Ai Nastri d’Argento 2019 trionfa “Il traditore” di Marco Bellocchio

Ieri sera, nello splendido scenario del Teatro Antico di Taormina (ME), si è svolta la 73esima edizione dei Nastri d’Argento 2019, i premi cinematografici che – dal 1946 – ogni anno vengono assegnati dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani (SNGCI). Ad aggiudicarsi il maggior numero di riconoscimenti, “vincendo” di fatto l’edizione, è stato Il traditore di Marco Bellocchio con Pierfrancesco Favino nei panni dell’ex boss mafioso Tommaso Buscetta. Sette – su undici nomination complessive – i trionfi per quello che è stato “miglior film” premiato anche per la regia, la sceneggiatura, il montaggio, la colonna sonora ma soprattutto, per il “miglior protagonista” proprio con lo splendido Favino e tra i “non protagonisti” Luigi Lo Cascio e Fabrizio Ferracane.
Un successo assoluto, dopo la grande affermazione avuta a Cannes – con i famosi tredici minuti di applausi al termine della visione del film -, e l’ottima risposta del pubblico in sala, anche ai Nastri, in un’edizione che ha visto candidati alcuni film tra i più significativi della stagione e ben sette “grandi firme” della regia.

Fra le donne, sono state premiate dal voto dei giornalisti diverse eccellenze italiane: Anna Foglietta (migliore attrice protagonista per Un giorno all’improvviso), Marina Confalone (miglior non protagonista per Il vizio della speranza), Paola Cortellesi (migliore attrice di commedia per Ma cosa ci dice il cervello), Linda Caridi (premio “Graziella Bonacci” per Ricordi?) e le due cantanti Serena Rossi e Noemi (entrambe premiate per la migliori interpretazioni canore per i film Io sono Mia e Domani è un altro giorno). Sempre fra gli artisti, vince invece il premio per la migliore canzone originale Enzo Avitabile con ‘A speranza per il film Il vizio della speranza.

Un altro grande protagonista nella categoria attori è poi Stefano Fresi, che vince ben tre riconoscimenti: due nastri come miglior attore commedia per C’è tempo, L’uomo che comprò la luna Ma cosa ci dice il cervello e il premio “Nino Manfredi” consegnato dalla moglie di Nino, Erminia e dalla nipote Sarah Masten. Rimanendo sulla commedia, a sorpresa il vincitore del premio come “migliore commedia” è il film Bangla del giovane esordiente Phaim Bhuiyan.

Infine, alcuni “nastri speciali” sono stati conferiti (dal direttivo nazionale) ad attori, registi e tecnici: fra i tanti spiccano i riconoscimenti per l’attore Andrea Carpenzano, premiato col Persol – Nastri d’Argento come “personaggio dell’anno” per Il Campione, per l’attrice Benedetta Porcaroli, insignita del premio Guglielmo Biraghi come “promessa dell’anno” per Tutte le mie notti, e per il regista Stefano Sollima, vincitore del premio “Hamilton behind the camera” per Soldato.
La cerimonia trascorsa, con tutte le premiazioni del Teatro Antico, andrà in onda in televisione nella differita offerta da Rai1, in seconda serata lunedì 8 Luglio. Condotta da Anna Ferzetti con la regia di Marco Brigliadori, dopo l’8 sarà replicata poi nel mondo da Rai Italia.

Come anticipato, il film più premiato è stato “Il traditore”, che a nostro avviso per l’occasione merita un discorso a sè rispetto a tutte le altre opere in quanto va ricordato che è stato in assoluto il film con più candidature nella storia dei Nastri d’Argento.

La trama è nota a tutti: siamo in Sicilia, negli anni Ottanta, in un momento storico di vera e propria guerra fra le varie cosche mafiose palermitane e corleonesi. È il periodo in cui verrà fuori tutta la ferocia di Totò Riina, che dopo essere diventato a tutti gli effetti “Il capo dei capi”, ha intenzione di far fuori tutte le vecchie famiglie. Il film si apre proprio con una “festa” fra i vari clan in cui si capisce subito che di lì a poco la bolla sarebbe esplosa. Ma stavolta il protagonista non è Riina, bensì quello che di fatto diventerà il suo vero nemico in quegli anni, ossia Tommaso Buscetta, “Don Masino” e capo della Cosa Nostra vecchio stile. La storia segue proprio la vita del boss palermitano. dal suo “esilio” in Brasile, dove si rifugia in quegli anni proprio per salvarsi dalla furia omicida dei corleonesi, alla sua cattura da parte della polizia federale che lo stana e lo riconsegna allo Stato italiano, fino agli anni dei maxi processi contro la mafia tenuti anche grazie al suo lavoro come collaboratore di giustizia. Nel mezzo, tutto il contenuto di quegli anni: il ruolo del giudice Falcone, i mafiosi “amici-nemici” di Buscetta, gli arresti e, purtroppo, anche le stragi.

