Intervista ad Anna Cantagallo: “Arazzo familiare è il mio nuovo romanzo”

Anna Cantagallo vive a Roma. È un medico che ha curato per Gremese Editore la collana scientifico-divulgativa La scienza in cucina.

Da anni si dedica alla scrittura di testi teatrali. Il suo progetto La scienza a teatro per la divulgazione delle scoperte scientifiche attraverso la teatralizzazione ha ricevuto il patrocinio del CNR e dell’Ordine dei medici di Roma.

“Arazzo familiare” è il suo primo romanzo edito da Castelvecchi: una saga al femminile, costruita in un gioco sapiente di piani temporali, ricca di colpi di scena e intriganti segreti.

 In occasione della pubblicazione del libro, abbiamo intervistato Anna Cantagallo

“Arazzo familiare” è il suo primo romanzo. Da dove è nata l’ispirazione e perché parlare di donne?

Negli ultimi anni della mia vita professionale riflettevo sulle nuove generazioni e, in particolare, sulle donne d’oggi che possono aspirare alla realizzazione di sé attraverso il lavoro, immaginando qualsiasi tipo di carriera. La scolarizzazione, anche superiore, è ormai alla portata di chiunque si voglia impegnare. Così non è stato nel passato, per la presenza di molti vincoli di tipo sociale, culturali ed economici. Ho voluto costruire questo romanzo per trattare il percorso che ha portato alla consapevolezza della donna d’oggi, riconoscendo che ogni conquista ha la sua genealogia.

Donne di ieri e donne di oggi. Secondo lei qual è lo stato sociale della donna nel 2021?

Nel mio romanzo Arazzo familiare prendo in considerazione le generazioni di ieri che si sono confrontate con gli avvenimenti topici del Novecento. Durante la Prima guerra mondiale, le donne si sono dimostrate capaci di sostituire gli uomini, impegnati al fronte, in alcuni lavori, così come nella Seconda guerra hanno fatto della loro abilità a sopravvivere alla miseria e alle avversità una dote da trasmettere alla generazione successiva. La presa di coscienza femminile, tuttavia, è diventata palese dal ’68, fortificata poi dal femminismo.

La donna d’oggi deve la consapevolezza di sé alle donne che l’hanno preceduta e all’acquisizione di alcuni diritti sociali, ottenuti negli anni Settanta dopo lunghe battaglie. La donna del terzo millennio può usufruire del diritto di aborto o del divorzio e può appellarsi al nuovo ordinamento familiare; riesce ad essere autonoma con il reddito proveniente dal suo lavoro anche se ancora penalizzata a livello salariale. La donna ha percorso molta strada per mettere in luce le sue capacità e molto altro potrà fare in campi che sono ancora di predominio maschile. I sogni che sembravano impossibili sono a portata di mano se, alla indispensabile competenza, viene associata la determinazione e la tenacia. Dobbiamo augurarci che anche l’uomo abbia seguito un analogo percorso di conoscenza di sé sul lungo binario tracciato in questi anni; forse potrebbe incontrare la donna alla stessa fermata di treno.

Come potrebbe migliorare la condizione sociale della donna, soprattutto in relazione al potere?

La condizione sociale femminile potrebbe migliorare se, attraverso l’educazione e l’esempio familiare, che io ritengo sia il più potente strumento

di comunicazione, gli uomini si arricchissero di un altro punto di vista sulle donne. Sarebbe auspicabile che un uomo si rivolgesse alla propria fidanzata o moglie come a una compagna di vita con cui confrontarsi, per fare della diversità di genere un tesoro e non un terreno di conflitti. Se questo concetto, che parte indubbiamente dall’esempio osservato nell’ambiente famigliare, fosse ben presente nella vita personale si estenderebbe anche nella vita lavorativa. Una madre, rispettata dal coniuge in tutte le sue caratteristiche di donna, lascia una traccia persistente nell’immaginario dei figli.

Il potere è ancora in mano agli uomini perché è stato, da sempre, costruito intorno al cardine della disponibilità del tempo dedicabile al lavoro. Per avere il potere, le donne di oggi devono “mascolinizzarsi” dimostrando una disponibilità totale di tempo, sapendo di dover dare anche più degli uomini, a cui viene naturale tirar tardi al lavoro per non avere noie domestiche. In Italia, il tempo dedicabile alla carriera mal si concilia con la gestione di una famiglia.

Sarebbe utile conoscere approfonditamente la struttura sociale di alcuni paesi del nord Europa dove le capacità femminili hanno il giusto riconoscimento nei ruoli di potere. Questi modelli sociali potrebbero essere condivisi anche in Italia in modo che la gestione domestica e la cura dei figli siano divisi equamente, con orari adeguati per il lavoro e per gli affetti.

Non solo scrittrice ma lei è anche medico. Molto interessante il lavoro fatto in questi anni mescolando teatro e ricerca. Ci racconta com’è nato il tutto e cosa è stato raggiunto finora?

Ho iniziato a scrivere per divulgare alcune informazioni scientifiche inerenti al mio ambito professionale. Avevo notato quanto fosse difficile per i pazienti comprendere quelle nozioni, importanti per la gestione della malattia, trasmesse dai medici con parole troppo tecniche. Il mio primo libro scientifico divulgativo ha riguardato la patologia del mio ambito lavorativo, il diabete, a cui sono seguiti altri quattro, editi da Gremese Editore.

La comunicazione scientifica iniziava a piacermi, così ho pensato che avrei potuto rivolgermi anche a una platea più ampia. Visto che da tempo mi dedicavo alla scrittura teatrale, perché non spiegare l’importanza di alcune scoperte scientifiche attraverso una rappresentazione scenica?

Il teatro ha un potere magico: quello di trasmettere i pensieri dell’autore allo spettatore attraverso il veicolo delle emozioni, quelle che con abilità vengono sollecitate dalla recitazione.

Così è nato il progetto La Scienza a teatro che ha avuto il patrocinio del CNR e dell’Ordine dei Medici di Roma. Nella prima edizione ho voluto portare in scena la figura di Ignaz Philip Semmelweis che intuì, prima di Pasteur, l’importanza del lavaggio delle mani per prevenire la diffusione delle malattie.

Quando ho avvertito serpeggiare la commozione in sala, ho capito che il messaggio era arrivato al cuore, oltre che alla ragione.

La scrittura è al centro della sua vita. Cosa rappresenta per lei scrivere?

La scrittura è diventato un bel modo per esprimermi. I miei pensieri e le mie riflessioni le posso trasmettere con le storie che creo. In particolare, le comunico attraverso le emozioni che animano i personaggi. Le azioni che loro fanno e le scelte che operano non sono altro che espressioni del mondo emotivo che in loro ho travasato. Poi accade uno strano fenomeno: ho l’impressione che i personaggi prendano vita propria e li avverto così vicini che sembrano spingermi a scrivere nella direzione scelta da loro.

Su cosa sta lavorando in questo periodo?

Sto lavorando al sequel di Arazzo familiare. La storia si arresta negli anni Ottanta, dove ho lasciato alcune situazioni irrisolte. Una giovane lettrice mi ha chiesto, con un certo calore, cosa accadrà nel seguito della storia. La curiosità era troppa! Per accennare ora a qualcosa, mi viene da dire che la donna della terza generazione, Marigiò, quella che ha vissuto appieno il ‘68, che è autonoma e soddisfatta del suo lavoro di medico, si dovrà confrontare con il dilemma degli affetti.

Sandy Sciuto