Anna Magnani, la donna che affondava gli artigli nel cuore

Dovevano incontrarsi a Broadway, ma lei col suo destino nascosto dietro al nomignolo di Nannarella la fa aspettare, deve ancora guardarsi un po’ indietro e ritoccare il suo profilo artistico. A metà di quegli sfavillanti anni cinquanta, il tempo è più che mai un postino che suona sempre due volte e la seconda volta Anna Magnani apre la sua porta per conoscere finalmente Serafina Delle Rose, la protagonista di una pièce teatrale di Tennessee Williams scritta apposta per lei, che nell’occasione diventa un film: “La rosa tatuata”.

Eccola quella donna dal volto, a prima vista quasi spigoloso, scavato dalla memoria di pietra, su cui si scompongono i fluenti capelli corvini, gli occhi neri profondi, ardenti, e cerchiati di scuro, che illuminano un ghigno ora volitivo ora malinconico. Guizzi vivaci, lampi di solarità, silenzi pesanti, posture rassegnate e risate fragorose sottolineate dalla voce rugosa: Anna si riflette nei tormenti di Serafina  per raccontare lo specchio della vita di una emigrante italiana del profondo  sud, sullo sfondo di una pigra provincia americana perbenista, tentata dall’esuberante carnalità di Burt Lancaster inguainato in una frusciante camicia di seta aperta il giusto dove troneggia il fiorito tatuaggio. E sul bianco e nero di questa storia, più che mai il colore del sogno, Anna Magnani corona quello più bello: il premio Oscar come miglior attrice protagonista, in assoluto prima italiana vincitrice agli Accademy Awards.

E’ il 1956 e approdata nella città degli angeli, Anna ricorda la tanta acqua del Tevere vista passare sotto i ponti. Padre sconosciuto, madre anaffettiva e perlopiù arrivista, divenne invece prediletta figlia acquisita di una Roma, dove nacque nel 1908, illanguidita dalla pregnante atmosfera palazzinara del potere, già stuzzicata da un tenue venticello di modernità artistica che decorava un quartiere dopo l’altro. Abbandonate le adolescenziali velleità musicali, nel 1927 cominciò a muovere i primi passi artistici nel ventre molle di questa città squillante, pretenziosa e fatalista, iscrivendosi con Paolo Stoppa alla scuola di arte drammatica: preludio di una compagnia formata assieme anni più tardi. Passò alla rivista con i fratelli De Rege e dopo una fattiva e fortunata esperienza con Totò, si cimentò col grande schermo. Prima apparve in un ruolo marginale di”Scampolo” e poi il debutto ufficiale con “La cieca di Sorrento”del 1934. Nel frattempo aveva sposato, in cerca di quiete, il regista Guido Alessandrini con cui due anni dopo girerà”Cavalleria”. Era il periodo della conquista dell’Impero e in quel momento storico il cinema doveva anche rassicurare attraverso un linguaggio secco e retorico che non era nelle corde della Magnani così semplicemente attaccata alla sua essenza popolare.

A risollevarla da ruoli secondari poiché convinto delle sue potenziali qualità artistiche, ci avrebbe pensato nel 1941 Vittorio De Sica che come regista la impose protagonista di Teresa Venerdì. Il susseguente ruolo della ruspante fruttivendola di “Campo de’ fiori”, la conclamò Nannarella attrice romana per eccellenza e lo sfondo della popolare piazza ne rafforzò l’appartenenza viscerale alle proprie radici.

Nonostante la fissità dell’ambiente nella sua vita privata qualcosa stava per cambiare. Anzi qualcosa era già cambiato: paradossalmente con la nascita di un figlio, Anna troncò la tempestosa relazione col padre, il fosco collega Massimo Serato e si mise l’animo in pace impegnandosi viepiù nel lavoro. I successivi eventi cinematografici introdurranno i temi del neorealismo, del quale diventerà la più grande delle interpreti.

In “Roma città aperta”del 1945, svetta in tutta la sua tragica umanità raffigurando la popolana Pina che muore mitragliata nell’inseguimento al camion che le porta via il marito: la sua caduta sul ruvido selciato è il manifesto ideale di un tipo di cinema preso dalla realtà. E diventò l’incancellabile simbolo di lotta per la libertà che ridava speranza a una città rugginosa e leziosa reduce dal rovinoso travaglio del dopoguerra.

A parte l’eccellente identificazione nella prorompente “L’onorevole Angelina”, la Magnani ritornò poi a farsi dirigere in due indicativi episodi del film”L’amore”, dal regista di quel film spartiacque del cinema moderno: Roberto Rossellini di cui nel frattempo s’innamorò perdutamente.

