Crescere in Africa: un’esperienza che rende felici

«Qui i bambini crescono con i valori giusti, imparano cosa vuole dire condividere le risorse scarse senza sprecare mai nemmeno un chicco di riso, capiscono cos’è davvero la povertà. Guardando le stelle, semplicemente sono felici». Questa è l’opinione di papà Alessandro. Lui e la moglie hanno deciso di abbandonare la loro vita agiata e le loro carriere, per andare a vivere in una slum in Africa, dove le comodità a cui erano abituati sono inesistenti. Così i loro figli Michele (9 anni), Luca (7 anni) e Maddalena (5 anni), cresceranno condividendo quelle poche cose che loro possiedono in più rispetto agli altri bambini del villaggio in cui vivono. «Siamo gli unici ad avere le scarpe, per giocare a calcio facciamo a turno con gli altri della baraccopoli. Tanto più o meno abbiamo tutti lo stesso numero…».

Con questa affermazione, diventa palese come i valori della condivisione, della convivenza e cooperazione, siano alla base non solo del modello educativo che i due genitori hanno deciso di seguire per far crescere i lori bimbi, ma anche alla base dello stile di vita del comunità stessa. Responsabile dei progetti in Africa per la Fondazione Avsi, Alessandro Galimberti si occupa di coordinare le squadre locali per dar vita a nuove scuole, formare nuovi insegnanti e sostituire le stufe a carbone con impianti più efficienti e più ecologici.

Questo è il suo nuovo compito, dopo aver lasciato il suo lavoro di alto dirigente presso il noto marchio Ariston. Dopo aver conosciuto sua moglie nelle Marche, insieme hanno deciso di rivoluzionare le proprie vite e di formare la loro famiglia a migliaia di chilometri di distanza sia geografica che culturale, da ciò che erano soliti dare per scontato come acqua corrente, luce ed elettricità. La prima meta è stata la Sierra Leone, dove è nato il primo figlio, Michele. La quotidianità prevedeva una “passeggiata” di quattordici chilometri al giorno in mezzo alla foresta per arrivare al lavoro con il bimbo nato da poco nel marsupio.

Le incertezze sulla scelta non sono mancate, ma la forza di volontà di questa coppia è sempre stata forte: «Laggiù un bambino su quattro non arrivava ai cinque anni di vita, ci siamo chiesti tante volte se non fosse una forzatura, se non stessimo un po’ esagerando. Ma la risposta che ci davamo è stata sempre: no». Non volendo fare i ricchi in mezzo a chi lotta per la sopravvivenza ogni giorno, vivevano in comunità insieme agli africani. Oggi vivono in Mozambico dove: «Anche la vita nella baraccopoli dove stiamo per molte ore al giorno sta migliorando».

Una scelta sicuramente contro corrente, specialmente in un mondo che ha visto svilupparsi problemi educativi sfociati nella figura del baby tiranno che vuole e pretende tutto. Invece, in questo caso, assistiamo allo sviluppo di un modello basato sul voler far apprezzare le piccole cose “senza mai sprecare neanche un chicco di riso“. Papà Alessandro ha inoltre aggiunto: «Non dico che essere poveri è meglio, dico però che vivere senza niente più di quello che serve, in qualche modo facilita il compito dei genitori».

Nausicaa Borsetti