Intervista a Lucia del Pasqua: “Sono un po’ come il grillo parlante”

Lucia del Pasqua: “Sono un po’ come il grillo parlante”. Così si definisce Lucia in questa intervista, aretina di nascita, che scrive e inventa da sempre. Dalle sue parole traspare un amore incondizionato per tutto ciò che ha un forte significato storico e affettivo, per la scrittura e per ogni forma di comunicazione e trasmissione della sua colorata creatività. Ovviamente si tratta di colori in technicolor essendo, la nostra Lucia, una cantastorie dall’animo vintage. Instagram è  infatti solo l’ultimo dei mezzi di comunicazione che usa per far confluire la sua inarrestabile fantasia.  

Dopo aver lavorato infatti in uffici stampa come account e come PR per alcuni marchi, lavora  anche presso il canale TV “Class life” come giornalista lifestyle. Lucia del Pasqua prosegue la sua esperienza professionale nella redazione di MTV, “Crispy news”. Lavora in Conde Nast come redattrice freelance per style.it e vanityfair.it,  in Fashion Illustrated e W.U. Attualmente è una content creator (meravigliosamente onirica – @luciadelpasqua) e storyteller, guest su QVC e blogger per thefashionpolitan.com. 

Abbiamo avuto la fortuna di chiacchierare con questa donna  tanto anti convenzionale quanto legata al suo passato. Passato personale, famigliare e, perché no, geografico dal momento che il suo fantastico accento toscano c’è, ed è ben presente! A voi l’intervista a Lucia del Pasqua.

Hai un’esperienza amplissima nel campo della comunicazione e della scrittura. Se dovessi scegliere in questa intervista una citazione per descriverti e raccontarti  quale sceglieresti? 

Non sceglierei nessuna citazione in realtà. Io mi definisco una “racconta storie” che credo non sia una citazione vera e propria. É semplicemente quello che faccio: racconto storie. Sono come il grillo parlante di Pinocchio.

Dove trovi ispirazione per i tuoi contenuti? 

Vorrei saperlo anch’io! È una domanda che mi fanno tutti in ogni intervista e che mi pongo anch’io. Ovviamente la curiosità fa da padrona così come essere una persona molto nostalgica e legata a dei ricordi. È come se facessi del passato una specie di casa fatta di mattoni, ogni tanto nella mia memoria ne affiora uno e lo estraggo, lo leggo e da lì costruisco una storia. Ogni tanto poi mi capita di camminare per strada e ho un momento di ispirazione improvvisa. Questo mi accade soprattutto quando nuoto a dire il vero: ad un tratto mi viene in mente qualcosa, come un flash, e da lì cerco di fare delle associazioni. È un po’ difficile da spiegare, però è un processo che purtroppo non riesco a spiegare nemmeno io! 

E’ possibile però che qualche volta vi sia stato comunque un blocco artistico. E in quel caso cosa fai? Segui un qualche “rituale” oppure lasci semplicemente che l’ispirazione torni da sola?

In realtà non ho mai avuto blocchi artistici perché ho sempre moltissime idee. Talmente tante che ho la necessità di placarle! Sicuramente però se devo cercare un momento preciso in cui ho necessità, magari per un lavoro, di avere un’idea nuova vado in piscina a nuotare. È un momento dove nessuno mi può disturbare, dove la mia testa viene massaggiata dall’acqua.

Visto che nell’intervista abbiamo tirato fuori questo tema, parliamo di sport. Sei un’amante delle moto del surf e nelle tue stories ogni giorno pubblichi una storia con l’hastag #30minutidisportaldì. Quanto pensi che lo sport possa influire positivamente sul tuo flusso creativo? 

Per me questo è un messaggio importante. Faccio tutti i giorni trenta minuti  di sport per mantenermi in forma dal momento che secondo me testa e corpo sono indissolubilmente legati. Trenta minuti di sport al giorno è un modo per dire alle persone “abbiate cura di voi, basta poco”. Ormai sui social vediamo questi corpi perfetti ed irreali di persone che sembrano passare tutta la giornata in palestra perché “fa figo”. Questo fa scattare in noi un meccanismo di senso di colpa, dal momento che forse noi non facciamo così tanta attività fisica. È un modo anche per andare contro questi meccanismi psicologici sbagliati. Grazie a queste stories mi arrivano spesso messaggi di persone che mi dicono che hanno incominciato a fare sport perché hanno capito che basta poco. Lo trovo molto piacevole.

C’è anche da dire un altro aspetto di me: odio esagerare. In tutto. Nel cibo, nello sport e anche nella velocità. In moto non supero i 60-70 km/h. Sono molto equilibrata. 

Credo inoltre fermamente che lo sport influisca positivamente sul flusso creativo. Per esempio ora che posso fare un po’ meno sport per un problemino al piede sono un pochino più debole e questo influisce sulla mia creatività. Le migliori idee vengono in movimento sia fisico che mentale. La ginnastica di #30minutidisportaldì vale infatti anche per la mente. Ginnastica è anche leggere, guardare un film o comunque dedicarsi a un’attività che non sia solo passare del tempo al telefono.

