Operatrice socio sanitaria in un Rsa in Liguria dopo essere guarita dal coronavirus viene buttata fuori dal bar dove prendeva il caffè da 10 anni

Il coronavirus si è diffuso velocemente, portando una scia di dolore e morte. Adesso,  sembra che il nostro paese finalmente possa uscirne fuori, tuttavia ci sono molte ombre che non vanno via, come se un oscurità sia entrata nel cuore di molti di noi. Diffidenza che porta a manifestazioni di odio e rancore nei confronti di chi si è ammalato e nonostante adesso sia guarito, con tamponi negativi a garanzia, non viene accettato nel suo ritorno alla vita normale. Essere buttati fuori dal bar dove per tanti anni si è consumata una rapida colazione ed una tazza di caffè, essere additati come untori, come persone che possono portare danno a chi si avvicina ed anche a chi li accoglie, e quanto di peggio possa accadere. Lo spirito umanitario sembra si sia dissolto. ognuno guarda il prossimo con paura, meglio evitare sembra il motto che sostituisce “andrà tutto bene”. Se le cose continueranno così, non saranno gli assembramenti a preoccuparci o la mancanza di mascherine e guanti, ma l’isolamento di ognuno in un mondo confinato nell’egoismo. Una giovane infermiera di Andora, in Liguria,  Antonella Luciano Marino, operatrice socio sanitaria in una Rsa di Andora,  per lei,il coronavirus è diventato un marchio indelebile sul suo corpo. Il suo ritorno alla normalità si è rivelato un’esperienza forse ancor peggiore del virus, almeno nell’anima. Come raccontato nella sua testimonianza sulla Stampa, è stata rifiutata da un bar. «Sono stata cacciata in malo modo e umiliata davanti a tutti i presenti», ha dichiarato la donna. «Dopo 75 giorni trascorsi chiusa in casa, osservando ogni prescrizione in modo responsabile, il ritorno alla normalità è stato veramente triste», ha aggiunto denunciando il fatto. E poco importa che i test l’abbiano finalmente confermata guarita. Per molte persone Antonella è una persona infetta, un rischio per la comunità. Un pensiero d’odio nei suoi confronti che stride con la solidarietà che il nostro Paese dovrebbe riporre per chi ha sofferto, ancora di più per chi come lei si è ritrovata in prima linea, in quelle Rsa che hanno rappresentato il luogo simbolo della fragilità delle vittime da Covid.
«La fobia del Covid-19 non ha limiti», ha scritto su Facebook. «È una vergogna che persone, oltretutto ammalate nel ambito sanitario vengono trattate così in pubblico – ha aggiunto – Si potrà tornare alla solita vita anche dopo essere guariti oppure dobbiamo essere degli untori a vita? Dopo 10 anni che sono cliente di questo posto mi sarei aspettata un “Come stai?” e non vai via dal mio bar che con questa attività ci devo lavorare. Purtroppo non tutte le persone hanno la sensibilità e l’educazione per capire che dopo una malattia così importante le persone hanno bisogno di accoglienza e non di rifiuto. Perché ci vuole anche il coraggio, ma il coraggio uno non se lo può dare». 
Antonella, come tantissimi italiani come lei, deve essere accolta col sorriso per poter dimenticare la sofferenza. Soprattutto grazie all’aiuto di chi è stato più fortunato di lei. Per un caffé, una pizza o in qualunque altro luogo. 

Alessandra Filippello