La storia degli orecchini: la loro evoluzione nei secoli

L’amore per gli accessori ha un’origine ben più antica di quanto si possa immaginare. La decorazione del corpo e l’abbellimento di noi stessi o di alcune parti del nostro corpo è in realtà derivata da una lunghissima evoluzione culturale. Se si parla di accessori che si sono evoluti nel corso del tempo portando con sé storie, miti e leggende, non si può non parlare degli orecchini.

Tra storia e mito, gli orecchini sono uno degli accessori più antichi e particolari. Non sempre sono stati amati e portati quotidianamente come oggi, ma al contrario hanno avuto una storia lunga e frastagliata prima di poter diventare l’accessorio accessibile del ready-to-wear contemporaneo.

Non si hanno tante fonti storiche certe per poter analizzare l’evoluzione dell’orecchino, ma sicuramente sappiamo che ci sono stati ritrovamenti di questo accessorio già nell’età del bronzo, probabilmente indossato solamente da ceti sociali elevati come simbolo di ricchezza del loro status.

La particolarità dell’orecchino-  che molti non sanno–  è che principalmente nacque come accessorio maschile. Infatti, già durante l’Antico Egitto, uomini e faraoni iniziarono ad adornarsi con questi accessori principalmente lavorati in oro ed argento, e questa peculiarità fu visibile già nei loro primi geroglifici dalla presenza di orecchini con cerchi e catenelle.

Che questa moda sia nata quindi anche per un vezzo maschile, non è più un tabù. Al contrario, l’orecchino ebbe il suo grande successo anche nell’ambito femminile proprio perché così ambito e ricercato, quasi rubato dall’abbigliamento maschile. Anche durante l’Antica Grecia, l’amore per l’orecchino rese possibile il diffondersi sempre di più di questo accessorio, anche in ambito femminile.

Ma l’avversione per l’orecchino iniziò a sorgere solo nel corso del Medioevo, soprattutto in Italia, dove il potere della Chiesa era tale da poter infierire sull’utilizzo di particolari accessori non ritenuti consoni e adatti per un abbigliamento casto e pulito. Tra questi ritroviamo anche gli orecchini. Considerati oggetti profani, proprio perché andavano a rovinare con piccoli fori nel lobo l’opera del creato, vennero vietati  e banditi, se non per qualche rara eccezione. Infatti, attraverso leggi suntuarie, ovvero norme disciplinari che tendevano a sancire una regolamentazione del lusso, gli orecchini divennero solo ornamento di prostitute e cortigiane. Per quanto riguarda il nostro bel paese, solo nell’isola della Sicilia non vennero vietati, entrando così nel costume tradizionale.

Successivamente, con il passare dei secoli vennero riadottati,  fino a quando nel 700 fu introdotto il diamante, pietra preziosissima che entrò a far parte del design dell’orecchino moderno. Nel corso del 1800, l’orecchino fu un elemento estetico molto amato, che si differenziò in base alla posizione in cui veniva indossato. Infatti, nell’Inghilterra del XIX secolo era tipico uso della marina mercantile inglese indossare l’orecchino a sinistra. Per quanto riguarda invece la marina militare inglese, l’orecchino era puntualmente situato a destra. La storia dice addirittura che anche i pirati fossero innamorati di questo accessorio, grazie al quale riuscivano a “catturare luce” nei luoghi di scarsa visibilità, come ad esempio sotto coperta. Altre fonti invece, affermano che li indossassero principalmente come simbolo di riconoscimento, con la stessa funzione di un’uniforme.

In realtà, l’uso dell’orecchino è riuscito a protrarsi fino a noi, passando dalla fine del 1900 come elemento di protesta e rottura sociale tramite piccoli e grandi gruppi giovanili, come i punk, arrivando ad essere un accessorio ricercato e al contempo quotidiano, adatto per le occasioni più disparate.

Grandi, pendenti, a goccia, a catena e di qualsiasi tipologia di materiale anche eco-sostenibile: gli orecchini hanno attraversato ogni secolo e cultura, accompagnando il gusto estetico di ogni civiltà e insinuandosi all’interno del costume tradizionale, influenzando l’abbigliamento maschile e femminile sino ai giorni nostri.

Valentina Brini