Legata al doppio filo di donna e attrice che non si era mai celata sotto mentite spoglie, poteva una siffatta creatura inquieta e sfortunata trovare un pizzico di felicità e mantenerla? Naturalmente no! Vide la sua fine sul viso del bel Roberto invaghitosi perdutamente della meravigliosa Ingrid Bergman, il loro amore disperdersi nel vento poiché a quest’ultima fu offerta la parte in un primo tempo pensata apposta per lei. Il cielo non era più con loro e plumbeo sovrastava Vulcano dove durante le pause sul set dell’omonimo film che decise di girare lo stesso in alternativa. Anna furente e scarmigliata a fissare sempre in direzione di quel punto nero sperduto nell’intenso azzurro del mare delle Eolie: lì i due amanti con mansioni diverse erano impegnati nelle riprese di”Stromboli terra di Dio”. In quegli anni pruriginosi questo triangolo cinematografico sentimentale tra rancori privati, vendette e boicottaggi vari sollevò tanto scalpore.

Attrice di razza riuscì lo stesso ad andare oltre a quello che era: si superò nell’interpretazione di una madre frustrata che riversa le delusioni di una vita mediocre spendendosi per il successo della figlioletta in ”Bellissima”, regia del fine narratore Luchino Visconti. Così in quel lontano 1951, Cinecittà diventò un altro incantevole scenario di una città in pieno fermento di cui Anna era l’emblema. Ancora più libera e selvaggia ma anche donna fragile dal sangue ribollente e dai nervi di cristallo in cerca perenne d’amore a soddisfare almeno una delle tante donne che aveva dentro, come una vestale si consacrò solo al cinema e la sua immagine cominciò ad avere ampio respiro internazionale.L’anno successivo con la regia di Jean Renoir, impersonerà col consueto slancio una scintillante commediante girovaga in: ”La carrozza d’oro”.

Il nastro dei ricordi si riavvolge, siamo ritornati al 1955 quando varca l’oceano richiesta a Hollywood. Una trasferta che si rivela in un proprio e vero trionfo, oltre al già citato “La rosa tatuata”, la Magnani gira, confermando appieno con naturalezza mediterranea la sua bravura, altri due pregevoli film “Pelle di serpente”con Marlon Brando e “Selvaggio è il vento” assieme ad Anthony Quinn e Anthony Franciosa e passionale com’era pare che abbia tentato d’artigliare brandelli di cuore da ambedue i giovani, in specie il secondo che qualche piaga le aprì in mezzo al petto. Si deve però accontentare delle tante soddisfazioni professionali, tant’è che la spigolosa Bette Davis che non era certo una che si sprecasse molto in complimenti, per queste sue incredibili perfomance la definisce: The Magnificent. Appagata, torna in Italia ma Roma non é più la stessa madre acqua e sapone di una volta: ha smarrito la semplicità dei suoi tratti imbellettandosi con i cangianti colori del progresso tout court anni 60. Appena un film al fianco di Totò ”Risate di gioia”, prima d’impattare in Pier Paolo Pasolini che la dirige in ”Mamma Roma” nel 1962. Il loro conflittuale rapporto: troppo simili e quindi molto diversi è fonte di grande delusione per Anna che si rifugia ammirevole protagonista nel teatro. Ancora qualche bagliore cinematografico con qualche rinomato regista: Claude Autant-Llara, Nanni Loy e Stanley Kramer, un’ottima collaborazione televisiva con Alfredo Giannetti  in quattro storie di notevole spessore e poi nel 1972, Federico Fellini la vuole nel cast di “Roma”, ma lei accetta solo un cameo: sfugge, non si fida. Non sa fingere perché non lo vuole e il cinema non ha più bisogno di quell’antologia di personaggi catapultati dalla vita allo schermo senza perdere una virgola del proprio modo d’essere. Da vera donna, ha rappresentato il coraggio di tutte: ognuna per se ma sempre sostenute da un’adamantina integrità. Nel silenzio di una crudele malattia vissuta con dignitoso dolore si chiude il sipario della sua vita nel settembre dell’anno dopo.

Oggi a sessanta anni dalla vittoria del premio più ambito per qualsiasi attore, Anna Magnani sopravvive, vivida e indelebile poiché l’unità di misura della sua esistenza non è stato il tempo , bensì il valore specifico. Il ricordo di una donna antica e moderna allo stesso tempo nella sua traboccante personalità non si può cancellare: è accaduto appena ieri.

Vincenzo Filippo Bumbica