Mank, il nuovo film di David Fincher, disponibile su Netflix Dal 4 dicembre 2020, è stato molto apprezzato dalla critica. Ben diverso è il nostro parere sulla pellicola, la quale, al di là di affascinanti atmosfere in bianco e nero e un buon cast, appare troppo patinata, con dialoghi fin troppo affettati e poco facile da seguire dallo spettatore.
Il protagonista, Herman J. Mankiewicz ( Gary Oldman), sceneggiatore del film Quarto potere di Orson Wells viene descritto da Fincher come un simpatico e impenitente beone, un geniale scrittore cui viene affidata una sceneggiatura che sarà il suo capolavoro.
Costretto a letto, a seguito di un incidente, Mankiewicz, dalla battuta sempre pronta e l’alcolismo facile, sarà assistito nella stesura del copione dalla sua assistente (Lily Collins). Il film ripercorre le sue memorie ricostruendo i contesti, gli ambienti e le donne da lui frequentati prima della stesura, che avrebbero influenzato la scrittura del copione.
Se se la fotografia del film di David Fincher è pregevole, così come la scenografia degli ambienti in cui il protagonista si aggira con un certo fascino romantico da artista maledetto e con un’ironia tagliente; non si può dire lo stesso dei personaggi della pellicola, i quali sono quasi in secondo piano rispetto alla resa cinematografica di di ciò che li circonda. È così che il personaggio stesso di Mankiewicz, Seppure ben interpretato da Gary Oldman, appare più un escamotage filmico per raccontare vicende politiche e dinamiche interne ai grandi Studios Americani negli anni 40’, piuttosto che offrire nuovi spunti di riflessione sulla celebre sceneggiatura del film Quarto potere.
Il demerito di Mank è quello di trascurare la pellicola di Orson Wells (che pure sarebbe dovuto essere l’elemento principale del film), non riuscendo adeguatamente a creare un collegamento meta cinematografico tra la sceneggiatura scritta da Mankiewicz, la vita di quest’ultimo e dei personaggi che lo circondavano con Quarto Potere, l’opera che da tale sceneggiatura avrebbe successivamente preso vita.
La stessa figura di William Randolph Hearst, magnate dell’editoria e politico, a cui sarebbe ispirato il personaggio di Charles Foster Kane (in Quarto Potere) è in realtà abbastanza trascurata dal film di Fincher. Non viene indagata in profondità ma ci si limita a descriverla nei contesti politici, mediatici, applicati anche al mondo del cinema, piuttosto che scandagliare la psiche di un tale personaggio, cosa che invece è fatta con grande cura in Quarto potere di Orson Wells, non a caso una sorta di film inchiesta sul protagonista, volta a carpire i segreti più nascosti della vita di quest’ultimo.
Nel seguire le peregrinazioni del pur simpatico e accattivante Herman J. Mankiewicz negli ambienti politici, nel mondo del cinema, tra gli attori, i produttori, gli sceneggiatori, le dive della sua epoca, Mank si perde troppo nella forma e trascura la sostanza, minimizzando tra l’altro l’apporto registico di Orson Wells alla resa finale del film Quarto potere, una regia considerata per molti aspetti rivoluzionaria per l’ utilizzo innovativo di alcune tecniche tra cui la profondità di campo e il piano sequenza.
Per questo Mank appare più un film che costruisce una dimensione a se stante, non necessariamente così vicina alla realtà e risulta molto arduo per lo spettatore italiano sincerarsi della verosimiglianza degli ambienti descritti, in quanto si tratta di dinamiche politiche e degli Studios, americane, mediamente da noi poco conosciute e per questo difficili da seguire.
Questo comporta una progressiva mancanza di interesse nel seguire le vicende raccontate dal film da parte dello spettatore medio, il che rende la pellicola distante dall’ immedesimazione empatica di chi guarda e di fatto più lenta e noiosa del dovuto.
Seppure Mank cerchi di riprodurre alcune tecniche registiche utilizzate da Orson Wells in Quarto potere, tuttavia la pellicola non riesce a replicare minimamente la curiosità che lo spettatore prova verso l’incognita della figura descritta nel capolavoro registico di Orson Wells, in cui l’esagerazione barocca di alcune scene è direttamente funzionale alla descrizione dell’ insaziabile desiderio di potere del cittadino Kane. Non così l’ estremo formalismo di Mank, in fin dei conti fine a se stesso.
Facendo un paragone con un’idea cinematografica simile, è molto più efficace il provocatorio e sofisticato gioco registico di Hazanavicius, (The Artist), il quale in Il mio Godard, descrive l’ultimo periodo ella vita artistica di Godard, adottando molte delle tecniche registe dell’autore, attraverso un meta-cinema ben più ironico, provocatorio e giocoso. Anche in questo caso il discorso filmico non è semplice da cogliere, ma il risultato è decisamente più godibile, coinvolgente e raffinato.
Tornando a Mank, un ritmo non particolarmente elevato e la scarsa “presa” dei personaggi descritti, eccetto quello interpretato da Gary Oldman, fanno di questo film un esercizio di stile, che sembra davvero lontano rispetto ai canoni della regia di Fincher, di solito incentrati sulla tensione scenica e sul coinvolgimento dello spettatore.
Non ci ha convinto dunque, sebbene per molti rappresenti uno dei film migliori del 2020, per alcuni possibile protagonista agli oscar.