una guerra tra Stati Uniti e Corea del Nord può esplodere in qualsiasi momento”. In un’eventuale conflitto, dice ancora Wang Yi, “non ci possono essere vincitori”. Pechino promette sostegno a qualsiasi tentativo di dialogo. “Invitiamo tutte le parti a smettere di provocare e minacciarsi a vicenda e a non permettere che la situazione diventi irreparabile e fuori controllo”, puntualizza il ministro. Perché “il dialogo è l’unica via di uscita”.

Il gioco strategico di Washington riguarda proprio la Cina, il carburante della Corea del Nord, ma più il tempo passa, più gli animi si accendono ed il prezzo americano sale ed a Pechino il protezionismo di Trump non piace per niente. L’arma nucleare come deterrente per una guerra ha fino ad oggi funzionato, ma nel 2017 i protagonisti sono cambiati, la politica estera è cambiata e l’imprevedibilità che ha dominato gli ultimi anni rimette in discussione le regole del gioco.

Claudia Ruiz