La tartaruga rossa: una nuova perla del cinema d’animazione

In Dvd dal 6 luglio 2017, “La Tartaruga rossa” è il primo lungometraggio dell’olandese Michael Dudok de Wit, sceneggiatore e disegnatore oltre che regista. Come molte altre opere prodotte dallo Studio Ghibli  siamo dinnanzi ad un film d’animazione di elevato livello tecnico e artistico. Nonostante le animazioni siano molto diverse da quelle dei due maestri fondatori dello studio, Miyazaki e Takahata, l’opera ne sposa perfettamente l’anima, la poesia, l’eleganza, riuscendo a distinguersi con carattere e  personalità,  al punto da poter essere considerata una nuova perla del cinema d’animazione, proveniente da un intelligente collaborazione produttiva tra Francia e Giappone.

Il film racconta la storia di un naufrago, che approda su un’isola deserta, incantevole  e lussureggiante. Sebbene il luogo sia accogliente e affatto ostile, l’uomo non pensa altro che al suo ritorno a casa. Si attrezza con tutto il suo ingegno per costruire una zattera; ma incontra un misterioso ostacolo sul suo cammino. Una volta in acqua, infatti, l’imbarcazione viene sistematicamente distrutta ad ogni tentativo di fuga da qualcosa di invisibile e sfuggente che dimora nelle acque. L’incontro con la misteriosa creatura segnerà profondamente l’uomo e il suo destino.

A dispetto della trama lineare, “La Tartaruga Rossa” è un film tutt’altro che semplice nella sua realizzazione. La cura dei dettagli visivi lascia stupefatti fin dalle prime scene. I fondali su cui si muovono i personaggi sono disegnati con un’attenzione davvero millesimale. In particolar modo colpisce la resa della luce che illumina i fantastici paesaggi incontaminati dell’isola. E’ così che i raggi solari e quelli del chiaro di luna diventano componenti fondamentali dell’animazione, così come le ombre che essi proiettano.

Il mondo naturale e le sue armoniose dinamiche (anche quelle distruttive) sono filtrate attraverso l’occhio del regista, che studia con perfetta padronanza i movimenti dei protagonisti in questi magnifici fondali. Grande il realismo nei loro movimenti all’interno degli spazi circostanti, nell’esplorarli  con incertezza, oppure con la sicurezza di chi ne padroneggia anche i segreti più nascosti. Nessuna inquadratura è lasciata al caso, nemmeno quelle oniriche dei sogni, corredate  dalla bella colonna sonora di Laurent Perez.

L’assenza di parole (si tratta infatti di un cartone muto), enfatizza ancora di più le immagini e i movimenti dei protagonisti, che esprimono le loro emozioni proprio attraverso i loro gesti, piuttosto che con la mimica facciale o i dialoghi, creando grande empatia con lo spettatore. Questo realistico dinamismo rende molto scorrevole la pellicola, che è raffinata, delicata e non appare mai lenta agli occhi chi guarda.

Strettamente legata all’aspetto visivo del film, vi è poi la componente emozionale e metaforica dell’opera: una fiaba elegante e poetica, densa di significato. Il naufrago è metafora dell’essere umano, alla continua ricerca di se stesso. Nel luogo più inaspettato trova la sua felicità: l’isola che vedeva come una prigione. Lo fa abbandonando la sua armatura, rappresentata dalla zattera, suo unico strumento di fuga, denudando se stesso, come la tartaruga rossa abbandona il suo guscio. In quel momento entrambi si riconoscono in un’unica realtà, rappresentata dall’isola paradisiaca che diventa il simbolo vivente e pulsante della loro unione. Nonostante le avversità essa sarà sempre il luogo ideale in cui trascorrere insieme la propria esistenza. Il mare che la circonda è però allo stesso tempo fonte di attrazione, per l’altro protagonista, il ragazzo, che desidera viaggiare oltre i confini conosciuti, superare i propri limiti, per ricercare nuovi territori, nuovi mari; per trovare con le proprie forze la sua personale isola.

Così, il mondo naturale diventa lo specchio della natura umana, delle sue età e delle sue pulsioni. Dallo stupore e la freneticità giovanile, alla paziente quotidianità della vecchiaia. Non sorprende che lo studio Ghibli, da sempre attento alla resa dei paesaggi e sensibile ai temi relativi alla natura (come in “Nausicaa della valle del vento” o in “Principessa Mononoke“) abbia sposato questo progetto in cui il paesaggio assume la dimensione di metafora.

Qualificabile quindi come film d’animazione pura, che fa a meno dei dialoghi, di cui non si avverte minimamente la mancanza, “La tartaruga rossa” (premiato a Cannes nella sezione “un cert regard“) ha senz’altro meritato la candidatura oscar 2017 come miglior film d’animazione, che avrebbe potuto vincere con pieno merito. Bisogna ammettere in ogni caso che quest’anno la concorrenza era molto agguerrita, data la qualità dei film in concorso, tra cui “Zootropolis” (il vincitore),  “Kubo e la spada magica” e “La mia vita da zucchina” (sempre francese), tutte opere di alto livello. Il regista Michael Dudok de Vit comunque è già stato premiato in passato (oscar nel 2000 con il cortometraggio “Padre e Figlia”).

Al di là dei premi, “La tartaruga rossa” è l’esempio di come il cinema d’animazione europeo possa produrre opere di grandissimo spessore, come è successo in questo caso, addirittura in collaborazione col Giappone. Lo studio Ghibli si conferma una garanzia in tale genere cinematografico e crescono le aspettative per il nuovo lavoro del maestro Miyazaki, “Boro the caterpillar”, forse l’ultimo della sua carriera.

Francesco Bellia