L’opera di Marco Bellocchio dura ben 135 minuti, ma il regista romagnolo riesce a tenerci incollati allo schermo per l’intera durata: merito di un ritmo rapido, in cui le “scene morte” sono rare e vengono circoscritte alle più cruciali, come ad esempio quelle dei dialoghi fra Buscetta e Falcone, in cui lo spettatore si concentra sui personaggi e sul contenuto della loro conversazione.
Tuttavia, oltre agli evidenti meriti della regia, il film si regge sulle spalle di un sensazionale Pierfrancesco Favino, ancora una volta protagonista dell’ennesima performance di assoluto livello nella sua carriera e in particolare negli ultimissimi anni, in cui ha tirato fuori le sue grandi doti di performer a 360°, dimostrando sempre di più di essere un vero e proprio artista capace di interpretare qualsiasi ruolo. In questo caso, una delle tante sfide ardue da affrontare per impersonare questo controverso uomo, era quella di dover recitare in siciliano praticamente per tutto il film: il risultato è stato sorprendente. Non tanto per essere riuscito a padroneggiare un dialetto così stretto e di difficile comprensione talvolta anche per i siciliani stessi, ma per aver aggiunto anche quella chicca in più del “giusto accento”, quello palermitano e tipico dell’ambiente mafioso.

Ben scandite ed ordinate sono anche le varie tappe fondamentali di quegli anni, che hanno rappresentato un periodo di vero e proprio caos per l’Italia: anche in questo, Bellocchio è riuscito a risultare originale ed avvincente, dettando i tempi in maniera encomiabile e rendendo la sua opera apprezzabile anche da chi, magari per motivi d’età, non può conoscere nel dettaglio l’intera “storia della mafia in Italia”.
Il traditore è poi un film doppio fin dal titolo, perché il tradimento è tale dal punto di vista di Cosa Nostra, ma non lo è dal punto di vista del riscatto umano del “primo pentito”. La doppia lettura è intrinseca alla vicenda di Buscetta, per alcuni un eroe, per altri un infame, un opportunista di comodo ma anche un burattino dell’ipocrisia del sistema di giustizia. La manifestazione visibile di questo doppio registro è la continua presenza nel film di doppi: la doppia vita di Buscetta, da criminale (poi pentito) e da padre (prima in Italia e poi in Brasile); la “doppia-mafia”, che si divide in quella che Don Masino definisce “la mia mafia, quella di una volta”, con la mafia feroce ed assassina voluta ed impersonificata da Riina; la doppia moralità dei personaggi stessi, che si contrappongono l’uno con l’altro a coppie, come Buscetta e Falcone, “nemici-amici” per l’intera vicenda. Proprio il rapporto fra i due, infatti, rappresenta uno degli spunti più interessanti del film: un iniziale rispetto solo formale che pian piano si trasforma in una stima reciproca, in quanto da un lato Falcone stesso considera il criminale Buscetta un uomo dall’indubbia intelligenza, e dall’altro Buscetta rispetta e a tratti incoraggia Falcone per il lavoro che fa.

Nulla è lasciato al caso, tutto è al posto giusto, e per una volta non ci troviamo di fronte al classico gangster movie, in cui alla fine del film “muiono i cattivi” e vincono “i buoni”: stavolta non vince nessuno, nè la mafia, nè lo stato. È una storia di sconfitti, sia da un lato che dall’altro. E se è pur vero che grazie a Buscetta gran parte della scena mafiosa siciliana è venuta fuori ed è stato possibile scoprire l’intero organigramma “cosanostriano”, nel film di Bellocchio non ci si dimentica mai che è pur sempre la storia, la parola, la vita, di un mafioso. Non vi può essere empatizzazione con il personaggio perchè questo protagonista non va glorificato. Ne va semplicemente preso atto. E anche in questo, il cinema italiano si mostra un passo avanti a tutti: ora più che mai, con opere di questo livello, forse è il caso di dire che siamo tornati davvero.