Le donne sono più crudeli: metodi e strategie dei serial killer al femminile

La storia è piena di serial killer, ma non vi sono studi sulle donne assassine, considerate tra il 5 e il 10%.

Nello studio della criminologia si pensa che l’emancipazione femminile sia una delle cause che abbiano portato alla nascita di donne killer. Le assassine sono in aumento e sempre più spesso si scoprono nuovi omicidi compiuti dal “gentil sesso”. Il movente più frequente è il fattore economico che evidenzia la “necessità” di una autonomia senza la sottomissione verso una figura maschile. Si sostiene che gli omicidi avvengano per emulazione dell’uomo, diventando con il tempo, sempre più violenti e simili alle uccisione dei colleghi maschi. Nella storia spesso sono donne di potere che avevano a disposizione servitori succubi al loro volere.

Secondo alcuni studi le donne assassine hanno in comune, così come gli uomini, un passato tormentato e fin dall’infanzia mostrano atteggiamenti e azioni violente nei confronti degli animali. Per le donne, lo scatenarsi di episodi di violenza, stupro, abbandono e grosse sofferenze diventano la causa primaria.  Il soggetto è una bambina trascurata o vittima di abusi che ha subito diversi conflitti nella sua infanzia senza esser capace di costruirsi e di utilizzare degli adeguati sistemi di difesa. Spesso queste bambine perdono uno o entrambi i genitori e sono costrette a vivere in un ambiente ostile. Queste frustrazioni, situazioni di stress e crisi di angoscia, unite a un’incapacità cronica a superarli possono condurre l’adolescente a isolarsi totalmente dalla società che percepisce come ostile. In molte di loro si sviluppa una sessualità precoce  e intensa, accompagnata a una personalità aggressiva, violenta e bisognosa di dominare gli altri. Altre si sentono brutte, non desiderate, sovrappeso e questo fa diminuire la loro autostima e aumentare l’odio verso il mondo.

Le motivazioni che spingono una donna ad uccidere sono varie: per denaro e potere, a causa di disordini psicologici come il complesso di Medea (tendenza della madre a desiderare/causare la morte dei figli). Al contrario degli uomini, non uccide per libidine sessuale. I mezzi più usati sono i veleni perché generano sintomi simili a malattie comuni o il soffocamento ad esempio verso i neonati con un cuscino sulla faccia del bambino che viene scambiato per un semplice arresto cardio-respiratorio dovuto a cause naturali, evenienza accettata da tutti i pediatri nel primo periodo di vita del neonato. Nel caso di donne appartenenti alla malavita, camorra o narcotraffico, l’utilizzo delle armi da fuoco diventa ricorrente.

L’uccisione delle donne può essere considerata meno violenta rispetto agli uomini, non vi sono spargimenti di sangue o mutilazione dei corpi, ma i loro metodi sono altrettanto crudi. Agiscono nell’ombra, diventando letali con azioni silenziose, lunghe e lente provocando la sofferenza e l’agonia nelle vittime.

METODI E MOVENTI

L’utilizzo di metodi “silenziosi” per uccidere (come il veleno) porta a ad una morte naturale che  allo stesso tempo, permette al pensiero culturale esistente di negare che dietro alla morte possa esserci una figura femminile, considerando le donne come innocue verso simili atteggiamenti. Il veleno più usato è l’arsenico e i suoi derivati come la stricnina ed il clorato di potassio che portano una morte lunga e silenziose oltre a non lasciare tracce o evidenziare solo elementi di intossicazione. Spesso sono donne le chiamate anche “vedove nere”, che uccidono mariti o sposano uomini ricchi per poi avvelenarli simulando incidenti domestici. Prendono il nome dal ragno, la vedova nera che dopo essersi accoppiata, uccide il maschio.  Le vedove nere solitamente, non infieriscono sui cadaveri con manifestazioni di overkilling, mutilazioni, smembramenti, aggressione sessuale o torture; ma molte hanno confessato di aver provato piacere nel vederli contorcere dal dolore.

