10 cose da fare e da sapere per abolire la violenza di genere

Diciamo basta alla violenza sulle donne e allo stigma della cultura dello stupro. Oggi, 25 novembre, è la Giornata Internazionale contro la violenza sulla donna. Per celebrarla al meglio ecco una lista di cose che è possibile fare per eliminare la violenza di genere. Segue nell’articolo un’analisi storica  basata su dati e notizie dell’ultimo anno sulla violenza di genere. Scritte da una donna, una volta per tutte, per tutti. 

10 cose da fare per abolire la violenza di genere

  1. Ascolta e credi alle survivors. Quando una donna parla di una violenza subita, rompe il cerchio dello stupro
  2. Insegna alle nuove generazioni e impara da loro. L’educazione è il primo passo. 
  3. Sostieni le associazioni che si occupano di violenza tramite partecipazione ed interesse agli eventi.
  4. Comprendi cos’è il consenso. Si o no. Senza interpretazioni o scuse.
  5. Impara a distinguere i segni dell’abuso e scopri come puoi aiutare. Indaga una situazione sospetta e incoraggia il dialogo.
  6. Apri una conversazione. La violenza contro le donne è stata taciuta troppo tempo. Parla, prendi posizione, alza lo standard. 
  7. Prendi posizione contro la cultura dello stupro.
  8. Dona alle associazioni del territorio o a Centri Antiviolenza. Eccone alcuni. DONNE E GIUSTIZIA ,D.i.RE ,Mappa ComeCiTrovi (Centri Violenza di tutta Italia, regione per regione), Casa delle Donne per non subire violenza, SOS DONNA, Telefono Rosa , We World, Emma Centri Violenza, Women Against Violence Europe
  9. Sostieni le altre donne, non giudicare.
  10. Conosci i dati e chiedi per più trasparenza nella narrazione mediatica. 

Continua a leggere per approfondire tutti i punti e capire meglio quali sono i dati, quali sono le ipotetiche origini della violenza, cos’è la cultura dello stupro, il victim-blaming ed i profili interessanti da seguire per educarsi.

 

Casi e numeri della violenza di genere

Lo stupro del caso Genovese ed il revenge porn contro la maestra nel torinese sono solo gli ultimi raccapriccianti avvenimenti italiani, ricongiungibili sotto il termine ombrello di violenza di genere. Nel nostro paese, certi eventi sono all’ordine del giorno. Secondo l’Istat, Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Durante il lockdown da 9 marzo al 3 giugno 2020, ogni due giorni una donna è stata uccisa in ambito emotivo-familiare. Nel report delle Nazioni Unite “L’impatto del COVID sulle donne” mostrano difatti una diminuzione consistente nelle richieste d’aiuto rispetto allo stesso trimestre nel 2019 (-20%).  In questa pesantezza sorge spontanea una domanda. Perchè nonostante la sensibilizzazione, i tentativi ed i successi collezionati a favore dell’emancipazione femminile e della parità dei sessi i numeri delle violenze sono ancora così alti?

Le ipotetiche origini della violenza

La risposta è cruda quanto semplice: ce lo abbiamo in testa. La psicologia Junghiana conferma che l’inconscio sfocia nell’aggressività quando percepisce uno scavalcamento da parte de il/la partner. Questo sottile equilibrio di potere è il meccanismo su cui si basa effettivamente la violenza di genere, e che nasce dal desiderio di ricostuire un equilibrio in cui la donna è succube o in una posizione di inferiorità. Ciò nasce dal radicato concetto di società patriarcale e dalla storica struttura patriarcale della società, lo conferma anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres.

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La realtà è che l’oggettificazione femminile è nata prima delle copertine patinate e della tv. Il sentimento di possesso che oggettifica la donna è alla base della società odierna come di quella passata, basti pensare che il delitto d’onore nella legislatura del Bel Paese resistette fino al 1981. L’articolo 587 c.p.  di retaggio fascista, prevedeva delle pene più attenuate per i reati di omicidio e lesioni personali commessi a causa d’onore per chi uccideva la coniuge, la figlia o la sorella “nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia”. La violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani, ma ancora c’è chi urla alle streghe su Facebook. 