Hai da poco concluso un viaggio in Marocco durante il quale sei stata il più schietta possibile sia per quanto riguarda ciò che è stato positivo e ciò che è stato negativo. Nel mondo dei social è sempre più difficile esprimere opinioni negative o contrastanti. Ci puoi dire in questa intervista se hai mai avuto problemi a seguito di un tuo pensiero non troppo “politically correct”? Se sì, come ti sei comportata?

Assolutamente sì, ho avuto diversi problemi. Nel caso del Marocco ho detto delle cose forti. In realtà ho fatto solo una cronaca. Purtroppo tutti vogliono solo vedere solo i lati positivi  come i 5 stelle e le attrazioni di Marrakesh. Nessuno vuole invece vedere davvero la realtà oppure anche si, ma patinata. Sono stata attaccata e accusata di razzismo. Io sono tutt’altro che razzista e mi sembra stupido anche solo parlarne per quanto mi riguarda. Nonostante tutti ciò mi abbia ferita, ho continuato per la mia strada. Sono una persona che pensa e ripensa su quanto accade e le viene detto, e piango anche quando mi attaccano. Alla fine però giungo sempre alla stessa conclusione: essere autentici non paga al 100%. Soprattutto dal punto di vista economico dal momento che le aziende forse preferirebbero contenuti e persone meno schietti.

Io però sono fatta così. Mi sento in primo luogo una grossa responsabilità e in secondo luogo credo che influencers e content creators debbano sia fare marchette ma soprattutto debbano credere davvero in queste. La mia missione personale è infatti essere credibile e riconoscibile. In parole povere? Non mi importa nulla di quello che pensano. Vado avanti nonostante tutti i problemi che può portare il mio essere schietta. So perfettamente cosa potrei e dovrei fare per guadagnare e crescere di più ma preferisco non farlo. Non so se a lungo termine questo mi pagherà, ma nel breve mi fa sentire meglio.

In questa intervista hai appena detto che tieni all’essere riconoscibile anche per quanto riguarda i tuoi contenuti. Osservando il tuo feed di instagram si nota il filo conduttore del vintage. Perché ti piace così tanto il vintage? In cosa senti questo stile e questo mondo vicino? 

Fino a quest’anno c’è stato il trend del vintage a cui tutti si sono un po’ ispirati in realtà. Io sono nata e ho vissuto fino ai diciotto anni ad Arezzo, dove si tiene la più antica fiera antiquaria d’Italia. Una domenica al mese andavo sempre in questi mercatini a cercare oggetti da comprare. Inoltre sono cresciuta con una nonna fantastica che come hobby, mentre il marito lavorava, andava a fare shopping. Io indossavo di nascosto i suoi vestiti perché ovviamente lei non voleva. Mi chiudevo persino dentro gli armadi!

Forse è stata questa unione tra la “trasgressione” per quanto riguarda i vestiti di nonna, che comunque non sempre erano nuovi, il contesto in cui sono cresciuta  e l’altra mia nonna, completamente diversa dalla prima, che viveva in campagna a portarmi ad amare il vintage da più grande. Infatti negli anni che ho trascorso a Firenze questo lato di me era rimasto come assopito nonostante io continuassi a frequentare i mercatini. 

Che poi ora che ci penso mia nonna, la prima di cui parlavo, era un bel tipino! Tutti mi dicono che ho preso da lei alcuni lati del mio carattere.

Le tue foto trasmettono un’atmosfera rarefatta ma colorata e si intuisce anche nell’intervista di ora come per te il passato sia importante ma sempre guardando il futuro. Che cosa porteresti perciò con te dal passato (anche lontano, anche non vissuto) nel tuo futuro? E cosa non?

É vero, mi ispiro al passato ma con uno sguardo al futuro. Aggiungo per esempio la tecnologia. Tutte le immagini di cartoline, i vecchi poster che rifaccio contengono, per esempio, frasi ironiche che appartengono ai nostri tempi. Questo vale anche per le immagini di Rimini, la mia città del cuore. 

Dal passato mi porterei mio nonno Pino che non ho mai conosciuto. Tutti mi dicono che era uguale a me. Lui stava perennemente nel suo mondo senza ascoltare nessuno, e questo capita anche a me. Spesso quando le persone mi parlano io sto già pensando ad altro. Inoltre stava tutto il giorno curvo sulla sua macchina da scrivere, e io sto tutto il giorno curva sulla tastiera del pc o sul telefono.  Io scrivo davvero tutto il giorno, non potrei farne a meno. Inoltre era un uomo burbero ma molto tenero con le persone che amava, un po’ come me.

Cosa invece non mi porterei dal passato? Di primo impatto ti direi la mia esperienza post liceale durante la quale sono stata vittima di bullismo, ed essere bullizzati a vent’anni non è semplice. Purtroppo ho anche sofferto di anoressia. Non me lo porterei, ma in un certo senso me lo porto comunque perché grazie a queste persone cattive ho capito come non voglio essere e come non sono. Crescendo ho capito perciò che non voglio più essere così ne fisicamente  ne mentalmente. In realtà a quanto pare dal passato mi porterei davvero tutto. 

 

 

Rebecca Bertolasi