La tecnica di attirare le vittime dentro le proprie case/ragnatela è chiamata “tecnica del ragno”. Altre, consumano gli omicidi in case di cura e ospedali. Questo è tipico delle infermiere chiamate anche “Angeli della morte” che vedono nel togliere la vita delle vittime come “atti di misericordia”. Si ritiene che la prima vedova nera della storia sia stata la regina Ji Xia (Cina), che nel 1600 a.C. uccise 3 mariti e un figlio.

Altre killer uccidono per vendetta  o gelosia legata al senso del rifiuto o abbandono.  Ciò che rende particolare la figura delle vendicatrici è la «qualità» della rabbia, un’ostilità profonda e diffusa, al confine con la patologia; sono affascinate da una sorta di ossessiva attrazione per le qualità più oscure della vendetta, e uccidono senza alcun periodo di raffreddamento emozionale fra un delitto e il successivo. L’uccisione per profitto e denaro è uno dei moventi più comuni. L’assassina è molto organizzata e attenta, quindi molto difficile da scoprire e catturare. Possono essere assunte come killer a contratto, per eliminare il coniuge, rivali in affari, familiari con ricche polizze assicurative. Appartengono a questa categoria spesso trafficanti o mafiose.

Le donne solitamente uccidono persone conosciute, familiari (mariti, figli, amici), con cui hanno stretto legami e avuto confidenza. La fiducia acquistata consente loro di agire nell’ombra. Non si spostano e sono solitamente “residenziali” nel commettere reati, probabilmente perché fin dall’antichità la donna era rilegata al ruolo di casa e famiglia. Secondo alcuni studi,  Il 45% sceglie membri della propria famiglia, il 26% amici o conoscenti, il 10% uccide pazienti o persone di cui deve prendersi cura, il 11% uccide totali sconosciuti. L’86%delle serial killer uccide in coppia.

Di seguito, verranno narrate le storie delle assassine più famose e conosciute della storia.

LEONARDA CIANCIULLI – LA SAPONIFICATRICE

Famosa come la “saponificatrice di Correggio” in provincia di Reggio Emilia è diventata nota per aver ucciso 3 donne tra il 1939 – 1940 . Si disfava dei corpi, dissezionandoli e lessandoli, utilizzando il loro sangue nell’impasto dei dolci e biscotti e la carne sciolta nella soda caustica per la realizzazione di saponette. Ebbe una infanzia piena di rifiuti ed abbandoni, sposa un uomo contro il volere della famiglia e per questo venne “maledetta” dalla madre a cui attribuisce la colpa dei suoi svariati aborti. Rimane incinta, ha tre figli e inizia a studiare chiromanzia e magia nera, vedendo nel sacrificio di alcune vittime anziane la salvezza e sopravvivenza dei suoi figli. Per scacciare la maledizione che la avrebbe colpita ricorse all’omicidio di tre amiche, Faustina Setti di 70 anni, Francesca Soavi (insegnante d’asilo) e Virginia Cacioppo, soprano d’opera. “Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe ed io”. E ancora: “Finì nel pentolone, come le altre due (…); ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce” (Leonarda Cianciulli, Memoriale, p.557, Fascicolo XV).

La perizia portò alla seminfermità mentale constatando che gli omicidi erano un mix tra lucidità e follia. Venne condannata a tre anni in un manicomio criminale e a trent’anni di reclusione. Morì il 15 ottobre 1970, nel manicomio di Pozzuoli, all’età di 77 anni, per apoplessia cerebrale. Le armi utilizzate per uccidere e fare a pezzi le sue vittime, il martello, il seghetto, il coltello da cucina, le scuri, la mannaia e il treppiede, sono conservati a Roma nel Museo Criminologico.

MARY COTTON ANN – LA DONNA ARSENICO

Considerata la prima serial killer inglese, visse tra 1832 e il 1873. Si pensa abbia ucciso 21 persone attraverso l’utilizzo dell’arsenico, un veleno usato per i topi, i cui effetti erano mascherati sotto forma di febbri gastriche. Uccise 4 mariti e numerosi amanti, oltre a eliminare anche diversi figli avuti dalle sue relazioni, intascando da ogni morte una assicurazione sulla vita. Il suo movente era il profitto economico anche se molti sostengono uccidesse per noia. Venne condannata a morte per impiccagione nel penitenziario di Durham Gaol, il 24 marzo 1873 all’età di 40 anni. Non ammise mai la sua colpevolezza e si dichiarò innocente fino alla fine.

