Intervista a Giorgio Canali: “Faccio dischi solo per stare sul palco e avere il contatto diretto con la gente”

Non ha bisogno di presentazioni, Giorgio Canali. Anima dei CSI, CCCP, PRG, Canali è uno degli ultimi romantici maledetti della scena musicale italiana.

Il 5 ottobre 2018 per La Tempesta / distr. Master Music. è uscito “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”, ottavo album di inediti della discografia ufficiale di Giorgio Canali e settimo con Rossofuoco, che arriva dopo sette anni da “Rojo”.

Il disco non assomiglia a nessuno dei precedenti anche se immediatamente riconoscibile per il modo in cui parla di temi personali ed intimi, critica sociale e visione e per quel misto di timidezza, arroganza e dolcezza che è solo sua.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Giorgio Canali tra una data e l’altra del tour ed è stato un onore parlarci e scoprire sfumature e dettagli del suo album.

“Undici canzoni di merda con la pioggia dentro” è il tuo ottavo album ed il settimo con i Rossofuoco. Arriva sette anni dopo “Rojo”. Come mai è passato tutto questo tempo e cosa ha fatto Giorgio Canali nel frattempo?

Ho vissuto e sono invecchiato. È passato tutto questo tempo semplicemente perché non avevo niente da dire. Una cosa ogni tanto fisiologica: non si ha un cazzo da dire e quindi succede che uno sta zitto. Piuttosto che dire stronzate, è meglio stare zitti. Seriamente, credevo ed ero convinto di non riuscire mai più a scrivere qualcosa di altrettanto bello e di altrettanto interessante di quello che avevo fatto fino a quel momento lì. Sai, erano sei album di inediti – secondo me uno più bello dell’altro – e alla fine, siccome mi autostimo molto (n.d.r. ridiamo insieme), ho pensato che fosse veramente difficile superarsi. E per sette anni è stato impossibile farlo. Poi, improvvisamente, a febbraio di quest’anno mi son trovato in una città nuova, in una casa nuova, una persona nuova con cui sto – e sai – son quegli stimoli strani che ti danno quello che i francesi chiamano declique che è un piccolo momento che fa partir le cose. Nel giro di pochissimo c’erano undici canzoni di merda – va bene – con la pioggia dentro – va bene – però sono le undici canzoni migliori che ho/che abbiamo scritto in tutto il tempo di Giorgio Canali e Rossofuoco. Quindi, ben contento di esser riuscito a superare le cose che avevamo fatto fino a quel momento.

Dopo 7 anni, sarai di sicuro cambiato: chi è Giorgio Canali di “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”?

Un sessantenne che è arrivato finalmente alla terza età con molte meno pare di prima e la consapevolezza di essere maturato abbastanza bene col fatto che il mondo non cambia e che, se anche io non cambio, in fondo non è poi così grave.

“Undici canzoni di merda con la pioggia dentro”: perché la scelta di questo titolo?

È una citazione da un ultimo verso di “Orfani nei cieli”, canzone presente in “Rojo” che diceva ad un certo punto “come se avessimo bisogno di un’altra canzone di merda con la pioggia dentro”. Mi piaceva quel verso e mi piaceva l’idea di scrivere undici canzoni di merda e di metterci la pioggia dentro. È stata una specie di scelta forzata dall’inizio. Esisteva il titolo prima dell’album: nella mia testa l’album si doveva chiamare così. Il numero delle canzoni è venuto solo dopo e bastavano e avanzavano. Sono undici canzoni in cui ci ho messo dentro la pioggia a forza, col martello proprio perché ci stava bene. Come ho fatto in “Rossofuoco” del 2012 dove in ogni canzone c’è del fuoco. Qui ho messo la pioggia dentro. Del resto acqua e fuoco sono elementi basi della Terra, quindi si va avanti così.

 “Fuochi supplementari” è il singolo estratto dal disco nel quale canti: “è il sole e piove sui miei pensieri/ forse un mondo migliore c’è/ma di sicuro è da qualche altra parte/vivere felici è facile /basta non essere me”. Qual è il mondo migliore per te?

