Se i computer scrivessero leggi?

Di Marco Salvadego per Social Up!

La tecnologia sta costantemente cambiando la nostra vita. Imparare, pensare, socializzare o decidere dipendono sempre di più dall’utilizzo di sussidi tecnologici che hanno irrimediabilmente trasformato il mondo che ci circonda. Ma fino a che punto ci si può spingere con tutto questo progresso? Arriverà forse il giorno in cui un computer potrà decidere al nostro posto? A tal proposito uno degli ambiti che presenta spunti di riflessione più interessanti è il diritto. Da molti anni l’ informatica coopera nella raccolta di dati giuridici tramite banche dati, al fine di renderne più agevole la fruibilità sia per gli addetti ai lavori sia per le persone comuni. Ma dagli anni ’90 la dialettica tra informatica e diritto ha assunto una nuova prospettiva. Oggi esistono molti software per la redazione di testi normativi, che assistono i redattori nel coordinamento e nella scrittura del testo legislativo. Questi software hanno imposto standards tecnici che hanno dettato nuove regole nelle redazione del testo, ridefinendo il concetto di legistica (scienza che si occupa del metodo di realizzazione dei testi legislativi). Programmi come Lexedit o Leda finiranno col divenire strumenti indispensabili per chi scrive leggi. Ma anche qui ci domandiamo fino a che punto l’informatica applicata al diritto possa spingersi.
In uno studio del 2015 intitolato “The death of rule and standards”, Anthony J. Casey (Chicago) e Anthony Niblett (Toronto) sostengono che nel prossimo futuro assisteremo al declino delle regole che hanno fino ad oggi guidato la decisione giuridica, rimpiazzati da micro-direttive prodotte da macchine in grado di incrociare i dati del singolo caso con principi generali, fornendo risultati predittivi ancora prima che lo stesso venga trattato in tribunale. C’è da aspettarsi che giudizio e tribunali verranno sostituiti da software e macchine. E così dalle procedure mediche agli standard di condotta nel diritto penale, dalla casistica in materia contrattuale al diritto tributario, ogni norma potrebbe essere sostituita da micro-direttive che disciplinano il singolo caso. Naturalmente il tramonto dei principi generali e delle categorie richiederebbe di ripensare al diritto dalle fondamenta. Gli studenti di giurisprudenza non passerebbero più anni ad imparare articoli su articoli, ma diventerebbero degli ingegneri informatici, interessati a come i software devono interagire con il mondo circostante, occupati così a fare in modo che queste micro-direttive disciplinino ogni singolo aspetto della nostra vita quotidiana. Non esisterebbero più norme generali e astratte, niente più giudici che interpretano e nemmeno politici che creano leggi. Sostituire l’attuale sistema giuridico con algoritmi in primo luogo determinerebbe un irrigidimento del sistema, infatti le norme sono generali e astratte per permettere loro di adattarsi ad ogni caso concreto. Pensare ad un diritto in cui sia individuato ogni singolo aspetto della vita di ciascuno di noi significa dipingere qualcosa di inquietantemente simile agli orizzonti orwelliani. In secondo luogo ci si dovrà domandare cosa ne sarà di noi. Se ci saranno software in grado di sostituirsi all’essere umano anche nella scelta di norme e direttive che regolano la vita quotidiana, cosa ci rimane da fare?

La scelta politica (e giuridica) è quella che ci dice dove stiamo andando, cosa vogliamo essere nel futuro, quali sono i nostri ideali e principi. Le norme giuridiche non sono altro che la decisione su come vogliamo che sia la società. La possibilità che a decidere cosa sia giusto o sbagliato sia un computer, mette in dubbio la divisione stessa tra uomo e macchina. Se anche questi aspetti possono essere regolati da una macchina significa che il concetto di libertà andrà rivisto, e forse un futuro alla Matrix non ci sembrerà poi così lontano.