La sua storia ha dato vita ad una filastrocca inquietante che ancora oggi spaventa i bambini: “Mary Ann Cotton è morta e putrefatta giace nella tomba con gli occhi spalancati. Cantare, cantare, cosa posso cantare? Mary Ann Cotton ha al collo una corda. Dov’è, dov’è? Penzola in aria vendendo manine rinsecchite, un penny al paio”.

La sua storia è visibile in streaming, nella serie tv britannica “Dark Angel” in lingua originale sottotitolata in italiano.

ELIZABETH BATHORY – LA TORTURATRICE


Contessa ungherese, colta e intelligente, con una cura maniacale verso sé stessa e sempre alla ricerca della bellezza, fece uccidere più di 300 donne, convinta che la loro giovinezza sarebbe servita a realizzare l’elisir di lunga vita. Secondo il suo diario personale, le vittime risalirebbero però a 600.

Durante la sua infanzia, Erzsébet Bàrthory, fu spesso testimone di condanne a morte atroci e punizioni corporali con mutilazioni che probabilmente contribuirono a segnare la sua psiche. Iniziò da giovane ad eseguire le prime torture verso gli animali, sviluppando una innata propensione verso il sadismo. All’età di 15 anni sposò il conte Ferenc Nádasdy, uomo brutale che amava torturare e infierire sulle vittime. Insieme a lui, Elizabeth trovò sfogo e complicità per i suoi crimini: Cuciva con del filo la bocca di chi (secondo lei) aveva mentito, conficcava aghi sotto le unghie, bruciare il sesso delle giovani con una candela o spalmava di miele il corpo delle presunte ladre per poi abbandonarle nel bosco, legate a un albero, alla mercé di insetti e altri animali. La storia dei “bagni di sangue” nasce da una racconto, dove si narra che una serva, dopo essere stata schiaffeggiata dalla contessa,  versò erroneamente alcune gocce di sangue colante dal naso, sulla regnante, che pulendosi, si rese conto che la pelle appariva più pallida e luminosa. Da allora, fece costruire negli scantinati del suo castello vere e proprie macchine di tortura, dove le vittime perdevano la vita dopo lunghe agonie e sofferenze. L’obbiettivo era raccogliere il loro sangue convinta che rinvigorissero la sua pelle e la rendessero giovane. Si pensa che la famosa macchina di tortura chiamata la “vergine di ferro” sia stata un’invenzione della Contessa stessa.

Assetata di sangue e dopo aver esaurito le giovani contadine nella sua zona iniziò a concentrarsi sulle ragazze provenienti da famiglie nobili minori. I parenti delle giovani (ufficialmente assunte come domestiche) non avendone più notizie, iniziarono a insospettirsi e denunciarne la scomparsa. Quando le denuncie arrivarono all’imperatore Mattia II iniziarono le denunce e vennero aperte delle indagini sulla nobildonna. La Bathory venne colta in flagranza mentre torturava delle ragazze grazie alla curiosità di alcuni ospiti presenti nel Castello.  

Fu condannata ad essere murata viva fino alla morte, Erzsébet si suicidò dopo quattro anni lasciandosi morire di fame. La sua storia ispirà il film “La contessa” realizzato ed interpretato dall’attrice Julie Delpy. Nel film si narra il suo amore per un giovane che promesso sposo ad un’altra la avrebbe lasciata. Questo avrebbe portato la contessa alla crudeltà e chiusura dei suoi sentimenti, ma questa versione non ha fonti storiche attestate. Considerata la donna più sanguinaria della storia, si pensa avesse praticato anche cannibalismo e vampirismo, visto che tra i suoi parenti vi era il celebre Principe Vlad III Dracula. La sua leggenda ispirò molti romanzi e film oltre ad essere citata in canzoni e videogiochi.

MARIA I D’INGHILTERRA – LA SANGUINARIA

Detta anche “Bloody Mary”, venne incoronata Regina di Inghilterra a 37 anni, regnando dal 1553 al 1558. Maria I Tudor, fu Figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona, nipote di Isabella di Castiglia e Fernando d’Aragona (i Re Cattolici) e Cugina dell’imperatore Carlo V d’Asburgo. Era una donna molto colta. Parlava latino, francese, spagnolo e anche italiano, un vanto raro, per una signora del ‘500.