Eeeh boh. Un mondo fatto di me sarebbero cazzi. Non so se hai mai visto “Essere John Malkovich” il film. Mi immagino una scena lì. Se tutti fossero come me sarebbe un mondo di merda, veramente di merda. Oh mamma mia, il peggiore degli incubi! (n.d.r. ride) La famosa società distopica sarebbe quella!

“Gente che passa la vita a dire sì/ ad obbedire poi procrea solamente/per avere qualcuno da comandare/ Gente con 4g e un’ignoranza da medioevo” intona in “Undici”. Come si può salvare questo mondo allora? Come possiamo convivere con questa gente?

Ma perché dobbiamo salvarlo? Va benissimo così, altrimenti non avrei più nulla da scrivere. Altri sette anni per un album veramente no. Finchè il mondo va così di merda, qualcosa da scrivere ce l’ho o finchè la mia vita non è perfetta o idilliaca, motivi per scrivere ne ho. In fondo ci campo con questi motivi quindi perché salvarsi in questo mondo. Va bene così: degrado totale. Conviverci? Sì, basta non uscire armati di mitragliatore e sparare che poi si va in galera. Spesso, facendo finta che non esistano, però, non posso far finta che non vadano a votare. Ci vanno a votare e sono cazzi per tutti. D’altronde io non ci vado a votare, perciò basta. Non vado a votare da sempre. È molto meno seria la mia visione politica delle cose di quelle che si possano trovare nei manuali di sopravvivenza.

In “Messaggi a nessuno” parli del contrario dell’amore felice. È una canzone intrisa di malinconia e tristezza. Si può parlare di Amore senza malinconia?

Ma non lo so. Sì, probabilmente nella collezione Harmony è piena di amore senza malinconia, ma non ho mai letto un libro. Ma è difficile, sai. La felicittà/infelicità è comunque uno status mentale che ti porta a stare bene bene e male male. Funziona in quella maniera lì. Solo gli stupidi sono sempre felici. È difficile un amore idilliaco: credo che esistano solo nei rotocalchi dei saloni da parrucchiera.

In “Emilia parallela” è diretto e schietto. “Non tace mai, è un’invasione di cicale che ripetono a memoria ogni cagata più banale/ non tace mai, è un ritmo industriale e questa gente parla parla parla anche se ha perso le parole”. La pensi ancora così o c’è possibilità di redenzione?

La penso ancora così, sì. “Emilia Parallela” è un ritratto di un’Emilia che non cambia mai, nonostante cambino i colori, le facce e i soggetti che la dominano. È sempre quella di quando ero piccolo. Un punto felice degli insdustrilità di questo paese, un punto dove ci sono padroni schiavi e dove gli schiavi sono felici di essere tali. È un ritratto di questa regione, anzi di una macroregione perché mi riferisco pure a Veneto, Lombardia, Piemonte e parte della Toscana. Si potrebbe parlare di Padania Parallela. Quale redenzione? No. Si redime se stesso, non tutti gli altri altrimenti si chiama Gesù Cristo. È già difficile sostenere l’esistenza di una figura come Gesù Cristo. E poi redimersi non è sempre divertente come dannarsi. Dannarsi è molto meglio secondo me.

Sei in tour da ottobre: quant’è importante per te il rapporto con il pubblico?

Sono stato in studio a far dischi solo ed esclusivamente per poter fare concerti perché stare in studio è una pena infinita, fare dischi è una rottura di coglioni infinita. Io vorrei che ogni volta che scrivo una canzone ci fosse un’interfaccia dal mio telefonino fino all’MP3, ma non è possibile. C’è da selezionarle, arrangiarle. Lo faccio esclusivamente per poter stare sul palco e avere il contatto diretto con la gente che sta lì. Stare sul palco è il motivo che mi mantiene in vita e che mi garantisce di non diventare scemo completamente anche se un po’ sono abbastanza avanti.

Sandy Sciuto