Italia, Canada, Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Giappone: sono queste la nazioni che si sono riunite a Taormina per un G7, terminato lo scorso giovedì, sul delicatissimo tema delle pari opportunità. Sette Paesi per otto impegni diretti a sviluppare “un ambiente economico sensibile alla dimensione di genere” e compiere “quei cambiamenti nella mentalità, nelle politiche e nella cultura, che sono necessari per colmare i divari di genere esistenti, eliminare tutte le forme di violenza nei confronti delle donne e dei bambini e raggiungere finalmente la parità di genere nei nostri Paesi“. Recita così il documento finale approvato dai rappresentati delle otto nazioni che impegna i governi ad avviare un percorso concreto contro le discriminazioni subite dalle donne, sul lavoro, a casa, nella quotidianità.
Una prima volta simbolica per i grandi della Terra, una prima ministeriale voluta dall’Italia nell’ambito della presidenza del semestre italiano. A presiederla, la sottosegretaria Maria Elena Boschi, con delega alle pari opportunità, che ha iniziato i lavori con un’amara constatazione condivisa da tutti i presenti: “Nessuno dei nostri Paesi ha ancora raggiunto la parità di genere de facto” e i numeri, in questo senso, parlano chiaro.
In Italia, il tasso di occupazione femminile è del 48,9%, circa 20 punti percentuali in meno rispetto a quello degli uomini, ma almeno secondo gli ultimi dati della Commissione europea la differenza salariale si aggira intorno al 5,5% contro il 16,3% della media Ue, merito della forte presenza femminile nel settore pubblico dove il gap è meno elevato. La quota di donne imprenditrici è del 16%. La presenza femminile nei board delle società quotate, grazie alla legge Golfo-Mosca, è passata dal 6% del 2010 al 33,6% del 2017; quella nelle controllate della Pubblica amministrazione è salita dal 17,5% del 2014 al 30,9% del 2017. Ma il vero tasto dolente per le italiane è la quota di lavoro quotidiano non pagato, che raggiunge il 61,5% (contro il 22,9% degli uomini): uno dei fattori, non l’unico, che ci hanno fatto sprofondare all’82esimo posto su 144 Paesi analizzati dal World Economic Forum nel rapporto Global Gender Gap Index 2017.
E’ in questo quadro che nasce il primo accordo che prevede più donne e più ai vertici. Si prevedono, infatti, azioni per la crescita dell’occupazione femminile (ridurre entro il 2025 il divario del 25%), la presenza in politica e sui luoghi decisionali. La violenza sulle donne occupa nel documento uno spazio strategico. Tutti i rappresentanti condividono e sostengono la campagna #Metoo, ma ancora molto lavoro c’è da fare. I Paesi concordano sull’esigenza di adottare piani o strategie nazionali ad hoc, sostenuti da risorse umane e finanziarie (40 milioni di euro la somma destinata al piano italiano varato nel 2015; è in dirittura d’arrivo il piano 2017-2020). Un ruolo cruciale nella prevenzione è riconosciuto alla scuola: entro il 2022 vanno attivati interventi per docenti e studenti di ogni ordine e grado. Ma una formazione specifica è raccomandata anche per forze dell’ordine, magistrati, operatori sociali e professionali.
“È un progetto ambizioso, molto serio e trasversale”, ha sottolineato la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, che ha presieduto il tavolo. “Il Governo è soddisfatto. Ora passiamo il testimone al Canada, che avrà l’onere e l’onore di presiedere i G7 del prossimo anno“. Nonostante l’impegno e la lodevole iniziativa, è proprio adesso che il gioco si fa duro. Ora più che mai, infatti, risulta necessario passare dalle parole ai fatti ed è proprio questa la sfida più difficile.