Visse gli anni migliori della sua vita praticamente reclusa, vittima di una madre fortemente ascetica e troppo religiosa che la educò con questi principi. Il protestantesimo aveva consentito a suo padre di ripudiare moglie e figlia, per dedicarsi alle giovani amanti che poi eleggeva  a legittime consorti.  Quando il fratello Edoardo tentò di escluderla per la successione dal trono trovò l’appoggio del popolo venendo proclamata legittima regina nella pubblica Piazza. Una volta incoronata, decise  di instaurare la religione cattolica nel regno e per farlo, creò un clima di terrore e morte colpendo più di 300 vittime e passando alla storia come “Maria la sanguinaria”. Esercitò il suo potere di sovrana impiccando migliaia di protestanti, alle porte di Londra. Furono arsi vivi, sgozzati, vittime necessarie di un tempo in cui, i nemici di Dio, divennero nemici della sovrana, che in terra ne era la rappresentante.

Maria, fu una donna che rivendicò i suoi diritti e salì al trono grazie alla propria determinazione in un periodo storico in cui le donne non erano ben viste al potere. Si sposò con Filippo II Re di Spagna ma non gli diede mai un erede. Nel tempo cominciò a manifestare sintomi di un disturbo che i medici rinascimentali definivano “strozzamento dell’utero” o “asfissia dell’organo genitale femminile” che la portò all’assenza del ciclo mestruale. Le cure rudimentali se non brutali la portarono a sottoporsi a suffumigi uterini e all’introduzione di sanguisughe nel collo dell’utero. L’ingrossamento del ventre e la formazione di un tumore ovarico la portarono alla morte.

AILEEN WUORNOS – LA PROSTITUTA

Serial killer statunitense, ebbe una infanzia molto travagliata. Figlia di uno schizofrenico morto in prigione, venne affidata alle cure del nonno alcolista che la fece violentare da un amico per poi sbatterla fuori di casa. Gli anni duri della giovinezza la portano a sviluppare un carattere turbolento che sfociò in prostituzione, furti e azioni illegali. Uccise a colpi di pistola oltre 5 uomini depredandoli senza pietà di tutti i loro beni. Ebbe una appassionante storia d’amore con la cameriera Tyria Moore conosciuta in un bar con cui andò a convivere. Venne arrestata e processata per i suoi crimini nel 1992 e condannata alla sedia elettrica per iniezione letale nel 2002, dopo 12 anni trascorsi nella prigione di stato di Raiford, in Florida. La relazione con la compagna finì  dopo il processo. Nonostante avesse dichiarato più volte il suo disprezzo verso le vittime, le perizie psichiatriche la consideravano capace di intendere e di volere.  

La vita della serial killer è rappresentata nel film “Monster” interpretato da Charlize Theron e Christina Ricci. La sua storia ha ispirato un personaggio di American Horror Story: Hotel interpretata dall’attrice Lily Rabe.

SONYA CALEFFI – L’ANGELO DELLA MORTE

Si diploma come infermiera e lavora nell’ambito medico. Il suo metodo era iniettare aria nelle vene dei pazienti portandoli a gravi embolie. Affetta da gravi turbe psicologiche, soffrì di depressione e anoressia fin dall’adolescenza. Ha tentato quattro volte il suicidio senza mai riuscirci. Tra il 2003-2004 nel reparto di medicina generale dell’ospedale Sant’Anna di Como, uccide 8 pazienti malati terminali e lascerà 18 morti sospette anche nell’Ospedale Manzoni di Lecco.

Viene arrestata il 15 dicembre 2004, dopo una segnalazione della direttrice di Lecco, confessando solo 6 omicidi. Il 14 dicembre 2007 viene condannata a 20 anni di reclusione nella casa circondariale San Vittore a Milano per l’uccisione di 5 persone e 2 tentati omicidi.

