Pechino e Tibet, l’ennesimo atto di forza del governo cinese

E’ iniziata appena una settimana fa la demolizione del più grande centro buddista di Larung operata del governo cinese, in anticipo di mesi sull’ordinanza emanata delle stesse autorità lo scorso Giugno.

Larung Gar è un insediamento a circa 4mila metri d’altezza nella Contea cinese di Sertar dove non esistono televisioni e cellulari, e gli abitanti lavorano e meditano tutto il giorno da decenni, in una valle per lungo tempo rimasta incontaminata. Il rischio, secondo quanto si legge in una nota trasmesse di Pechino, riguarderebbe presunti contatti con le forze separatiste che tanto hanno fatto con proteste e manifestazioni per garantire l’indipendenza del Tibet. Altre voci interne al governo cinese hanno parlato di “garantire la sicurezza in un’area sovrappopolata” ma la discordanza tra le informazioni fornite fa pensare che lo scopo dietro lo smantellamento anticipato sia ben altro.

Il centro ospita circa 10mila tra cinesi e tibetani, monaci, ma anche uomini, donne e bambini che lì trovano rifugio dalla condizione miserevole riservata a milioni di cinesi sottopagati e sfruttati nelle grandi aziende, specie da quando la Cina si trova a dover competere con il blocco occidentale. Ed è proprio sui bambini che fa leva il governo cinese, che oltre alla chiusura ed alla demolizione dei centri (quello di Larung è solo il primo di una lunga lista) ha disposto il divieto di istruire i bambini sotto i dodici anni poiché potrebbero essere indottrinati alla ribellione verso Pechino.

Per il momento l’unico dato certo riguarda la distruzione di un pezzo di storia e una ulteriore minaccia nei confronti dei buddisti, da mezzo secolo osteggiati perché contrari alle misure adottate dal regime comunista.

Simone Dei Pieri