Consulta: via libera al cognome della madre per i figli

Il cognome, si sa, è da sempre considerato uno dei segni identificativi della persona, come del resto vale anche per il nome. Mentre per quest’ultimo i nostri genitori hanno avuto a disposizione un’ampia scelta, da quelli più diffusi o a quelli più particolari,  da quelli legati ad un personaggio storico o dello spettacolo a quelli più inimmaginabili contenuti nel famosissimo “Libro dei nomi”, per il cognome, pare propria sia tutta un’altra storia. In Italia infatti, ai sensi del codice civile, i figli nati da coppie legalmente sposate prendono automaticamente il cognome del padre. Insomma, qui la fantasia non serve affatto.

Per anni, per tradizione, per consuetudine le cose sono andate avanti in questo modo, tagliando completamente fuori il ceppo familiare materno. E’ anche vero però che la legge ammette e riconosce la possibilità della modifica o dell’aggiunta di un altro cognome, in questo caso quello materno, al proprio ma si tratta pur di provvedimenti che rivestono carattere prevalentemente eccezionale, ammessi solo in presenza di situazioni rilevanti, supportati da adeguata documentazione e significative ragione, previa richiesta rivolta al Prefetto che, in base alla sua discrezionalità, deciderà se optare o meno per la concessione. Insomma un procedimento estremamente dettagliato e complicato con annessi tempi, a volte anche molto lunghi, confermato soprattutto dalle percentuali altrettanto basse di coppie che sono riuscite ad espugnare la vittoria.

Così tra parziale rassegnazione, insoddisfazione e attesa viene in soccorso la decisione della Corte Costituzionale che, qualche giorno fa, è intervenuta sulla faccenda dichiarando incostituzionale l’automatica attribuzione del cognome paterno prevista dall’attuale sistema normativo se i genitori intendono fare una scelta diversa. La questione, precedentemente sollevata dalla Corte d’appello di Genova, è stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale da una coppia italo-brasiliana, desiderosi di  aggiungere il doppio cognome al loro bambino. La necessità in questo caso appare fondamentale, dal momento che il bambino, avente anche doppia cittadinanza, viene identificato in modo diverso nei due Stati.

Tuttavia, non è la prima volta che la Corte si occupa di un caso di questo tipo: infatti, già nel 2006 una coppia milanese aveva sottoposto le stesse richieste. In quell’occasione però  i giudici della Consulta avevano espresso un altro parere, affermando che, sebbene l’assegnazione automatica del cognome paterno rappresentasse un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, sarebbe spettato al Parlamento il compito di varare una legge ad hoc. A dar man forte alla Consulta intervenne anche la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che nel 2014 sollecitò l’intervento del legislatore sulla questione, sottolineando il carattere a dir poco discriminatorio della disposizione esistente.

Cosa bisogna quindi aspettarsi in futuro? Una cosa è certa: quel rigidismo patriarcale, che ha caratterizzato la famiglia italiana forse per lungo tempo, dimostra, fortunatamente, di non appartenere più ai tempi correnti. Aspettiamo che anche il Parlamento, finalmente, si lasci trasportare dal vento di cambiamento che soffia sull’Italia intera.

Erminia Lorito