Anish Kapoor: tra percezione e alterazione

Avvicinarsi all’incantevole universo artistico di Anish Kapoor non è affatto semplice. L’artista, indiano d’origine e inglese d’adozione, rappresenta una delle figure artistiche contemporanee tra le più interessanti. La sua particolarità va ricercata nella volontà di spingersi, quasi sempre, oltre il limite delle capacità ingegneristiche. Al di là dell’avvincente sfida lanciata ormai al mondo della fisica, nei suoi lavori troviamo tracce di una poetica che intensifica ed approfondisce le relazioni binarie, le energie opposte e le antitesi cercando di armonizzare la tensione dinamica e l’interazione tra forze. Luce ed ombra, negativo e positivo, maschile e femminile, materiale ed immateriale, interno ed esterno, pieno e vuoto, concavo e convesso, lucido ed opaco, liscio e ruvido, naturale ed artificiale, rigido e morbido, solido e liquido, attivo e inerte, e in definitiva ordine e disordine, non sono che alcune delle polarità che concretizzano l’universo sensibile. Si va dal Turning the world upside down del Museo di Israele, una clessidra levigata e cromata che riconcilia la Gerusalemme celeste con quella terrena, al Leviatano di Parigi che, con la sua severa imponenza, ricorda la lotta fra la materia e l’antimateria.

Attraverso un incredibile gioco tra gli spazi, Kapoor ha esplorato il concetto di vuoto, realizzando opere che scompaiono in pareti o pavimenti, per destabilizzare le nostre ipotesi sul mondo fisico e reale. Con Descension, il vortice d’acqua scura creato a San Gimignano, scava nelle profondità della terra: un’energia potente trascina verso il basso, in un luogo sconosciuto e spaventoso che l’artista definisce come il fondo oscuro e vuoto dell’essere.

Kapoor ha spesso sottolineato il suo interesse per il non-oggetto e il non-materiale, realizzando opere in cui questi non sono quello che inizialmente sembrano essere. A dimostrazione di ciò ci propone, presso la Lisson Gallery di Milano fino al 22 luglio, ben 14 sculture in scala ridotta di circa 30 cm di altezza, e una di un metro collocata all’esterno della galleria. Queste opere, le cui forme sono il risultato di una torsione su loro stesse per un imprecisato numero di gradi, sono montate ciascuna su un piedistallo, differenziandosi l’una dall’altra per i dettagli formali e presentate per la prima volta come un unico gruppo in occasione dell’evento. Troviamo poi due specchi concavi alteranti, che illudono l’occhio e sfidano le percezioni rilasciando un’immagine di noi stessi completamente sottosopra. Le superfici lucidate creano riflessi sbiaditi e fluidi che modificano l’immagine equilibrata della realtà, impedendo ai visitatori di comprendere le forme antecedenti la torsione.

Tra i materiali utilizzati per le sue opere troviamo il granito, il calcare, il marmo, il legno e il gesso per creare oggetti dalle forme enigmatiche, geometriche o biomorfe. I colori sono perlopiù caldi e dotati di una luminosità quasi propria. Per Kapoor il colore rosso ha il significato della passione, del sole che tramonta, ma soprattutto dell’interno del nostro corpo. Il colore blu è un colore particolarmente amato dalla filosofia esoterica e in tutte le religioni viene usato per tutto ciò che è sublime, spirituale, trascendente ed infinito. I 1000 names rappresentano perfettamente tutto ciò: sono oggetti scultorei instabili, forme tra l’astratto e il naturale, completamente ricoperte di pigmento puro, il cui intenso colore prevalentemente giallo e rosso, nasconde l’origine e suggerisce l’idea di uno sconfinamento in forme classiche, in primo luogo cerchi e rettangoli che sono apparentemente complessi, costruiti in una varietà di materiali sintetici e naturali.

Quello di Anish Kapoor sembra essere un gioco ambivalente, fatto di illusioni e dinamismo, di idee che, una volta sopraggiunte, non resta altro che inseguire per dare loro forma.

Per ulteriori informazioni vi invitiamo a visitare il sito vetrina.

Erminia Lorito