Welcome to the NHK: la sindrome di Hikikomori spiegata attraverso un anime

di Domenico Arcudi per SocialUp.

La sindrome di Hikikomori, già emergenza sanitaria in Giappone negli anni ’90, potrebbe raggiungere picchi impressionanti, a seguito delle restrizioni imposte per contrastare il Covid-19. Il termine Hikikomori (trascritto き籠もり, che vuol dire letteralmente «ritirarsi in disparte»), coniato da Tomita Fujiya nel 1985, per poi essere ripreso dallo psichiatra Tamaki Saitō nel 1998, fa riferimento a quella che, nel 1978, Yoshimi Kasahara aveva definito come «nevrosi da ritiro». L’essere Hikikomori, talvolta, può implicare l’essere un Neet, ovvero uno di quei (tanti, ormai) ragazzi che non studia, né lavora.

Lo scrittore Tatsuhiko Takimoto ha pubblicato, nel 2002, il romanzo «Welcome to the NHK», da cui sono stati tratti il manga (pubblicato per la prima volta in Giappone, nel 2004, e in Italia nel 2011, presso la J-Pop/BD Edizioni) e l’anime (andato in onda, per la prima volta, tra il 2006 e il 2007), di cui parleremo, per spiegare in cosa consiste questa sindrome tutt’ora sconosciuta.

Tatshuiro Sato, il protagonista, è un Hikikomori (e quindi, un NEET), che vive in un bilocale nella periferia di Tokyo e non ha una vita sociale da tre anni, quando è stato vittima di Ijime, una forma di bullismo ostracizzante, all’interno della sua stessa università, ed è mantenuto dai suoi genitori, che gli passano un contributo mensile per pagare le bollette. Di tanto in tanto, come fanno molti hikikomori, Tatsuhiro esce per comprarsi da mangiare o nella piazzetta vicino casa. La sua vita cambia quando, un giorno, si presenta una testimone di Geova, accompagnata dalla nipote Misaki Nakahara, che a poco a poco si innamorerà del protagonista. Un altro incontro importante è quello con il suo vicino di appartamento, Yamazaki: un ragazzino che lo stesso Sato aveva difeso dai bulli, e che studia a Tokyo, sognando di diventare un creator di videogiochi.

Sato cerca di negare a Misaki, con tentativi maldestri, di essere un NEET (e un hikikomori), fingendo di essere un creator; ma lei, nonostante ciò, lo accetta e se ne innamora; anche se, all’inizio, non è un amore corrisposto, quello tra lui e lei. A bloccare Sato è l’idea persistente e irrazionale del complotto, inculcatagli dalla sua senpai (una sorta di consigliera) Hitomi Kashiwa, della quale è segretamente innamorato; egli, per molto tempo, pensa che Misaki sia frutto di un complotto e che lei, in realtà, sia stata mandata dalla «NHK», quale fautrice del complotto di cui lui si sente schiavo.

Molto ricorrente, nella serie, il ricorso alla sigla «NHK», che nella realtà fattuale indica la «Nihon Hōsō Kyōkai», emittente televisiva equivalente alla nostra Rai, che ha mandato in onda molti anime celebri e che, secondo Sato, in realtà la sigla significa «Nihon Hikikomori Kyōkai» (ovvero «Ente degli Hikikomori Giapponesi»). La NHK, per il protagonista, manda volutamente in onda gli anime, che creano dipendenza tra i giovani giapponesi, rendendoli Otaku (termine equivalente all’Italiano «fissato»; ma, in questo caso, si fa accezione al mondo dei manga/anime) e di conseguenza Hikikomori, spingendoli a un ritiro sociale perché, secondo Sato, gli anime rappresentano una realtà edulcorata, differente da quella quotidiana.

Misaki, che incarna la «sindrome da crocerossina», si dimostra comprensiva ed empatica verso Sato, aiutandogli a pulire la camera (che, come quella di molti hikikomori, versa in condizioni di disordine) e preparandogli da mangiare; ma lui, invece, è innamorato di Hitomi, la sua senpai, che è in procinto di matrimonio e lo porterà con sé in un gruppo di aspiranti suicidi. A salvare, sia Hitomi, sia lo stesso Sato, saranno proprio Misaki e Jogasaki, il futuro marito di Hitomi, ai quali si unisce Yamazaki.

Un altro punto di svolta della storia è il tentato suicidio di Misaki, perché non ricambiata da Sato: sarà allora che il protagonista, resosi conto che il complotto ordito a detta sua dalla NHK non può durare a lungo, decide di dichiararsi alla ragazza, decidendo di «firmare un contratto» che lo lega definitivamente a lei, in cui entrambi dovranno sostenersi reciprocamente, per superare ogni avversità.

Il morale della storia è che la vita, nonostante ci riservi sofferenze, imprevisti poco piacevoli e situazioni che ci rendono momentaneamente deboli, può riservarci anche momenti di felicità; oppure, aumentare quella che è la resilienza, ovvero la capacità di resistere agli urti della vita, diventando meno insofferenti e più ottimisti. Ciò che ci servirebbe, in casi simili, sarebbe una riprogrammazione della nostra vita, cercando di capire cos’è che non va e di allontanare quelle persone che ci buttano giù. Vivere cercando di esibire i nostri successi, quali un viaggio, il matrimonio, la laurea e/o l’aver ottenuto un lavoro, non ci renderà mai davvero felici, né persone di successo; semplicemente, ci renderà schiavi del pensiero altrui.

Per sopportare gli urti che la vita ci riserva, abbiamo bisogno di qualcuno che eviti di soffocarci con le sue angosce e che ci dia ascolto, senza abusare delle nostre debolezze; che sia un amico, un fidanzato o qualcuno con cui condividiamo un legame di sangue, non ha importanza.

redazione