Salvare il patrimonio culturale, salvare l’identità nazionale

Renderci conto di quanto in realtà potrebbe valere il nostro patrimonio culturale forse ci incoraggerebbe a sostenerlo di più e con maggior partecipazione, vigore, energia e coinvolgimento. Oggi vogliamo porre sotto una propositiva lente d’ingrandimento la parola “contributo”, potenzialmente fondamentale per un’azione di sostegno che potrebbe risultare sicuramente più consistente e concreta. Ciò vale soprattutto se tale contributo proviene da coloro verso cui tale patrimonio è in primis indirizzato, ovvero il visitatore medio; colui che più di ogni altro dovrebbe proteggere, valorizzare con la continua fruizione e partecipazione il nostro patrimonio nazionale.

Fare della nostra cultura, tra le più invidiate al mondo, una fruttuosa quanto benevola industria italiana, porla orgogliosamente al pari di tutte quelle realtà che più propriamente rientrano in tale settore. La cultura e tutto ciò che la rappresenta, dovrebbe essere in principio strenuamente difesa dai propri cittadini, con un immenso rispetto e tramite una mai decrescente fruizione, per evitare di dimenticare stupidamente il reale ed immenso valore e fragilità del nostro infinito patrimonio nazionale.

Nel nostro caso si raggiungono vere e proprie cifre record: 5000 fra musei, monumenti e aree archeologiche, 49 siti Unesco ed introiti che si aggirano tra i 10 miliardi d’euro l’anno; da qui l’enorme paradosso, tali immense risorse si vanno inspiegabilmente a disperdere in “mille inutili ruscelli”, conclusioni senza dubbio fuorvianti per una reale e perenne conservazione e fruizione di un patrimonio tra i vasti, gloriosi e costosi del mondo. Inutile dire che pur potendo nettamente confrontarsi nonché superare per l’incredibile spessore, il paragone con l’estero assume proporzioni alquanto imbarazzanti da molti punti di vista.

Tristemente ciò che al momento ci fa “sopravvivere” per flusso di turisti e fruizioni ad alti livelli (specialmente straniero) è da attribuire quasi esclusivamente allo smisurato spessore storico-artistico oggettivamente posseduto, “produttore” fin dalla sua creazione di un eco indistruttibile per orde ed orde di turisti da tutto il mondo. Dovremmo secondo un incalcolabile rispetto, saper “sfruttare” tale sproporzionata ricchezza, cosa che in Italia più che agire con coscienza, ci sia l’impressione che si debba necessariamente cercare una cura a lungo termine per un inspiegabile malattia, non essendoci congrue risorse da impiegare, sicuramente meglio gestite e dinamizzate all’estero.

Nel nostro paese quando si parla di industria culturale da valorizzare e da far progredire, non si creano quelle che dovrebbero essere ovvie azioni consequenziali con un corrispettivo sviluppo economico attraverso mirate strategie di benevolo marketing, bensì tagli fino allo sfinimento. Dato tristemente oggettivo che in Italia la cultura ha acquisito un peso via via sempre più inferiore se non inconsistente, andando inequivocabilmente a pesare su cinema, spettacoli, archivi, musei, biblioteche e monumenti.

Sarebbe opportuno avere sufficientemente chiaro come ogni manifestazione del nostro patrimonio culturale in qualsiasi forma esso si sia configurato nel corso della storia, debba essere adeguatamente “protetto” e valorizzato da ognuno di noi, attraverso tutte quelle modalità rese possibili dai mezzi di supporto che vi potrebbero sussistere dietro, come il cinema, l’editoria, il più classico fenomeno turistico, l’organizzazione di mostre, ausilio televisivo tramite documentari o lezioni di storia dell’arte nelle più grandi piattaforme esistenti, aumento del numero dei biglietti con un notevole abbassamento dei prezzi relativi, così da ingrandire sensibilmente coloro che parteciperanno ad esposizioni, convegni, presentazioni libri, aperture o rivalorizzazioni di gallerie di piccole, medie o grandi dimensioni o semplicemente per occupare più fruttuosamente i vuoti pomeriggi dei week-end attraverso “passeggiate” tra le collezioni permanenti dei propri musei.

Comunque sia, sarebbe più proficuo, intelligente ed efficiente considerare il nostro patrimonio nazionale come parte integrante di tutta la filiera del settore culturale, comprendendola anch’essa nel più grande mondo delle industrie creative come il cinema, la musica, l’editoria, i videogiochi, l’architettura, il design, la moda e la comunicazione, modalità con cui sarebbe possibile generare ulteriori introiti d’accrescimento.

Quel che realmente manca è la volontà e la capacità nell’essere innovativi, creativi, nel saper rischiare, rendersi dinamici nei confronti di un sistema di mercato progressivamente più famelico che mai. Dovremmo “sufficientemente” essere più attenti, orgogliosi, rispettosi e partecipativi nei confronti di un patrimonio monumentale ed immenso.

Alfonso Lauria