LAVINIA FISHER – LA PRIMA SERIAL KILLER AMERICANA

Nasce nel 1793 ed è ritenuta la prima serial killer di sesso femminile in America. Con la complicità del marito e grazie alla sua bellezza, riuscirà a sedurre, rapinare e uccidere molti uomini.

Dopo l’arresto dei due coniugi verranno rinvenuti numerosi oggetti personali degli sfortunati viaggiatori uccisi e una collezione interminabile di resti umani. Il 18 febbraio 1820, i Fisher furono impiccati dietro la prigione di Charleston. Il marito John, rimase in preghiera fino all’ultimo istante insieme al reverendo, mentre Lavinia fece la richiesta di essere impiccata e sepolta nel suo vestito da sposa. Al momento della sua uccisione la condannata dichiarò agli astanti: “Se volete portare un messaggio all’inferno, ditemelo pure, lo porterò io stessa laggiù”.

La leggenda di Lavinia ha assunto un tocco paranormale sulle guide turistiche di Charleston. Si racconta, infatti, che il suo fantasma sia stato visto in diverse occasioni nella prigione della città. I testimoni oculari delle apparizioni l’hanno descritta con il suo abito matrimoniale bianco e rosso, lo stesso che indossò il giorno dell’impiccagione. Secondo molte fonti, i Fisher furono sepolti presso il cimitero della Chiesa Congregazionalista al 150 di Meeting Street. Questo appare improbabile, in quanto nei pressi della prigione di Charleston vi era un cimitero apposito chiamato Potter’s Field dove gli impiccati venivano sepolti. Certamente, il racconto che la tomba di Lavinia fosse collocato a pochi passi da quella del giudice che la condannò, creò un fascino particolare, incentivando il turismo e la leggenda del suo fantasma nei pressi della Chiesa.

AMELIA DYER – LA BALIA ASSASSINA

Amelia era una bambina brillante e intelligente, che nutriva un amore per i libri e la letteratura. Era la figlia di Samuel Hobley, un calzolaio esperto: la più giovane di cinque fratelli. Tuttavia, la sua infanzia è stata rovinata quando la madre contrasse il tifo e iniziò a soffrire di gravi complicazioni che le causarono un danno mentale permanente. La madre soffriva spesso di attacchi violenti e Amelia fu costretta ad assisterla fino alla sua morte. Gli storici ritengono che questa esperienza colpì Amelia profondamente e senza dubbio ebbe un drastico effetto sulle sue azioni nella vita adulta.

Vissuta in epoca vittoriana in Gran Bretagna, può essere considerata la più feroce serial killer inglese. Si pensa abbia ucciso tra i 200 e 400 bambini in circa vent’anni di attività. Rimasta vedova a 32 anni con una figlia da mantenere, lavorò prima come infermiera e poi come levatrice. Le giovani donne che rimanevano incinta, infatti, potevano liberarsi dei bambini dandoli in affidamento e pagando delle persone apposite per mantenerli fino al giorno della loro adozione. Questo sistema era molto usato, soprattutto dalle famiglie benestanti che volevano tenere segreto il parto per mantenere il buon nome della famiglia.

Amelia usava prendere i bambini, intascava i soldi e poi li uccideva facendoli morire di fame o sedandoli con l’oppio. Successivamente iniziò a strangolarli con un nastro bianco. Le madri naturali raramente verificavano che i figli stessero bene e la polizia classificava queste morti come “debolezza del bambino sin dalla nascita”.

Nel 1879 un medico scoprì numerose sparizioni ricondotte alla levatrice e Amelia scontò una condanna di sei mesi per “negligenza” verso il mantenimento dei piccoli, una cosa normale in un epoca dove molti figli morivano per malnutrizione. Durante il periodo di detenzione ebbe problemi psichici e tendenze suicide che la portarono ad abusare di alcol e oppio. Rilasciata, continuò la sua attività di levatrice ma iniziò a sbarazzarsi da sola dei cadaveri gettandoli con mattoni e pietre nel fiume, evitando così, di coinvolgere i medici per rilasciare le dichiarazioni per le cause di morte.