 

La cultura dello stupro ed il “victim blaming”

Con che coraggio i media definiscono il colpevole di plurimi stupri avvenuti sotto gli occhi delle telecamere come un “brillante imprenditore”? Perchè gli spettatori di reati come violenza di genere e revenge porn affermano “se l’era andata a cercare”? Perchè i giudici primari sono spesso donne? La cultura dello stupro è quel meccanismo cognitivo che pone la vittima di qualsiasi tipo di violenza in una posizione di sospettabilità.  Si basa su un sistema di facile catalogazione, il victim blaming, che inneggia alla colpa implicita della vittima, spostando la responsabilità dell’accaduto dal criminale alla vittima.

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E’ un’ottica guidata dalla cosiddetta male gaze risulta giudicante e non accogliente nei confronti della vittima.  In Italia la la rape culture, detta all’internazionale, è parte integrante del meccanismo dell’opinione pubblica e della narrazione mediatica. La violenza di genere non viene mai riconosciuta come tale neanche dalle autorità competenti alla denuncia. La vittima si ritrova sola di fronte ad uno scenario di shit-storming e si vergogna della sua sessualità e libertà di espressione perchè questo è il sistema. Perchè il problema è quello della naturalizzazione del consenso. La sessualità della donna è fuorviata dall’immaginario maschile,”i ragazzi sono ragazzi” e certe cose non si fanno per non indurre l’uomo in tentazione. Con il corpo la donna attrae e deve stare attenta ad autoproteggersi dal predatore. Un predatore che identifica nel prendersi cura di sè un ammiccamento, in un sorriso una richiesta, in un’appuntamento una libertà che può prendersi. Un far west insomma.  

Profili interessanti da seguire

Non tutte le donne sono state forgiate dal un mondo in cui sono prigioniere, infatti sono molte le ragazze che sfruttano la loro voce per parlare della questione della violenza di genere e delle survivors. “E’ l’occhio di chi guarda che giudica ed etichetta le vittime in base all’antefatto”, che come afferma l’influencer e divulgatrice Carlotta Vagnoli, “non legittima il crimine”.  Sul suo profilo Instagram tratta di violenza di genere con una puntualità e chiarezza di linguaggio disarmante. Michela Grasso è SpaghettiPolitics, studentessa 21enne di scienze politiche che su Instagram vuole «Capire cosa diavolo sta succedendo in Italia e nel mondo». La sua pagina ha ispirato Chiara Ferragni stessa a fungere da altoparlante per  le tematiche della violenza di genere e del victim blaming al suo enorme pubblico. Internazionalmente, @unwomen ha lanciato l’hashtag #orangetheworld per celebrare la giornata contro la violenza di genere, istituendo 16 giorni arancioni di attivismo virtuale con incontri e contenuti educativi e informativi. C’è anche un filtro da provare. 

Irene Facheris, su IG cimdrp si dedica da anni a produrre contenuti di qualità per divulgare diritti e orizzonti della cultura con il suo progetto Youtube Parità In Pillole. Carolina Capria è lhascrittounafemmina, account Instagram dedicati alla letteratura scritta da donne e di femminismo, Caraseifemminista è invece un podcast che espone tutte le prese di posizione fuorviate dalla narrazione contro il genere. Queste sono solo alcune delle donne impegnate nella divulgazione e nell’abolizione dello stigma contro le donne. Ma oltre a divulgare e ad educarsi, occorre donare.

Fatti, non parole

Fidarsi del proprio compagno è un’illusione anacronistica, come nel caso emblematico della maestra di Torino, che secondo chi l’ha rimossa dall’incarico avrebbe dovuto pensarci due volte prima di viversi la sua relazione in modo spontaneo ed evitare di mandare certe foto, visto che lavora con i bambini. E’ come chiedere ad ogni autorità statale di farsi prete perchè potrebbero cadere in conflitti di interesse. *grossa risata*. Per non parlare del fatto che una ragazza non può fare la sex worker senza essere violentata in modo macabro perchè il suo mestiere rende implicito il consenso. Il consenso non è implicito, non può essere frainteso. Il consenso è espresso con le parole, i fatti e non con il vestiario o la professione. Il consenso è solo a discrezione della donna, non delle sue azioni secondarie e delle conseguenti libertà che chi si rapporta con lei si prende. Ma questa, è un’altra storia.

Irene Coltrinari