Alberto Sordi rappresenta per l’Italia molto più che un grande comico, molto più che la commedia all’italiana. In circa 150 pellicole, alcune delle quali anche drammatiche, ha raccontato la storia del nostro Paese, tra pregi e difetti, satira e critica, sentimenti e razionalità di pensiero.
Perché Albertone era un uomo tutto d’un pezzo, e la storia di una carriera longeva di colui che è stato il più grande attore del cinema italiano è raccontata egregiamente nella retrospettica mostra dedicata al suo centenario, visitabile a Roma in due sedi fino al 31 Gennaio 2021, nel rispetto delle normative anti-covid: Villa Sordi e Teatro dei Dioscuri.
Si tratta della prima esposizione che tenta un sintetico ma esaustivo bilancio della vita e della carriera di questo grande artista, che fu anche valente antiquario, aspetto che consente anche di ammirare nella sua storica dimora due opere di De Chirico, maestro della Metafisica da Sordi conosciuto personalmente: “Trovatore” ed “Ettore e Andromaca” (seconda metà degli anni Cinquanta).
Da quadri e decorazioni il passo è breve per scoprire documenti, ricordi, memorie, cimeli, fotografie, costumi di scena, locandine di film, apparecchiature audiovisive, … che consentono di entrare in contatto anche con un Albertone più intimo e segreto, più vero, profondo.
Tuttavia, non mancano delle evidenti criticità espositive. Si continua, ad esempio, a non menzionare la principessa Soraya, sebbene sia stata tra i suoi più grandi amori, e, pur ammettendo l’impossibilità di esporre e rievocare tutte le locandine di tutti i suoi film, si dimenticano capolavori universali come “Una vita difficile”, o “La grande guerra” che riportò persino un Oscar.
Meritevole l’enfasi su pellicole drammatiche rilevanti anche nel mostrare l’altra faccia di un attore non solo bravo a far ridere (“Detenuto in attesa di giudizio” e “Un borghese piccolo piccolo”), come anche i pannelli illustrativi dettagliati, ma adatti alla fruizione di tutti.
Peccato che del fondamentale sodalizio artistico con Fellini non vi sia menzione alcuna (ad eccezione della locandina de “Lo sceicco bianco”).
Volutamente emotiva e commovente la scelta di concludere la prima parte dell’esposizione alla villa-museo ben tenuta con una sala buia illuminata solo da pannelli digitali, che sembrano istallazioni d’arte contemporanea con fotografie dell’interprete che s’alternano tra di loro.
La varietà dei suoi personaggi che hanno rappresentato non l’italiano, ma tutti noi umani da alcuni punti di vista, si ravvisa bene già nella presenza di una “gigantografia fotografica” ove sono raffigurate facce dei suoi personaggi più celebri.
Ed ecco come una prima conclusione (alla villa), peraltro dissonante rispetto ad un’impostazione tradizionale di una mostra “retrospettivo-cinematografica”, possa risultare ridondante, come la canzone di Mina “Breve amore”, melodia cui era molto legato e che cantò pure, sparata a palla di continuo in entrambe le sedi espositive verso la fine del percorso.
Operazione complessa e riuscita non abbastanza, forse anche per questo, forse anche perché omaggiare chi ha rappresentato meglio di tutti il nostro cinema, celebrandolo, è quasi impossibile.
Ma resta il profondo e sentito messaggio – in relazione anche ad una buona ottimizzazione degli spazi e dell’ascolto di un pubblico eterogeneo – che, in fondo, siamo tutti Alberto Sordi.
P.S.- Ecco un breve filmato sulla mostra “Alberto Sordi 1920-2020”, realizzato da Christian Liguori insieme alle fotografie.