Cambia nome e indirizzo diverse volte per sfuggire alla polizia, fino a quando, nel Tamigi non viene ritrovato il cadavere di una bambina, Helena Fry, con una scritta riportante “Signora Thomas”. Le indagini portarono ad Amalia Dyer. La perquisizione nella sua casa portò alla scoperta di numerose prove: certificati di adozione, lettere delle madri, annunci pubblicitari e il nastro di stoffa che la donna usava per strangolare i bambini. Dopo il suo arresto nel Tamigi vennero rinvenuti altre sei corpi. Processata per un solo omicidio nel 1896, venne condannata a morte per impiccagione. Da allora venne soprannominata “l’orchessa di Reading”o “Jill la squartatrice”.

Giunta sul patibolo le venne chiesto se aveva un ultimo desiderio e lei rispose: “I have nothing to say.” (Non ho niente da dire).

Altre donne serial killer degne di nota rinvenute nella storia sono: Belle Gunness (chiamata Signora Barbablù), Marie Dauphine Lalaurie (torturatrice di schiavi di colore), Joanna Dennehy (la sociopatica), Madame Popova (serial killer a pagamento).

LE SS NEI CAMPI DI CONCENTARMENTO

Un capitolo a parte va aperto per narrare la storia di alcune guardie carcerarie durante il periodo nazista: le SS: ossia “Schutz-Staffeln”, letteralmente “scaglioni di difesa”.

Il ruolo sociale della donna nella Germania nazista era sicuramente marginale: il suo compito era di occuparsi della casa e di generare e crescere figli forti. Lo spazio riservato al miglioramento delle condizioni femminili nella politica di Hitler era piuttosto limitato. Hitler stesso considerava la donna poco più che un oggetto decorativo.

Le cose cambiarono quando il nazismo iniziò a portare avanti il progetto di salvaguardia della razza ariana: erano infatti necessarie ragazze “idonee”, quindi tedesche, che generassero figli “puri” da avviare nelle fila della Gioventù Hitleriana. La considerazione della donna iniziò a crescere e nacquero associazioni e iniziative di partito pensate unicamente per un pubblico femminile. Tutto ciò non fece cambiare, però, la mentalità degli uomini: pur essendo le donne una componente fondamentale della “fascia dei dominatori”, vivevano in ogni caso una condizione di sottomissione sessuale.

Molto probabilmente fu proprio questa inaccettabile condizione di inferiorità che spinse numerose donne ad entrare a far parte delle SS: avrebbero potuto esercitare un potere su individui considerati inferiori (Ebrei, Slavi, Zingari), riscattando nei campi, la marginalità del loro ruolo nella società.

Sono due le donne delle SS considerate le più crudeli e passate alla storia come feroci e spietate:

ILSE KOCH

Fu la moglie di Karl Otto Koch, il comandante del campo di concentramento di Buchenwald (dal 1937 al 1941) e di Majdanek (dal 1941 al 1943), uomo brutale che ebbe la fama di “sadico aguzzino” per i suoi metodi di tortura verso i prigionieri. Ilse, da sempre considerata ragazza modello, fu l’ amante di numerosi soldati della SA (“Sturmabteilung”), il primo gruppo paramilitare del movimento nazista. Nel 1936 venne nominata sorvegliante e segretaria presso il campo di concentramento di Sachsenhausen (vicino Berlino) dove conobbe e sposò, il comandante Karl Otto Koch. Sposata con il colonnello, inizia a fare carriera nelle SS diventando Oberaufseherin (“capo supervisore”) del reparto femminile di sorveglianza del campo. Ispirata dalle pratiche del marito svilupperà la sua macabra passione nel scuoiare la pelle dei detenuti utilizzando i tatuaggi delle vittime per farne paralumi, quadri, tavoli decorativi e imbandire le tavole con teschi umani. Fu soprannominata dagli internati  “Strega di Buchenwald“, “Cagna di Buchenwald” e “Iena di Buchenwald” a causa della sua ossessione e del suo sadismo nel percuotere le vittime a bastonate. Nel 1943 i coniugi vennero arrestati per malversazione, eccessiva brutalità, infamia e corruzione. Il marito sarà condannato a morte e giustiziato, Ilse verrà processata dal tribunale militare di Dachau e condannata all’ergastolo nel 1947, pena poi commutata in 4 anni “perché non erano state fornite prove evidenti”. Venne rilasciata dagli americani nel 1949 ma nuovamente arrestata e processata dalla corte tedesca, che la condannò al carcere a vita. L’accusa dichiarò: “Ilse si è rivelata una dei più sadici persecutori nazisti”.

