Socialmente utile: sostenibilità e moda, a che punto siamo?

Socialmente utile è il nuovo appuntamento di Social Up, in cui ogni mese vi proponiamo spunti di riflessione rispetto a determinate tematiche con professionisti del settore. Per iniziare abbiamo deciso di parlare di sostenibilità con Celeste Corso, consulente e docente nel settore lusso e moda. Prima di dedicarsi completamente alla sua attività di freelance, Celeste è stata Head Manager per Canali, Designer e Product Manager per Paul & Shark e Colmar. Attualmente collabora con l’Istituto Marangoni Milano insegnando  scienza e tecnologie dei materiali, sviluppo del prodotto e sostenibilità nei corsi triennali e master. Impegnata da anni nella ricerca nell’ambito dell’innovazione e della sostenibilità, ha risposto con passione e chiarezza ad alcune nostre domande.

Nel nostro piccolo ciascuno di noi come può essere sostenibile per quanto riguarda la moda nel quotidiano?

C’è una formula: Buy less, buy better. Questa affermazione oggi trova un altro sviluppo: Less is more. È scontato e retorico ma è quello che potrebbe essere il nostro atteggiamento. Se partiamo da questo concetto ci rendiamo conto che tutto diventa superfluo. Dobbiamo cominciare a cambiare attitudine mentale e predisposizione culturale nei confronti della moda, a ragionare per essere meno compulsivi, più razionali e meno manipolabili dalla comunicazione, quindi più consapevoli. La nostra consapevolezza può derivare solo dalla cultura della sostenibilità: ognuno di noi dovrebbe essere informato e non compulsivo. Comprare di meno e acquistare con più coerenza fa parte della cultura della sostenibilità che oggi sta nascendo. Nella realtà si sta formando un tessuto di base che farà sì che su questo non dovremo nemmeno più riflettere, sarà naturale. Domani, quando tutto il mondo del fashion si sarà mosso a promuovere la sostenibilità, questa domanda sarà già obsoleta, perché il settore sarà così mutato in questa nuova direzione che il consumatore non se la porrà più. La sostenibilità è cultura che si trasforma in attitudine. Se manca la cultura, il consumatore non può farlo. Sono le case di moda che devono portare il consumatore a questa cultura.

Come rompere il meccanismo costa poco = lo compro anche se non mi serve?

È un meccanismo che ha contraddistinto il fast fashion, la spinta di base che si è impressa per stimolare i consumi. Dietro questa formula promossa come politica di marketing c’è una forma di “schiavitù” legata al prezzo: non 10 euro ma 9.99, così si è portati ad acquistare di più. Inoltre, il continuo mettere prodotti nuovi in vetrina, attrae il cliente e lo distrae dalla consapevolezza dell’acquisto. Dobbiamo imparare a bilanciare il desiderio di rincorrere l’appagamento della vanità con la reale necessità del prodotto che vorremmo acquistare. È un tornare ad avere un approccio più sobrio con l’abbigliamento, far prevalere l’essere e non l’apparire.  Il meccanismo di possedere un oggetto sta diventando obsoleto: lo testimoniano anche tutte le piattaforme per noleggiare. Il concetto nuovo è quello di vivere un’esperienza con il prodotto di moda, e non possedere quell’oggetto.

Ci son brand/marchi che combinano un rapporto sostenibilità-prezzo accessibile?

È un discorso culturale e molto più ampio.  Fino a qualche tempo fa il prodotto sostenibile, nel pensiero comune, doveva essere economico. Per la sua natura però (processi di lavorazione, materiali etc.) il prezzo non poteva essere economico.  Fino a poco tempo fa, nella mente del consumatore globale c’era l’idea che il prodotto sostenibile fosse legato a realtà locali. Per esempio, si considerava sostenibile la sciarpa fatta con la lana delle pecore e venduta a km zero alla sagra di paese. Oggi questa concezione sta cambiando. Il prodotto sostenibile non può essere un prodotto economico; i processi di realizzazione sono differenti, più sofisticati e quindi anche più costosi. Il consumatore deve culturalmente accettare che il prodotto sostenibile abbia un costo più alto. Come dicevamo prima, bisogna uscire dall’ottica dell’acquisto e entrare in quella dell’esperienza. Anche il mondo del fast fashion sta cercando di produrre per immettere sul mercato adattandosi a questi meccanismi.

Quanto sono effettivamente sostenibili i brand e verso quale futuro ci stiamo indirizzando?

Dobbiamo pensare che passo dopo passo facciamo miglioramenti. Bisogna considerare la sostenibilità come l’insieme di tante e piccole azioni che nella loro totalità sono in grado di cambiare il prodotto moda. Se parliamo di sostenibilità rispetto alla moda ci vengono in mente: il tessuto e il filato, filiere in cui sia rispettato il lavoro degli operatori, evitare l’iper-consumismo. La sostenibilità passa anche attraverso il negozio: illuminazione, materiali che si usano nello shop, nel packaging per l’e-commerce. Bisogna riflettere anche sui mezzi di trasporto utilizzati per far arrivare il prodotto nei negozi o a casa del consumatore. Insomma, la sostenibilità contiene tutta una serie di approcci e atteggiamenti: e oggi i brand scelgono da quale aspetto partire. Attualmente le filiere 100% sostenibili sono tutte startup; le grandi aziende stanno lavorando per raggiungere questo obiettivo.

Una sostenibilità al 100% è ipotizzabile o solo utopia?

Non è un’utopia purché si continui a fare filiera. Dalla nascita del tessuto fino all’arrivo del prodotto in negozio: tutto deve essere sostenibile. Inoltre è importante adottare il criterio della block chain, che ci permette di avere una tracciabilità dell’acquisto. Sull’etichetta dovrebbe esserci un QR code che se scansionato consente al cliente di avere informazioni rispetto a dove è stato prodotto il filato, il tessuto, come è stato trasportato. Insomma, una sorta di carta d’identità del capo.

Quali sono i buoni propositi del fashion riguardo la sostenibilità?

Più che di buoni propositi parliamo di un settore che deve attenersi a delle regole dettate da una parte dai governi (che devono rispondere alle Agende) e dall’altra dalla richiesta del consumatore. Il mondo della moda deve adeguarsi per creare una situazione di business meno aggressiva. Diciamocelo chiaramente, le grandi case di moda non diventeranno sostenibili perché hanno scoperto di essere filantrope, ma perché devono adattarsi e rimodularsi seguendo le esigenze del consumatore e le nuove regole in materia di sostenibilità.

Sostenibilità, fashion e Covid: in che modo la pandemia ha influenzato la sostenibilità del fashion?

La pandemia ha accelerato questi processi, ha acceso i riflettori. Il consumatore oggi manifesta il bisogno di prodotti sostenibili ed il Coronavirus ha influito tantissimo su questo fenomeno che è in atto da parecchio. Nella realtà la moda è un settore che per la sua complessità organizzativa dovrà effettuare cambiamenti radicali per allinearsi a questa nuova modalità …ma la rivoluzione ormai è avviata e la sua corsa è inarrestabile!

Eleonora Corso