“Io sono Tu sei”, l’unione artistica di Bevilacqua e Fedele a Galleria La Pigna

“Io sono Tu sei” è un faccia a faccia sorprendente tra Cinzia Bevilacqua e Ferdinando Fedele. Due artisti di indiscusso talento, preparazione, esperienza, che nonostante utilizzino un diverso linguaggio sono stati capaci di creare un dialogo, spontaneo ed interagente. Stili, tecniche, tematiche in un raffronto intrigante grazie ad un curatore di riconosciute esperienza ed abilità, il Prof. Claudio Strinati, che non ha bisogno di molte presentazioni. Assistente alla curatela la D.ssa Valentina Pedrali. L’esposizione, ospitata dalla Galleria La Pigna e dalla costruzione seicentesca di Palazzo Maffei Marescotti, unisce la pittura – forma specifica di arte visiva – di una appassionata Cinzia Bevilacqua, all’ arte visiva ispiratrice di Ferdinando Fedele. Bevilacqua usa il pennello per raccontarsi; Fedele preferisce la performance, l’incisione e la grafica – e derivati di indagine sulla fotocalcografia, sull’offset e sulla cianotipia, nonché approcci verso la stampa digitale e lo stencil – per far comprendere la sua ricerca artistica. Il colloquio tra i due creativi sarà visitabile ad ingresso libero dal 18 luglio fino al 31 luglio 2025e dal primo all’8 settembre. Significativa è la scelta di questo luogo, che per i suoi trascorsi (dagli Anni 60 sede UCAI – Unione Cattolica Artisti Italiani) sembra richiamare gli ospiti ad essere mediatori di mistero, nella certezza che tutta l’arte debba continuare ad essere sacra nonostante i nostri tempi desacralizzati. Incontriamo Cinzia Bevilacqua in piena preparazione della mostra romana. 

I suoi dipinti evocano una forte connessione con il mondo circostante, a più livelli. Come si traduce sulla tela il suo essere un’artista contemporanea? Ci sono luoghi o esperienze particolari che ispirano maggiormente le sue opere?

Il linguaggio attraverso cui mi esprimo da sempre è il figurativo, considerato per lungo tempo superato, quasi obsoleto, come se non fosse più al passo coi tempi. Si diceva fosse un linguaggio morto, ma in realtà non è mai scomparso, e oggi è più vivo che mai: sta vivendo una nuova stagione, anche in Italia. Mi sento pienamente un’artista contemporanea, perché appartengo alla pittura, e la pittura è il mio modo autentico di esprimermi. Il mio
linguaggio nasce dalle suggestioni che lo studio dell’arte mi ha trasmesso, dai musei che ho visitato, dai libri che ho letto, dagli insegnamenti dei miei maestri e dal confronto continuo con altri pittori. Trovo ispirazione nel quotidiano, nella bellezza che si nasconde nelle piccole cose. Anche ciò che può sembrare banale può rivelarsi una fonte preziosa di stimolo e meritare di essere rappresentato.

La sua tecnica pittorica si distingue per l’uso vibrante del colore e l’abilità del tratto. Potrebbe descriverci il processo che la porta a scegliere e sviluppare la sua tecnica attuale? Ci sono stati momenti di sperimentazione o influenze che l’hanno condotta a questo stile?

Sono “ossessionata” dal colore, e proprio sul suo studio ho costruito la mia ricerca artistica. Non accontentarmi facilmente è il mio motto: analizzo, studio il soggetto. Se si tratta di un ritratto, mi piace conversare con la persona, capirla, coglierne l’essenza, per rappresentare non solo l’aspetto fisiognomico, ma anche il carattere, le passioni, i tratti più profondi. Questi elementi possono emergere da un guizzo di luce negli occhi o da un contrasto di luci e ombre, ogni segno o pennellata è sempre ragionata e mai casuale. A volte la pennellata è fluida e veloce, altre volte ho bisogno di soffermarmi su un particolare, che metto in evidenza con un segno deciso, per sottolineare ciò che mi ha colpito. Ho sperimentato molto, lavorando con costanza. La pittura a olio è la tecnica che prediligo: la considero estremamente versatile, ricca di possibilità. A fine lavoro mi consente di intervenire con rafforzamenti, ad esempio utilizzando i gessi grassi. Sicuramente la lunga frequentazione e l’ascolto del mio maestro Goffredo Trovarelli, unita alla frequentazione dello studio di Pietro Annigoni, hanno influenzato il mio modo di fare pittura. I loro consigli si sono rivelati preziosi e capiti nel corso della mia maturità artistica.

Le sue opere trasmettono un’atmosfera vitale e ricca di energia, sia nei ritratti che in altri soggetti. Qual è il messaggio o l’emozione principale che desidera comunicare al pubblico? C’è una reazione specifica che spera di suscitare in chi osserva le sue tele?

Le mie opere, come credo valga in generale per chi fa arte, rispecchiano il mio modo di stare al mondo. Che dipinga mele, vasi o figure, in fondo ogni dipinto è un autoritratto: racconta il mio modo di vedere la vita, luminosa e piena di colori. Questa sono io, ed è ciò che desidero trasmettere. Attraverso la composizione, il colore, lo studio della luce, cerco di comunicare la mia positività, con la speranza che arrivi anche a chi guarda.

Oltre alla bellezza visiva, c’è un aspetto concettuale o una riflessione più profonda che permea la sua arte? Come si evolve la sua ricerca artistica nel tempo? E quali sono le prossime direzioni o sfide che intende esplorare?

Le tematiche che affronto nascono sempre dal quotidiano. Una riflessione che mi accompagna è quella di cercare, anche nelle difficoltà, uno sguardo positivo sulla vita. Un esempio è la mostra  “Uno sguardo dentro”, realizzata in collaborazione con il Teatro Patologico di Roma e il fotografo Alessandro Montanari, in cui ho ritratto attori straordinari, capaci di portare sul palco – e nella vita – una forza interiore sorprendente, nonostante le fragilità con cui convivono. Lavoro molto, e proprio questo mi consente di sperimentare, di distruggere e ricominciare, sempre con la consapevolezza di poter fare meglio. La mia evoluzione resta comunque legata al linguaggio figurativo, che sento mio e che continua a offrirmi nuove possibilità da
esplorare.

redazione