Si impiccò nella sua cella nella prigione di Aichach in Baviera dopo aver scritto una lettera al figlio.

IRMA GRESE

Irma Grese  ebbe una infanzia difficile: la madre si suicidò bevendo dell’acido cloridrico quando lei aveva solo 12 anni, diventando oggetto di prese in giro e sbeffeggiamenti da parte dei fratelli e della matrigna.

A 15 anni scappa di casa, viene attratta dalle idee nazionalsocialiste e si arruola nella Lega delle ragazze tedesche (la BDM) iniziando presto la sua carriera come comandante del campo di Ravensbrück. È considerata la più bella e giovane direttrice del campo e ne divenne presto anche la più crudele, iniziando a curare maniacalmente i simboli del suo potere: la divisa, gli stivali, la frusta ed il suo cane lupo al quale ordinava di attaccare e sbranare i prigionieri. Promossa e trasferita al campo di Birkenau, diventa sorvegliante del settore destinato alle ebree polacche. Fu lì che sfogò maggiormente la sua rabbia: aveva il compito di sorvegliare trentuno baracche che contenevano circa trentamila donne ed ebbe il permesso di eliminare tutte coloro che non rispettavano le regole. Il famigerato Blocco 11 era sotto la sua diretta giurisdizione.

Irma ebbe una relazione con il dottore del campo Josef Mengele oltre ad avere relazioni omosessuali con alcune sorveglianti e perfino con alcune prigioniere, le più belle e procaci, che poi eliminava velocemente per mettere tutto a tacere. uno dei suoi passatempi era frustrare le donne sul seno o sul ventre fino a causare loro ferite profonde che richiedevano punti di sutura, poi le conduceva in infermeria dove le faceva operare senza anestesia, godendo delle loro sofferenze. Arrivò al culmine della crudeltà quando fece legare insieme le gambe di una partoriente che morì fra atroci dolori insieme al suo bambino.

1945 venne trasferita nel lager di Bergen-Belsen, ma il 15 aprile le truppe inglesi entrarono nel lager per liberare i prigionieri. Irma venne accusata di crimini di guerra sulla base della testimonianza dei sopravvissuti. <<Il tribunale degli Alleati ha giudicato Irma Grese colpevole di genocidio e di strage e l’ha condannata a morte mediante impiccagione>>.Irma venne giustiziata assieme ad altri 12 membri delle SS la mattina del 12 dicembre 1945 all’età di 22 anni. Quando sul patibolo il boia le infilò il cappuccio le sue ultime parole pronunciate furono “Schnell!” (Presto!).

Altre comandanti dei lagher furono: Herta Oberheuser (medico del campo di Ravensbrück faceva esperimenti sugli esseri umani, iniettando sulfamidici e benzina, conducendo esperimenti sulla rigenerazione di ossa, nervi e muscoli e uccideva bambini con iniezioni di barbiturici, rimuovendo parti delle loro membra e organi vitali); Gertrud Elli Senff (guardia di Majdanek e Birkenau, autorizzata a possedere armi non era una semplice esecutrice ma prendeva parte nelle decisioni di mandare i prigionieri nelle camera a gas); Charlotte S. (addetta alla sorveglianza del campo di Ravensbrück e poi di Auschwitz, aveva addestrato il proprio cane a mordere i genitali dei detenuti), Gisela S. (addetta al controllo delle ‘celle in piedi’ dove venivano ammassati 15 detenuti alla volta in cubicoli di piccole dimensioni) Maria Mandel ( “La bestia di Auschwitz” la donna con il grado più alto ad Auschwitz era sotto il comando dell’Obersturmbannführer Rudolf Hoss);  Hermine Braunsteiner (operò nel campo di sterminio di campo di Majdanek, soprannominata “Cavalla Scalciante” per l’abitudine di calpestare con violenza e uccidere le donne anziane del campo); Dorothea Binz, (una guardia conosciuta come “la bella stronza”, era famosa per essere una sadica e torturare i suoi prigionieri).

redazione